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Autore: Hiram

La nostra vera casa (consigli a una moribonda) del venerabile Ajahn Chah

Disponiti ad ascoltare il Dhamma con rispetto. Ascoltami con attenzione, come se di fronte a te ci fosse il Buddha in persona. Chiudi gli occhi, mettiti a tuo agio, raccogli la mente e concentrala. Con umiltà, fai spazio nel tuo cuore alla Triplice Gemma della saggezza, della verità e della purezza, per esprimere la tua devozione all’Illuminato.

Non ti ho portato alcun dono materiale; solo il Dhamma, l’insegnamento del Buddha. Rifletti: nemmeno il Buddha, che pure aveva tutte le virtù, poté sottrarsi alla morta fisica. Invecchiò e abbandonò il corpo, deponendo questo pesante fardello. Ora anche tu devi imparare a sentirti paga dei molti anni in cui hai potuto contare sul corpo. Ormai dovrebbero bastarti.

Pensa alle stoviglie che hai usato per tanti anni, tazze, piattini, posate …. quando le hai comprate erano nuove fiammanti, ma ora mostrano i segni dell’uso. Alcune si sono rotte, altre sono sparite, quelle che restano sono consunte, nessuna ha l’aspetto di una volta, perché questa è la loro natura. Anche il tuo corpo è così. Dal giorno della tua nascita ha subito continui cambiamenti, passando dall’infanzia all’adolescenza e infine alla vecchiaia. Accettalo. Il Buddha ha detto che nessuna delle condizioni, mentali, fisiche o esterne, rappresentano il sé: la loro natura è il cambiamento. Contempla questa verità con chiarezza.

Questa massa di carne che giace qui consumandosi è la realtà, è il saccadhamma. La vicenda del corpo è la realtà, è l’eterno insegnamento del Buddha. Il Buddha ci ha insegnato a contemplarla, ad accettarne la natura. Dobbiamo imparare a fare pace con il corpo, in qualunque condizione si trovi. Il Buddha ci ha insegnato a far sì che solo il corpo resti rinchiuso, e a non lasciare che la mente resti imprigionata con lui. Ora che il tuo corpo comincia a cedere agli assalti del tempo, non opporre resistenza; ma non lasciare che la tua mente si deteriori insieme a lui. Mantienila separata. Nutrila con l’esperienza diretta della verità, delle cose così come sono. Il Buddha ha insegnato che la natura del corpo è questa e non può essere altrimenti. Essendo nato, invecchia e si ammala e infine muore. È una grande verità quella che ti si sta rivelando. Osserva il corpo con saggezza e prendine coscienza.

Se la tua casa crolla o prende fuoco, di qualunque calamità si tratti, riguarda solo la casa. Se è travolta da un’inondazione, non lasciare travolgere la mente. Se scoppia un incendio, fa che il fuoco non ti bruci il cuore. È solo la casa che brucia, che si allaga, e la casa è fuori di te. Lascia che la mente abbandoni suoi attaccamenti. È il momento giusto.

Hai vissuto a lungo. I tuoi occhi hanno visto una quantità di forme e di colori, le tue orecchie hanno udito suoni a profusione, hai fatto tante esperienze. Esperienze, appunto, nient’altro. Hai mangiato cibi deliziosi, e tutti quei buoni sapori erano appunto buoni sapori, tutto qui. Quando l’occhio vede una bella forma, di questo si tratta… di una bella forma. Una brutta forma è soltanto una brutta forma. L’orecchio percepisce un suono carezzevole, melodioso, e non è nulla di più che questo. Un suono sgradevole, dissonante, è semplicemente un suono sgradevole.

Il Buddha insegna che nessun essere a questo mondo, ricco o povero, giovane o vecchio, umano o animale, può conservare a lungo il proprio stato. Cambiamento e perdita sono esperienza universali. È una realtà della vita rispetto alla quale non possiamo nulla. Ciò che invece possiamo fare, secondo il Buddha, è contemplare il corpo e la mente per coglierne la natura impersonale, vedere che nessuno dei due è ‘me’ o ‘mio’ ma che la loro è una realtà relativa. Pensa a questa casa: è tua solo sulla carta. Non puoi portartela appresso. Stesso discorso per le ricchezze, i beni e la famiglia: sono tuoi soltanto in teoria. In realtà non appartengono a te, ma alla natura.

Non pensare che questa verità riguardi solo te: siamo tutti nella stessa barca, compresi il Buddha e i suoi discepoli illuminati. L’unica differenza rispetto a noi è che loro accettano le cose per quelle che sono. Sanno che non potrebbero essere altrimenti.

Sicché il Buddha ci ha insegnato a perlustrare attentamente il corpo, dalla piante dei piedi alla cima della testa, e poi a ritroso dalla testa ai piedi. Osserva il corpo. Che cosa vedi? C’è qualcosa che sia intrinsecamente puro? Riesci a scorgere una qualche sostanza permanente? Tutto il corpo è in uno stato di costante degenerazione. Il Buddha ci ha esortato a vedere che non ci appartiene. È normale che il corpo si così, perché tutti i fenomeni condizionati sono soggetti al mutamento. E come potrebbe essere altrimenti? In realtà non c’è nulla di sbagliato nel corpo. La sofferenza non deriva dal corpo, ma da un modo di pensare sbagliato. Quando si vedono le cose in maniera distorta, la confusione è inevitabile.

Pensa a un fiume. L’acqua per sua natura scorre verso il basso, mai al contrario. È la sua natura. Se uno andasse a mettersi sulla riva di un fiume con la pretesa di veder scorrere l’acqua verso l’alto, sarebbe uno sciocco. E questo suo sciocco atteggiamento gli impedirebbe di trovare la sua pace, lì come altrove. La sua opinione infondata, quel suo pensare alla rovescia, lo farebbe soffrire. Se avesse una visione retta, capirebbe che l’acqua scorre inevitabilmente verso il basso e che senza comprendere e accettare questo fatto non può aspettarsi che confusione e frustrazione.

Il fiume che asseconda la pendenza è come il tuo corpo. È stato giovane, è invecchiato, e ora scorre incontro alla morte. Non desiderare che sia diverso, non c’è nulla che tu possa fare. Il Buddha ci esorta a vedere la natura delle cose e quindi a lasciar andare il nostro attaccamento a esse. Prendi rifugio nel lasciar andare. Medita incessantemente, anche se ti senti stanca e senza forze. Lascia che la tua mente si accompagni al respiro. Fai qualche respiro profondo e poi àncora l’attenzione al respiro, aiutandoti con il mantra “Buddho”. Rendi la pratica continua. Più ti senti debole, più la concentrazione dovrebbe essere sottile e accurata, per poter fronteggiare le sensazioni dolorose che emergono. Quando cominci a sentirti stanca, sospendi tutti i pensieri, lascia che la mente si raccolga e poi rivolgiti alla consapevolezza del respiro. Continua a recitare mentalmente “Buddho, Buddho”.

Dimentica le apparenze. Non afferrarti ai pensieri circa i tuoi figli o i parenti, non afferrarti assolutamente a nulla. Lascia andare. Fai che la mente converga su un solo punto e poi lasciala riposare tranquilla nel respiro. Lascia che il respiro diventi il suo unico oggetto. Concentrati fino al punto in cui la mente diventa sempre più sottile, le sensazioni diventano irrilevanti e senti nascere in te uno stato di grande chiarezza e vigilanza. Allora, a poco a poco, qualunque sensazione dolorosa cesserà spontaneamente.

Alla fine, tratterai il respiro come se fosse un parente che è venuto a trovarti. Quando un ospite se ne va, lo accompagniamo sulla soglia per salutarlo. Lo seguiamo con lo sguardo finché imbocca il viale e scompare alla vista, poi rientriamo in casa. Con il respiro facciamo lo stesso. Se è pesante, sappiamo che è pesante; se è sottile, sappiamo che è sottile. A mano a mano che diventa sempre più leggero continuiamo a seguirlo, risvegliando nel contempo la mente. Alla fine il respiro scompare del tutto e non resta altro che una sensazione di vigilanza. È allora che ‘incontriamo il Buddha’. Abbiamo quella consapevolezza limpida e sveglio che chiamiamo ‘Buddho’, il conoscitore, il risvegliato, il luminoso. Questo è incontrare il Buddha, dimorare col Buddha, con saggezza e chiarezza. Il Buddha che è morto è solo quello storico. Il vero Buddha, quel Buddha che è chiara e splendente conoscenza, lo si può vedere e raggiungere ancora oggi. E quando lo raggiungiamo, il cuore è unificato.

Quindi molla la presa, lascia andare tutto, tutto tranne il conoscere. Non farti ingannare dalle immagini e dai suoni che possono emergere in meditazione. Lasciali cadere. Non trattenere assolutamente nulla, resta semplicemente con questa consapevolezza unificata. Non pensare al passato o al futuro, resta dove sei, e raggiungerai quel luogo dove non si avanza, non si torna indietro e non ci si ferma, dove non c’è nulla da afferrare o a cui aggrapparsi. E perché? Perché non c’è l’io, nessun ‘me’ e nessun ‘mio’. Non c’è più nulla. Il Buddha ci ha insegnato a svuotarci così, a non portare nulla con noi… a conoscere, conoscere e lasciare andare.

Realizzare il Dhamma, la via della libertà dal ciclo di nascita e morte, è un’impresa che ognuno deve portare a termini da solo. Quindi persevera nello sforzo di lasciar andare e di comprendere gli insegnamenti. Metti energia nella tua contemplazione. Non preoccuparti dei tuoi cari. In questo momento sono così come sono, in futuro saranno come te. Nessuno può sfuggire a questo destino. Il Buddha ha insegnato a lasciar cadere tutto ciò che è privo di realtà intrinseca. Se lasci cadere tutto vedrai la verità, diversamente non la vedrai. È così che funziona. Ed è lo stesso per tutti. Quindi non aggrapparti a nulla.

Anche se ti scopri a pensare, va bene lo stesso, basta che sia un pensare saggio, e non insensato. Se pensi ai tuoi figli, pensaci con saggezza, non da ignorante. Considera con saggezza qualunque cosa diventi oggetto di attenzione, sii consapevole della sua natura. Conoscere con saggezza significa lasciar andare e non alimentare la sofferenza. La mente è radiosa, gioiosa e serena. Una volta abbandonate le distrazioni, non è più frammentata. In questo momento l’aiuto e il sostegno che ti occorrono puoi averli dal tuo respiro.

È un lavoro che spetta a te e a nessun altro. Lascia che gli altri facciano il loro. Hai il tuo compito, il tuo dovere da compiere, non accollarti quelli che spettano alla tua famiglia. Non farti carico di nient’altro, lascia andare tutto. Lasciar andare calmerà la mente. Adesso la tua unica responsabilità è concentrare la mente e renderla tranquilla. Tutto il resto lascia agli altri. Forme, suoni, odori, sapori… che ne se occupino gli altri. Lasciati tutto alle spalle e fai il tuo lavoro, adempi al tuo dovere. Qualunque cosa emerga nella mente, paura del dolore, paura della morte, preoccupazione per altre persone, sia quel che sia, dille: “Non disturbarmi. Ora non mi interessi più”. Quando vedi emergere quei dhamma, continua semplicemente a ripeterti questo.

Cosa si intende per dhamma? Dhamma è tutto, non c’è nulla che non sia un dhamma. E il ‘mondo’ che cos’è? È esattamente lo stato mentale che ti assilla in questo momento. “Cosa faranno? Chi si prenderà cura di loro quando non ci sarò più? Riusciranno a cavarsela?” Tutto questo non è altro che il mondo. Anche il semplice emergere di un moto di paura rispetto al dolore o alla morte, è mondo. Sbarazzatene! Il mondo è così com’è. Se gli permetti di dominare la tua mente la renderà offuscata e incapace di conoscersi. Quindi, qualunque cosa appaia nella mente, pensa soltanto “Non mi riguarda. È impermanente, insoddisfacente, impersonale”:

Se pensi che vorresti vivere ancora a lungo, soffrirai. Ma anche pensare che sarebbe meglio morire subito o il prima possibile non va bene. È sempre sofferenza, no? Le condizioni non ci appartengono, obbediscono alle leggi di natura. Non puoi fare nulla per cambiare il corpo. Puoi abbellirlo un pochino, renderlo momentaneamente attraente e pulito, come le ragazze che tingono le labbra, e si lasciano crescere le unghie; ma quando arriva la vecchiaia, ci ritroviamo tutti nella stessa barca. Il corpo è così, non è possibile cambiarlo. La mente, invece, possiamo renderla migliore e più bella.

Una casa di legno e mattoni può costruirla chiunque, ma il Buddha ha detto che quella non è la nostra vera casa, è nostra per modo di dire. È casa nostra nel mondo, e obbedisce alle leggi del mondo. La nostra vera casa è la pace interiore. Una casa esterna, materiale, può essere bella, ma non è un vero luogo di pace. C’è sempre qualche preoccupazione, qualche ansia. Perciò quella non è la nostra versa casa, è qualcosa di esterno. Presto o tardi ci toccherà abbandonarla. Non possiamo viverci in eterno perché in realtà non appartiene a noi, appartiene al mondo. Stesso discorso per il corpo. Immaginiamo che sia il nostro ‘io’, che sia me o mio, ma in realtà non è affatto così, è un’altra casa del mondo. Fin dalla nascita il tuo corpo ha fatto il corso naturale; ora è vecchio e malato e non puoi fare nulla per impedirglielo. È così che vanno le cose. Volerle diverse sarebbe sciocco, come pretendere che un’anatra assomigli a un pollo. Prendere atto che è impossibile, che un’anatra è un’anatra e un pollo è un pollo, che un corpo necessariamente invecchia e muore, dona coraggio e forza. Per quanto desideri che il corpo continui a durare, non lo farà.

Il Buddha ha detto: “Aniccā vata sankhārā/ uppāda vaya dhammino/ uppajjitvā nirujjhan’ti/ tesam vūpasamo sukho”. [Formula tradizionale che si recita in occasione delle cerimonie funebri: “Tutte le condizioni, ahimè, sono impermanenti/ sorgono e passano/ essendo nate dovranno morire/ la cessazione delle condizioni porta la pace”]

Il termine sankhārā si riferisce al corpo e alla mente. I sankhārā sono impermanenti e instabili. Appaiono e scompaiono, sorgono e passano, eppure tutti vorrebbero che fossero permanenti. È pura follia. Guarda il respiro. Dopo essere entrato, esce, è la sua natura, è così che dev’essere. L’inspirazione e l’espirazione devono alternarsi, il cambiamento è necessario. L’esistenza delle condizioni si deve al cambiamento, non puoi impedirlo. Rifletti: potresti espirare senza inspirare? Sarebbe piacevole? Potresti fermarti all’inspirazione? Vogliamo che le cose siano permanenti, ma è impossibile. Una volta entrato, il respiro deve uscire. E una volta uscito entra di nuovo; è naturale, no? Essendo nati invecchiamo e moriamo, ed è assolutamente naturale e normale. Il genere umano è sopravvissuto fino a oggi perché le condizioni hanno fatto il loro mestiere, perché inspirazione ed espirazione hanno continuato a darsi il cambio.

Non appena nasciamo moriamo. Nascita e morte sono indissolubili. Pensa a un albero: dove ci sono radici ci sono rami, dove ci sono rami ci sono radici. Sono inseparabili. È curioso vedere quanto cordoglio e angoscia susciti la morte e quanta allegria e contentezza susciti invece la nascita. È pura illusione, nessuno considera i fatti lucidamente. Secondo me, l’occasione più adatta per piangere è quando nasce un bambino. La nascita è morte, la morte è nascita; il tronco è la radice, la radice è il tronco. Se proprio vuoi piangere, piangere per la radice, per la nascita. Rifletti: se non ci fosse nascita non ci sarebbe morte. Capisci?

Non preoccuparti troppo delle circostanze, pensa semplicemente: “Le cose stanno così”. È il tuo unico compito. In questo momento nessuno può aiutarti, famiglia e beni non possono far nulla per te. Adesso solo la pura consapevolezza può esserti di aiuto. Perciò, non esitare. Lascia andare. Liberarti di tutto.

Tanto, se anche non lo fai tu, le cose ti stanno lasciando comunque. Te ne accorgi di come le varie parti del tuo corpo, zitte zitte, se la stanno svignando? I capelli, ad esempio. Da giovane li avevi neri e folti. Ora iniziano a diradarsi. Ti lasciano. I tuoi occhi erano sani e forti ma ora sono deboli e non vedono più tanto bene. Quando ne hanno abbastanza, i vari organi ti salutano e se ne vanno, non abitano qui in pianta stabile. Da bambina avevi i denti sani e robusti, ora tentennano o forse hai la dentiera. Gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, tutto vuole andarsene, perché non è casa sua. È impossibile abitare in pianta stabile nelle condizioni, ci si può solo fermare un poco prima di ripartire. Come un inquilino miope che fa la guardia alla sua casupoletta. Ha i denti malandati, la vista difettosa, acciacchi dappertutto, niente che voglia restare al posto suo.

Perciò, non devi preoccuparti di nulla, perché questa non è la tua vera casa, è solo un riparo provvisorio. Dal momento che sei venuta in questo mondo, rifletti sulla sua natura. Tutto quanto si prepara ad andarsene. Guarda il tuo corpo. Vedi qualcosa che sia ancora com’era prima? La tua pelle è la stessa di un tempo? E i tuoi capelli? Non sono più gli stessi, vero? Dove sono finiti? È la natura, la realtà delle cose. Quando arriva il momento, le condizioni se ne vanno per i fatti loro. A questo mondo non si può fare affidamento su nulla, è un circolo interminabile di agitazione e ansia, di piacere e dolore. Non c’è’ pace.

Quando ci manca una vera casa siamo come viandanti senza meta che vagabondano di luogo in luogo, fra una breve sosta e una nuova partenza. E finché non ritorneremo a casa, quella vera, ci sentiremo smarriti, come chi lascia il paesello natio sapendo che solo al suo ritorno potrà trovare agio e sicurezza.

È impossibile trovare la pace autentica in questo mondo. Non ce l’ha il povero e non ce l’ha il ricco; non ce l’ha adulto e non ce l’ha il bambino; non ce l’ha ignorante e non ce l’ha il professore. Da nessuna parte c’è pace, la natura del mondo è questa. Chi ha poco soffre, chi ha molto soffre lo stesso. Bambini, adulti, vecchi e giovani… soffrono tutti. La sofferenza della vecchiaia, la sofferenza della gioventù, la sofferenza della ricchezza, la sofferenza della povertà… sempre e soltanto sofferenza.

Se osservi la realtà in questa luce vedrai anicca, l’impermanenza, e dukkha, l’insoddisfazione. Perché le cose sono impermanenti e insoddisfacenti? Perché sono anatta, non-io.

Tanto il tuo corpo malato e dolorante quanto la mente che è consapevole della malattia e del dolore si definiscono dhamma. Ciò che è senza forma, come pensieri, sentimenti e percezioni, si definiscono nāmadhamma. Quello che è vittima di acciacchi e dolori si definisce invece rūpadhamma. Materia e non materia sono entrambi dhamma. Sicché viviamo con i dhamma, nei dhamma, e siamo dhamma. Fondamentalmente non esiste alcun ‘io’, ci sono solo dhamma che sorgono e passano continuamente com’è nella loro natura. A ogni istante subiamo nascita e morte. È questa la realtà delle cose.

Quando pensiamo al Buddha, alla verità delle sue parole, sentiamo che è veramente degno di devozione e di rispetto. Ogniqualvolta vediamo la verità, siamo di fronte al suo insegnamento, anche se non abbiamo mai praticato il Dhamma. Però, se ancora non abbiamo visto la verità, quand’anche conoscessimo la dottrina e l’avessimo studiata e praticata, saremmo ancora dei senzatetto.

Cerca di afferrare questo punto. Tutte le persone, tutte le creature viventi, sono sul piede di partenza. Dopo aver vissuto un appropriato periodo di tempo, devono fare il loro corso. Tutti, ricchi, poveri, giovani e vecchi, dovranno affrontare questo cambiamento.

Quando ti rendi conto che la sua natura è questa, il mondo comincia a sembrare privo di attrattiva. Quando ti accorgi che non c’è nulla di intrinsecamente reale su cui fare affidamento, provi un senso di sazietà e di disincanto. Disincanto non significa provare avversione; la mente è limpida e vede che non c’è nulla da fare per rimediare a questo stato di cose, che è semplicemente la natura del mondo. Prenderne coscienza ti permette di lasciar andare l’attaccamento, lasciar andare con una mente che non è né felice né triste ma accetta serenamente le condizioni poiché ne vede saggiamente la natura mutevole. “Anicca vata sankhārā”: tutte le condizioni sono impermanenti.

Per dirla in breve, l’impermanenza è il Buddha. Se vediamo una condizione impermanente per quello che è, scopriamo che è permanente. È permanente nel senso che è soggetto invariabilmente al mutamento. Questa è la permanenza che possiedono gli esseri viventi. C’è una trasformazione continua, dall’infanzia alla vecchiaia, e proprio quella impermanenza, quella tendenza al mutamento, è permanente e invariabile. Se ti metti in questa prospettiva, conoscerai la pace del cuore. È un destino comune a tutti, non riguarda solo te.

Viste in questa luce, le cose perderanno la loro attrattiva e nascerà il disincanto. Il compiacimento per la dimensione sensoriale svanirà. Capirai che possedere molto significa avere molto da lasciarsi alle spalle. Chi ha poco, ha poco da abbandonare. La ricchezza è solo ricchezza, una vita lunga è solo una vita lunga… niente di speciale.

Quello che conta è costruirci una casa come ci ha insegnato il Buddha, costruircela con il metodo che ti ho spiegato. Edifica la tua casa. Lascia andare. Lascia andare finché la mente raggiungerà quella pace che è libera dall’avanzare, dal tornare indietro e dal restare fermi. Il piacere non è la tua casa, il dolore non è la tua casa. Piacere e dolore si consumano e svaniscono.

Il grande Maestro vide che tutte le condizioni sono impermanenti e quindi ci esortò a liberarci dai nostri attaccamenti. Quando arriviamo al termine della nostra vita non abbiamo scelta comunque, non possiamo portare nulla con noi. Perciò, non è meglio mollare tutto prima? È un carico pesante da trasportare, perché non sbarazzarcene subito? A che scopo trascinarcelo appresso? Lascia andare, rilassati, e lasciati accudire dai tuoi familiari.

Chi accudisce gli infermi cresce in bontà e in virtù. Il malato che offre agli altri questa opportunità dovrebbe sforzarsi di non creare complicazioni. Se soffre, se è in difficoltà, lo comunichi apertamente e conservi uno stato mentale positivo. Chi si prende cura dei genitori malati farebbe bene a coltivare premura e gentilezza badando di non cadere nell’avversione. È una buona occasione per ripagare il debito nei loro confronti. Dal giorno della nascita e per tutta l’infanzia fino all’età adulta siete dipesi dai vostri genitori. Il fatto che oggi siate qui si deve alle mille forme di sostegno che vostro padre e vostra madre vi hanno dato. Dovete a entrambi una sconfinata gratitudine.

Dunque mi rivolgo a voi, figli e familiari, che vi trovate riuniti qui quest’oggi: pensate che vostra madre adesso è vostra figlia. Prima eravate figli suoi, ora le fate da madre. Invecchiando, giorno dopo giorno è tornata bambina. La memoria vacilla, la vista è debole, l’udito non proprio perfetto. A volte farfuglia parole incomprensibili. Non prendetela a male. Anche voi che accudite la malata dovete imparare a lasciar andare. Non siate rigidi, lasciatela fare a modo suo. A volte, quando un bambino fa i capricci, i genitori gliela danno vinta per amore del quieto vivere, per farlo contento. Ora vostra madre è come una bambina. Ricordi e percezioni le si accavallano nella testa. A volte confonde i nomi, o vi chiede di portarle una tazza quando magari le serve un piatto. Succede, non prendetela a male.

Dal canto tuo, tieni presente la gentilezza di chi ti accudisce, e sopporta il dolore con pazienza. Allena la mente, non lasciarla dispersa e confusa, e non creare complicazioni a che si prende cura di te. Voi che la accudite, coltivate la virtù e la gentilezza. Non provate ripugnanza per i compiti più ingrati, come ripulirla da muco, catarro, urina e feci. Fate del vostro meglio. Datevi una mano fra voi.

È l’unica madre che avete. Vi ha dato la vita, vi ha fatto da maestra, da medico e da infermiera; è stata tutta per voi. Crescere i figli e assicurare loro un avvenire è il grande merito dei genitori. Ecco perché il Buddha insegnò le virtù di kataññū e katavedī, la capacità di riconoscere il proprio debito di gratitudine e la volontà di ripagarlo. Sono due dhamma complementari. Se i nostri genitori sono indigenti, malati o in difficoltà, faremo del nostro meglio per aiutarli. Questa è kataññū-katavedī, la virtù che fa girare il mondo, che preserva l’unità della famiglia donandole stabilità e armonia.

Oggi, in occasione della tua malattia, ti ho portato il dono del Dhamma. Non ho oggetti materiali da offrirti, quelli che vedo in questa casa sembrano più che sufficienti. Quindi ti offro il Dhamma, un bene il cui valore dura nel tempo, un bene inesauribile. Dopo averlo ricevuto lo puoi spartire con chi vuoi, non si resta mai senza. È la natura della Verità. Sono felici di avere avuto la possibilità di offrirti il dono del Dhamma e spero che ti dia la forza per affrontare il dolore.

Estratto del libro “Il Dhamma vivo”, su gentile concessione dell’Editore Ubaldini.

Campo energetico

Il campo energetico nell’essere umano e nella natura di John Pierrakos

Introduzione storica
L’uomo è un eterno pendolo in movimento ed in vibrazione che, durante le varie epoche, ha tentato di scoprire e di comprendere il proprio ruolo nell’Universo. Dapprima cercò di rendersi conto di sé, prendendo conoscenza dei suoi movimenti pulsatori interni e divenne così consapevole del mondo dentro di sé. Poi tentò di captare e di comprendere l’ambiente circostante attraverso le proprie percezioni; questi movimenti pulsatori, le sensazioni e le percezioni gli dettero la prova e la consapevolezza della sua persona.
Ma che cosa sono quei movimenti pulsatori interni?

Sono la componente dei processi vitali, riguardanti tutte le energie esistenti nel metabolismo vivente del suo corpo. Questo assieme di energie, all’interno del corpo, fluisce anche al suo esterno analogamente ad un’onda di colore che si espande, fuoriuscendo da un oggetto metallico incandescente. Si crea così un campo energetico, composto dalle linee di forza presenti alla periferia dell’organismo umano. Il corpo dell’uomo vive dentro questo campo energetico che si estende per diversi metri; resta chiaramente aderente al corpo stesso ma, a volte, lo si può vedere espandersi per diverse decine di metri.

Divenni consapevole di questi fenomeni, e cominciai a studiarli, circa 20 anni fa, quando fui introdotto all’orgonomia ed allo studio degli accumulatori orgonici. Da allora abbinai l’osservazione di questi fenomeni con la mia pratica, in campo fisico, che utilizzavo sia nelle diagnosi sia nel registrare la corrente energetica e la rimozione dei blocchi muscolari; inoltre usavo questo procedimento di natura fisica anche per altri usi terapeutici. Si prova una sensazione particolarmente eccitante quando si tenta di comprendere i processi vitali osservando il campo energetico dell’uomo, sia quando è malato che quando sta bene, lo stesso fenomeno si verifica negli animali, nelle piante e nei cristalli.

Questi fenomeni possono essere percepiti dalla maggior parte delle persone sia che le loro osservazioni vengano effettuate soggettivamente, sia con metodi oggettivi, come spiegheremo in seguito.
I fenomeni riguardanti il campo energetico dell’uomo si possono trovare puntualmente registrati lungo le migliaia di anni che costituiscono la storia dell’umanità. Essi furono osservati per la prima volta all’incirca verso il 3.000 a.C. dai cinesi e spiegati col principio dello Yin e dello Yang. L’Universo, nel suo duplice aspetto, fu percepito come un macrocosmo, mentre l’uomo fu ritenuto un microcosmo. La cronologia e la medicina cinese erano basate sulla comprensione dei principi bioenergetici e sulle loro attività. L’accostamento della medicina cinese risultò sia animistico che vitalistico, ma sbagliò ad incorporare nella concezione materialistica della vita quei principi, che divennero limitati e statici. Conseguentemente, a partire dal 2.000 a. C., non si verificò più alcun sviluppo di questi concetti.

Vi è uno stretto rapporto ed una consistente analogia di carattere generale tra la cosmologia dello yin e dello yang e la filosofia degli egiziani, come è indicato dalla dualità di Osiride ed Iside, dalla concezione numerica del dualismo di Pitagora e di Platone e del Chrimuz Ahriman di Zoroastro.
In uno studio sull’emigrazione dei simboli, fatto d’Avela, si riscontrò, che, a partire dal 1.300 a.C. sino al 1.100 dopo Cristo circa, vi è stato un simbolo universale che esprime l’energia solare ed il movimento. Esso si originò con gli ariani ed i greci; questo simbolo è il Gamadion ed è stato usato con delle variazioni in diverse civiltà.

Quasi certamente la sua origine costituì un simbolo riguardante la percezione del sole e dei suoi raggi. In quest’epoca si manifesta, di fatto, con la forma della svastica che rappresenta i movimenti del campo energetico, come è stato comprovato dalle mie osservazioni personali su tale processo. Nell’antica civiltà greca vi sono molti riferimenti che indicano come quei processi energetici; nella natura e nell’uomo, fossero conosciuti e venissero compresi.

Ippocrate, per esempio, nei suoi scritti, rivela una profonda fede nelle influenze cosmiche e nei cicli del clima e sulle malattie. Egli, inoltre, raccomandava di proposito che i medici non ignorassero le forze naturali all’interno dell’uomo, “è la natura che guarisce, non il medico”, e che conoscessero anche l’astronomia e la fisica.
Con la teocrazia bizantina, la medicina e l’indagine naturale furono ampiamente represse sicché i periodi tra il terzo e, approssimativamente, il 10° secolo in Occidente, furono le Epoche Scure.
Verso il 16° secolo, nell’opera di Paracelso si trova lo studio e l’applicazione dei processi energetici naturali. Paracelso trattò l’armonia dei 4 elementi e l’esistenza di una forza naturale nell’organismo chiamata “l’archeo”, quel fenomeno antico “che guarisce le malattie”.

Nell’era moderna il primo tentativo che si conosca, per comprendere i sistemi viventi nel loro ambito naturale, fu effettuato da Newton.
Nel suo secondo scritto sulla luce e sui colori, egli riferisce di una luce elettromagnetica, “indefinibile”, oscillante, un qualcosa di elettrico e di elastico che era eccitabile e che rivelava fenomeni quali la repulsione e l’attrazione, la sensazione e il moto. I concetti di Newton anticiparono, per molti aspetti il campo elettromagnetico di Faraday e di Maxwell. Nel 1704 Mead effettuò un proprio tentativo, cercando di porre i sistemi viventi sotto le leggi dei principi newtoniani.

La sua teoria sulle maree atmosferiche (che sono causate dagli effetti gravitazionali del sole e della luna e che producono periodici cambiamenti nella gravità atmosferica nell’elettricità e nella pressione è che queste maree agirono come un “aiuto esterno” alle “cause interne” già presenti nei corpi animali. Mead parlò di un “fluido nervoso di natura elettrica”. Verso quest’epoca Nollet e Frekte pubblicarono teorie ed esperimenti posti in relazione ai fluidi nervosi. Mesmer, nel 1775 chiamò quella forza: “gravitazione animale” e, in seguito, “magnetismo animale”. Egli descrisse quest’elemento come se avesse la funzione di riempire lo spazio sidereo e lo ritenne capace di influenzare direttamente il sistema nervoso delle forme animate. Nel 1783 Maidite e Bertholon pubblicarono un lavoro che comprovava l’influenza dell’elettricità atmosferica sulla vegetazione. Verso quest’epoca il famoso chimico tedesco, barone Von Reichenbach, effettuò uno studio dettagliato sul campo energetico dei cristalli e delle piante e lo definì: il fluido odylico.

L’opera di Mesmer, sebbene respinta dalla maggioranza dei medici suoi contemporanei, ebbe una profonda influenza sulla medicina europea. Questo fatto venne in prima linea con l’ipnotismo, nel 1860, quando Libaut fondò la sua clinica a Nancy; Bernheim e Charcot usarono, nelle loro rispettive scuole, l’ipnotismo e la suggestione come metodo curativo. La scoperta della mente inconscia, su cui è basata la psicanalisi di Freud, fu rivelata con le tecniche ipnotiche e Freud fu un allievo di Charcot ed un collaboratore di Bernheim. Il concetto freudiano della Libido, anche se non venne considerato come un principio del tutto energetico, era basato sul fatto che erano stati compresi i processi dell’energia vitale nell’organismo.
L’indagine fisica proseguì molto lentamente, dal 1919 al 1929, un medico londinese: Kilner, indagò oggettivamente il campo energetico, chiamato anche l’aura dell”‘atmosfera umaria” attraverso degli schermi colorati. Il suo libro è una miniera di informazioni sulle cariche e sulle variazioni del campo energetico umano e mi è stato di grande aiuto. (1)
Fu però Wilhelm Reich che, durante un periodo che copre un quarto di secolo, iniziatosi nel 1925, condusse un sistematico, dettagliato e compiuto studio sui fenomeni riguardanti il campo energetico dell’uomo e della natura. Egli definì la particolare energia dei processi vitali: Orgone.

Il suo lavoro di ricerca, nel campo psicanalitico ed in quello biologico oltre che nell’ingegneria cosmica, è risultato di importanza determinante per comprendere la posizione dell’uomo nell’Universo. Reich è un profeta di quei profondi mutamenti che si sono verificati in questa nostra società, analogamente a quelli che si verificano agli inizi del secolo.
I concetti energetici della sua terapia furono ampliati ed estesi da Alexander Lowen e da chi scrive; abbiamo infatti messo a punto particolari tecniche quando si è trattato di lavorare con il sistema energetico dell’organismo nel suo assieme, scaricando la corrente energetica delle emozioni nei piedi. Fu proprio attraverso l’applicazione di questi concetti bio-energetici sui miei pazienti che mi si è presentata la grandissima occasione di studiare i movimenti e le variazioni del campo energetico che circonda l’uomo.

Negli Stati Uniti, a partire all’incirca dal 1930, Burr e Northorp hanno condotto un accurato studio, di natura biologica, sulle energie vitali dell’organismo. I due ricercatori compresero che vi doveva essere qualche forza dietro agli organismi viventi, allorquando questi mostravano la loro capacità di organizzare e di tenere assieme le complesse intermutazioni chimiche che accompagnano i processi biologici. Essi hanno pubblicato numerosi articoli che trattano dei campi energetici negli organismi primitivi, negli alberi e negli animali.
Il loro lavoro fu facilitato dalla realizzazione di strumenti adatti a misurare le minime differenze di voltaggio al minuto. La loro attività nello studio delle malattie emozionali è stata proseguita da Leonard Ravitz. Egli condusse accurati esperimenti anche sugli stati eccitati dell’organismo, ponendoli in relazione alle nevrosi, all’ipnotismo, al sonno, ai farmaci, e dimostrando così che i cambiamenti determinanti si verificano nel campo elettromagnetico dell’uomo. In Inghilterra il lavoro di Kilner fu proseguito, indipendentemente, da George de la Warr e da Ruth Brown; il lavoro del primo era basato sull’opera di Abrams e di George Star White.

George de la Warr mise dunque a punto un’apparecchiatura particolare per studiare i processi vitali dell’uomo e delle piante, elaborando i concetti originali tendenti a dimostrare il grande effetto che i processi mentali hanno sulla materia. Necessiterebbero moltissime pagine per riferire dettagliatamente del lavoro effettuato da molti altri ricercatori in questo campo. Tuttavia molte persone in Inghilterra o negli Stati Uniti vi si sono applicate, rimanendo ai margini del mondo scientifico; costoro hanno condotto i loro esperimenti, sulle energie vitali, nei vari campi come lo strumento di raidoestesia e di fenomeni concernenti gli studi di parapsicologia.

Il lavoro di Edgar Cayce, gli studi dei “chakras”, i movimenti energetici effettuati dagli yogi ed, in seguito, i teosofi, secondo quanto è stato descritto nell’opera di Leadbeater, hanno trattato dettagliatamente del fenomeno riguardante le energie vitali nell’uomo, da un punto di vista metafisico. Si può dire che tutti questi esperimenti e questi studi sono basati su qualche manifestazione particolare dei processi vitali dell’organismo e dei processi energetici vitali.

Recentemente un lavoro sul genere di quello condotto dal Dr. Bernard Grad (dell’Università Mc Gill di Toronto) sullo sviluppo delle piante, ha dimostrato il grande effetto che una mano guaritrice potrebbe avere nel procedimento connesso allo sviluppo delle particelle di orzo, usato per questo esperimento. Negli Stati Uniti vi è un gruppo di validi scienziati che, sotto la guida del Dr. Rober Laidlaw di New York, sta realizzando un importante lavoro e sta tentando di definire il campo energetico dell’uomo, presso l’Istituto per lo studio delle Energie Vitali.
In una recente indagine scientifica, realizzata da ricercatori sovietici, è stato anche riferito che costoro erano in grado di fotografare il campo energetico attraverso una tecnica che utilizzava le correnti dell’alta frequenza.

Descrizione della natura del campo energetico

In natura vi sono diversi gruppi di organismi unicellulari, come i batteri, ma anche strutture multicellulari come funghi, flagellati, le spugne, i pesci e le lucciole che sono in grado di emettere luce e “luminescenza” quale risultato dei loro movimenti interni e dei loro processi biologici. Negli organismi superiori, si sa che i processi vitali come la mitosi delle cellule, l’ossidazione ed altri processi metabolici sono accompagnati da luminescenza. Gli organismi viventi sono in grado di emettere luce attraverso tutta la superficie dei loro corpi quando non hanno perso la propria capacità di illuminarsi. Questi fenomeni costituiscono il campo energetico o Aura che è in effetti, un riflesso delle energie insite nel processo vitale.
(L’Aura proviene dal greco Avra che significa brezza). L’Aura, o campo energetico, è una sfumatura di luce, tipica delle energie corporee.

Energia deriva dalla parola “energheia” che significa produzione di un movimento o di un lavoro. Urta definizione più logica è la seguente: “L’Energia è la forza vitale emanata dalla consapevolezza”. Quest’ultima, in precedenza, era posta in relazione all’auto-percezione, attraverso i movimenti pulsanti interni manifestatisi sulla superficie corporea come campo energetico del corpo stesso, alla sua produzione di calore, alla propria eccitazione, nell’attività e nel riposo. Inoltre questi fenomeni sono anche influenzati dalle condizioni atmosferiche, dall’umidità relativa, dalla polarità delle cariche che sono nell’aria e da molti altri fattori ancora sconosciuti. Se si potesse vedere questa manifestazione luminosa attorno al corpo, ma presente anche nello spazio che intercorre tra le persone, ci si accorgerebbe che gli esseri umani nuotano in mare di fluido che sfuma ritmicamente con colori brillanti. Questi pulsano, mentre mutano costantemente tinta e bagliore; per un essere vivente devono risultare di colore intenso, che vibrano.

I fenomeni del campo energetico appartengono, inoltre, ad un’altra dimensione; costituiscono, infatti, i fenomeni energetici che trascendono le realtà fisiche della materia.
Ora, anche se sono sicuramente connessi alla struttura e materia del corpo, tuttavia hanno proprie leggi per quanto riguarda il movimento pulsatorio e la vibrazione; fatti questi che non sono stati ancora compresi. Per giungere ad una definizione più pratica di questo fenomeno, in base alle mie osservazioni posso affermare quanto segue:

Quando una persona si staglia contro un sfondo omogeneo, sia con una luce molto intensa (cielo blu) che con una profonda oscurità (blu della mezzanotte), se siamo muniti di alcune attrezzature particolari, in modo che la luce risulti tenue ed uniforme, ed aggiungendo dei filtri colorati (blu cobalto, si può vedere chiaramente e ad occhio nudo, un fenomeno ancora più sensazionale. Dalla superficie del corpo si stacca un involucro grigio-bluastro che sembra una nube e che si espande per un’ampiezza che varia da 62 cm. ad 1 metro e 24 cm.; giunto a questa distanza, perde la sua nitidezza e si amalgama con l’atmosfera circostante. Questo involucro brilla ed illumina la superficie del corpo nell’identico modo in cui i raggi del sole nascente, espandendosi, illuminano gli orli delle montagne scure. L’involucro si dilata lentamente, per uno o due secondi, allontanandosi dal corpo, finché forma una figura di ovale quasi perfetto con i propri confini ben delimitati.
Il terzo ed ultimo strato, quello esterno, ha un’ampiezza che varia ma, in un spazio aperto, si espande allontanandosi per diverse decine di metri. Presso la spiaggia è stato visto estendersi fino a 30 metri e mezzo dalle persone che emanano tali energie. Questo terzo strato ha un corpo interiore indefinito che inizia sul confine è trasparente e possiede un delicato colore blu cielo. Esso viene attraversato anche da raggi verticali che partono dal precedente strato intermedio.

Il movimento predominante dello strato esterno è a spirale o a vortice e sembra come se il moto delle particelle, simile a quello browniano del secondo strato, cercasse uno spazio più ampio, propagandosi in tutte le direzioni, nello stesso modo in cui le molecole dei gas compressi tendono ad espandersi in seguito all’aumento del volume del contenitore. I confini esterni del terzo strato si propagano talmente che i suoi margini si disperdono nell’aria circostante. La direzione del proprio movimento è perpendicolare alla superficie dell’organismo.
La direzione del movimento complessivo dei tre strati, finché si possono vedere mentre si muovono simultaneamente, appare piuttosto complicata. Stando di fronte al soggetto, possiamo accorgerci chiaramente del campo energetico sul torace, sulla testa’ sulle braccia e sulle gambe.

Osserviamo poi che tale campo inizia a muoversi da terra e si dirige sulla zona interna delle gambe e delle cosce, sul torace e verso l’esterno dalle mani, degli avambracci e delle braccia, mentre le due correnti principali si fondono dirigendosi verso l’alto, dov’è il collo, sino a confluire poi sulle mani; tutto ciò costituisce una fase del movimento. Contemporaneamente se ne verifica un’altra nella parte a tergo del torace, ma che scende verso terra, il che costituisce la seconda fase. E’ interessante notare che, in ciascuna metà del corpo, vi è un movimento alternante tanto verso l’alto quanto verso il basso, ciascuna metà ha un flusso simultaneo che segue queste direzioni.

Le correnti si congiungono dove comincia il collo e proseguono sino all’altra metà della testa. La direzione alternata del movimento del campo energetico è rappresentata dal fluire alternato sulle due metà del corpo, come quando si passeggia e si corre o si cambia luogo, stando sulla superficie terrestre. Queste due fasi si fondono sulla linea mediana del corpo, longitudinalmente. Sicché, dopo aver osservato il campo energetico mentre il soggetto rimane di profilo, constatiamo che esso pulsa nella zona mediana, e più precisamente nell’area degli organi viventi, verso la testa e verso i piedi, sia davanti che dietro il corpo, simultaneamente. Ne scaturisce il seguente assunto: si ritiene che vi debbano essere una quantità di movimenti, con un moto spiraliforme, insiti nel campo organotico, all’interno del corpo che ne è ingolfato, che fanno altrettanto con gli organi vitali, come il cuore, i polmoni, il fegato e gli intestini. Ciò è convalidato dalla f1gura di quegli organi e dal loro intreccio spontaneo, nonché dal loro movimento avvolgente. Tuttavia se paragoniamo l’organismo umano ad un cilindro flessibile, notiamo che vi possono essere, sostanzialmente, due specie di movimenti: uno lungo il proprio asse longitudinale ed un altro lungo il suo diametro. Tutti gli altri movimenti sono forse dovuti a quelle due principali direzioni. Il movimento longitudinale, se è diretto contro la base che sostiene il cilindro lo si può muovere da un punto all’altro della superficie terrestre. Nel corpo umano, ciò si verifica quando si passeggia o ci si muove.

Il movimento lungo il suo diametro può verificarsi sia andando verso il centro che allontanandosene è, se i movimenti sono flessibili, possono gonfiare e sgonfiare le pareti del cilindro. Questo genere di movimenti è collegato alle fasi che concernano l’espansione e la contrazione del corpo. Il movimento primordiale è di importanza determinante tanto negli organismi primitivi quanto nelle amebe. Nell’uomo, entrambi i movimenti costituiscono l’uno una manifestazione dell’altro. Il movimento longitudinale mantiene il corpo eretto, quello trasversale fa espandere e contrarre l’organismo. Questi principi sono stati descritti ne: “La Dinamica Fisica della Struttura Caratteriale” del Dr. Alexander Lowen. Quanto segue è una spiegazione di quel che costituisce il movimento del campo energetico, desunta in seguito alle mie osservazioni. Vi è un movimento longitudinale determinante, all’interno del cilindro umano che viene emanato dagli organismi vitali, non appena il campo si muove verso l’alto, in direzione della testa o andando in basso verso i piedi. Questo movimento, inoltre, permea tutti i tessuti con rapidità, espandendosi radicalmente, non ne è ostacolato dalla configurazione anatomica e raggiunge la superficie del corpo senza trovare alcun ostacolo. Si crea così la percezione visiva di quel fenomeno che è il campo energetico con i suoi tre strati. Ciò che vediamo sono in effetti, i mutamenti nell’atmosfera circostante che si verifica nello stesso modo de vapore, quando lo vediamo innalzarsi dal liquido in ebollizione; differiscono soltanto nello stato che, questo caso, è gassoso. Analogamente, i! campo energetico, visto attraverso l’involucro. che circonda l’organismo umano, costituisce una forma modificata del flusso energetico all’interno del corpo. Studiando le caratteristiche possiamo scoprire il suo autentico movimento, la sua composizione, la sua consistenza ed i movimenti che si verificano nelle condizioni patologiche o nei semplici processi vitali con tutte le variazioni. Attualmente il campo energetico è un’immagine riflessa delle moltissime energie movimento che si espandono in tutte le direzioni, una volta che sono partite dal corpo umano. Si può affermare che gli aspetti determinanti più comuni, riguardanti il tipico movimento di tale campo sono i seguenti:
1) Per quanto concerne l’organismo in posizione verticale, (dall’alto) visto in tutta la sua estensione, il suo campo energetico assume la forma di una svastica o di una figura a forma di 8.
2)’Nella figura vista di profilo il campo assume, approssimativamente, la forma di un fagiolo.
3) Vi sono movimenti spiraliformi che collegano le due metà del corpo e le due metà di ciascun organo.

Pranic Healing

Cos’è il Pranic Healing

Il Pranic Healing del Maestro CHOA KOK SUI è una tecnica energetica finalizzata a strumento di benessere, sviluppo delle facoltà psichiche, sviluppo della conoscenza del Sè interiore, tecnica di meditazione, conoscenza della cultura esoterica fondamentale. L’insegnamento è semplice e progressivo, dai concetti più elementari fino ai più complessi e preziosi.

Il Pranic Healing è una tecnica semplice ed efficace. Chiunque può apprenderla. Nelle nostre mani è racchiuso un potere straordinario, se qualcuno ci insegna a risvegliarlo e a potenziarlo: questo potere si manifesta in forma di energia. La parola prana, secondo la tradizione indiana, vuol dire energia vitale. E infatti il Pranic Healing è la guarigione e autoguarigione attraverso l’uso di questa energia, presente ovunque, che ognuno di noi possiede. Per questo il motto del Pranic Healing è “Anche tu sei un guaritore”.

Il Pranic Healing viene sempre più spesso riconosciuto come una tecnica con basi scientifiche e utilizzato in ambienti accademici.

Attraverso questi studi si sviluppano capacità psichiche come la percezione tattile sottile o la percezione visiva delle aure e degli altri fenomeni energetici.

L’espansione del proprio Sè interiore ci fornisce una migliore qualità della vita permettendoci di relazionarci in modo più armonioso con il mondo che ci circonda.

Le pratiche meditative ci accompagnano nell’acquisizione del controllo della mente (meditazione Dyan o Zen), nello sviluppo della virtù dell’altruismo e dell’amore verso il tutto (meditazione Twin Hearts), della presa di coscienza del proprio Sè Divino (meditazione per l’unione con l’Anima), sviluppo dei propri poteri fisici e psichici (meditazione Kundalini).Queste pratiche meditative fanno parte dell’insegnamento per lo sviluppo individuale fortemente voluto dal Maestro CHOA KOK SUI

Il Pranic Healing prevede lo studio dei principali e più importanti testi di conoscenza esoterica. Arthur E. Powell, Yogananda, Alice Bailay, Madame Blavatsky, Lead Beater, Annie Besant, Rudolf Steiner.

E’ possibile seguire i corsi di Pranic Healing in modo amatoriale o frequentare la scuola professionale triennale.

Come agiscono le tecniche per il benessere?

I disturbi fisici, emozionali o mentali si manifestano come alterazioni del corpo energetico. Il Pranic Healing è in grado di correggere questi squilibri per mezzo di: diagnosi energetica rimozione delle energie congestionate proiezione di energia vitale. Il Pranic Healing insegna inoltre come incrementare il potere di guarigione del terapeuta, proteggersi dalla contaminazione eterica, rafforzare la salute fisica, emozionale, mentale ed aumentare il proprio potere personale e la propria vitalità, prevenire le malattie, materializzare i propri obiettivi, sviluppare una migliore sensibilità, compassione e pace interiore, accelerare la propria crescita spirituale in modo sicuro. Il Pranic Healing non intende sostituirsi alla medicina allopatica e alle ordinarie terapie mediche ma esserle piuttosto un complemento, priva di pericolo, ecologica, economica, di integrazione, riequilibrio e disintossicazione delle energie vitali.

Come si impara il Pranic Healing ?

Gli insegnamenti del Maestro CHOA KOK SUI vengono diffusi con seminari di primo livello della durata di due giorni. Frequentando i nostri seminari le persone si sorprendono per la semplicità ed efficacia del metodo e quando scoprono il naturale potere della guarigione si rendono conto di poter esercitare un cambiamento nella propria vita. Ogni partecipante riceverà un attestato di partecipazione dell’Institute for Inner Studies di Manila che conferma l’originalità e la purezza dell’insegnamento.

Tutti i nostri istruttori hanno seguito una specifica formazione non inferiore ai tre anni, e sono tenuti a insegnare seguendo scrupolosamente gli insegnamenti del Maestro CHOA KOK SUI, come lui diceva: “senza nulla togliere, senza nulla aggiungere”.

A chi è indicato il Reiki

Dal punto di vista dell’indicazione clinica, Reiki ci sembra particolarmente efficace nei pazienti psicosomatici o comunque nei pazienti che, presentando un sintomo somatico, sono quelli più bisognosi di una relazione primaria, di un’energia benefica nutritiva che dal terapeuta passa al paziente, di un’oblatività affettiva, come cibo caldo e nutriente, come il latte materno: pazienti che nutrono inconsciamente un profondo bisogno “orale”, anche camuffato dal sintomo specifico.

Solo attraverso il contatto e il “regressivo” rapporto col terapeuta si può, infatti, ricostruire un io corporeo e dal corpo passare alla psiche formando un’unità equilibrata somato/psichica o psico/somatica che dir si voglia, favorendo la riparazione di ferite laceranti di una superfice cutanea che non è stata abbastanza accarezzata, manipolata ed è stata troppo esposta alle intemperie di un ambiente estraneo, sia emotivamente che fisicamente.

La terapia di “contatto” ci sembra meno indicata, o meglio con minori possibilità di successo, nei pazienti ossessivi che vogliono mantenere il controllo, che non sanno e non vogliono lasciarsi andare.

Una mente iper-razionale e iper-controllante difficilmente accetta di aprirsi ad una tecnica che utilizza il “contatto” come “cura”.

D’altro canto, è anche vero che il concetto di una “mano che cura” non può essere afferrato mentalmente, ma è semplicemente una esperienza da vivere, una apertura alla fiducia, una sfida alle regole della “logica”, che, invece, tutto vuole dimostrare, analizzare, “capire” (dal latino capiere = afferrare).

Nel Reiki è fondamentale l’atteggiamento del “lasciarsi andare” (nell’abbandono e nell’affidamento all’altro) e di “lasciar andare” (certezze matematiche, rigide norme di causa-effetto, controllo).

In sintesi, le componenti terapeutiche di tutte le psicoterapie di “contatto” ed in particolare del Reiki stanno nel rilassamento, con momenti di abbandono ad una figura materna rassicurante, nel rispetto della totalità di un corpo non più frammentato agli occhi del terapeuta, nel passaggio di calore – energia amorevole, in un maternage, che apporta sostituti delle carezze primirtive tanto desiderate.

*Luisa Merati (medico internista, nefrologo, immunologo e psicologo clinico)

Tratto da RIZA SCIENZE – REIKI IL TOCCO CHE CURA, numero 164, gennaio 2002, pag. 30-31 in Reiki e Psicoterapia

L’Energia Vitale di Luisa Merati

L’esistenza dell’energia cosmica vitale (prana) e la sua influenza sulla salute del corpo erano noti in India fin dal 5.000 a.C.. Gli yogi attingevano a questa energia mediante tecniche respiratorie, meditazione e posture fisiche che consentivano di entrare in uno stato di coscienza modificato, che apriva alla intuizione profonda, e di conservare salute e giovinezza molto a lungo.

Per i Cinesi e fin dal 3.000 a.C., tutta la materia, vitale o non, è permeata di energia (chi), costituita da due polarità (Yin e Yang) che, in stato di armonioso equilibrio, assicurano salute e benessere; in caso contrario, generano malattia e disagio psichico. In Giappone tale energia dinamica, sottile, presente in tutte le cose viene denominata ki: quando un individuo è sano, il ritmo e la qualità delle sue vibrazioni energetiche (rei) saranno in armonia con quelle dell’ambiente circostante, ovvero il rei della persona sarà in armonia con il ki di ciò che la circonda: è lo stato di “rei-ki”.

Nella cultura ebraica e cristiana tale energia è indicata come “luce astrale” o “aura di luce”, raffigurata nella iconografia sacra come aureola luminosa attorno al Cristo e ai Santi.
Paracelso, celebre medico del XVI secolo, denominò tale energia “arqueo”, una entità composta da forza e materia vitale: mediante questa energia il medico esercitava sul malato un effetto molto più grande di qualunque farmaco, accedendo direttamente alla capacità immaginanativa del paziente.

Anche gli ipnotizzatori davano grande importanza alla “forza” che dall’ipnotista passava all’ipnotizzato. In particolare Mesmer, colui che nel XIX secolo portò l’ipnotismo al rango di terapia “scientifica”, esponeva quattro principi fondamentali: 1) un sottile fluido fisico (fluidum) riempie l’universo e forma un mezzo di connessione tra l’uomo e la terra, i corpi celesti e anche tra uomo e uomo; 2) la malattia ha origine dalla distribuzione non omogenea di tale fluido all’interno del corpo umano. La guarigione si ottiene quando viene restituito l’equilibrio; 3) con l’aiuto di talune tecniche il fluido può essere incanalato e immagazzinato, e convogliato in altre persone; 4) in questo modo si possono provocare nel paziente delle “crisi” di guarigione e si possono curare le malattie.

Questo fluido misterioso si chiamava anche “magnetismo animale” e malati erano i soggetti che avevano meno magnetismo dei sani. Con questo fenomeno Mesmer spiegava anche l’influsso del sole, della luna e dei pianeti sul corpo umano e anche la periodicità delle manifestazioni di certe malattie.
Più tardi altri studiosi del fenomeno (es. Kluge) scrissero che magnetista e paziente formavano un cerchio magnetico, un mondo chiuso di due individui e che tale cerchio doveva essere protetto dal rumore, dalla luce, dalle interferenze esterne, paragonando l’unità magnetizzatore-paziente alla relazione tra madre e feto nella gravidanza.

Nel XX secolo Wilhelm Reich, psichiatra, allievo di Freud, denominò l’energia universale “orgone”, per la relazione con “organismo” e con “orgasmo”, e sviluppò tecniche psicoterapeutiche atte a sbloccare il flusso naturale dell’energia orgonica nel corpo. Costruì anche un accumulatore energetico per concentrare l’energia cosmica necessaria per caricare diversi oggetti, ma soprattutto per trattare pazienti affetti da malattie gravi come anemie, tumori e altre.

Reiki e Sanità: un connubio possibile?

Premessa
Queste pagine sono state scritte al fine di informare in modo corretto rispetto al Reiki ed ai suoi attuali utilizzi in campo sanitario in Italia e nel mondo, eliminando malintesi e pregiudizi e facilitandone la sua accettazione anche nel nostro paese, così come avviene ad esempio in USA e Canada.
Da questo documento sono stati esclusi gli esempi che non erano riscontrabili o per i quali mancavano i riferimenti utili per contattare le persone/gli ospedali citati, in modo da fornire solo dati certi che rendano queste pagine uno strumento utile per chi voglia approfondire i vari argomenti trattati.
Rispetto al Reiki, coloro che non lo conoscono e desiderano capire di cosa si tratta possono visitare in questo sito la parte riguardante questa tecnica e la sua storia. Tuttavia per chi avesse il desiderio di conoscere realmente il Reiki consiglio di frequentare un corso di primo livello, non essendo facile attraverso libri e descrizioni comprendere appieno questa tecnica, così lontana da ciò a cui siamo abituati (1)

Studi scientifici riguardanti l’efficacia del Reiki
In questo dossier sono state volutamente ignorate le numerosissime testimonianze, relative a guarigioni o benefici in seguito a cicli di trattamenti Reiki, aventi carattere descrittivo o aneddotico e quindi non adatte ad esami di tipo statistico. Vi sono però numerosi studi condotti con criteri rigorosamente scientifici e da persone preparate per condurli (generalmente medici): per quelli di cui sono a conoscenza fornisco qui di seguito i riferimenti.

In Italia
La Dott.ssa Silvia Cecchini (2) ha condotto uno studio controllato in portatrici di infezione cervicale da HPV trattate con Reiki, con gruppo di controllo: dopo 6 mesi la percentuale di regressione spontanea nelle pazienti non trattate è stata del 27%, coerente con la percentuale riportata dalla letteratura, mentre per il gruppo trattato con Reiki la regressione si è avuta nell’83% dei casi.
La Dott.ssa Luisa Merati (3) coordina un progetto di ricerca riguardante l’efficacia del Reiki nella terapia dell’emicrania presso l’Ospedale S. Carlo Borromeo di Milano: viene proposto ai pazienti un ciclo di trattamenti Reiki a pagamento, monitorando lo stato del paziente prima e dopo la cura. I risultati dello studio (Riza Scienze, 1/04) evidenziano che “il trattamento Reiki ha indotto, nella quasi totalità delle sedute, uno stato di rilassamento medio / profondo: dato interessante trattandosi di pazienti sofferenti di emicranie, che normalmente incontrano difficoltà ad abbandonare il controllo e a lasciarsi andare”.
Per approfondimenti rimando all’articolo su Lifegate ed al sito del Centro Medicina Psicosomatica dell’Ospedale San Carlo Borromeo, dove nella sezione “servizi al pubblico” troverete alnche il Reiki con le relative tariffe e la dottoressa da contattare per i trattamenti.

Negli USA
Su questo sito è presente una raccolta di studi scientifici provenienti soprattutto dagli USA, in parte raccolti grazie al lavoro della già citata Dott.ssa Silvia Cecchini, che hanno dato esito positivo riguardo all’efficacia del Reiki nel trattare le patologie oggetto degli studi stessi.

Reiki nel Servizio Sanitario Nazionale
L’OMS segue con attenzione da anni il ritorno alle terapie non convenzionali e la loro diffusione, tanto che proprio nell’ambito del Centro per le medicine tradizionali dell’OMS sono state prodotte delle linee guida per la pratica dell’agopuntura e per la ricerca sulle medicine complementari. La traduzione italiana delle linee guida è stata presentata il 5 ottobre 2002 a Milano, nel corso di un convegno che si è svolto all’Università Statale. Durante il convegno Xiaroui Zhang, coordinatrice del Centro per le medicine tradizionali, ha elencato gli obiettivi del Centro OMS: favorire l’integrazione delle medicine complementari nei sistemi sanitari pubblici o assicurativi, produrre studi di efficacia sulle diverse terapie, fare in modo che le cure siano accessibili a tutti ma nello stesso tempo distribuite in modo razionale. Non dimentichiamo che per quasi 5 miliardi di persone la medicina alternativa è la nostra!
In alcuni paesi, come ad es. negli USA, molto si è già fatto in questa direzione, ed in Italia credo di poter affermare che stiamo recuperando il ritardo.
La già citata Dott.ssa Silvia Cecchini sul suo sito internet ha lanciato un appello per l’introduzione del Reiki nel S.S.N., dichiarando fra l’altro “Penso che sarebbe un grande passo avanti per ogni ospedale promuovere corsi di aggiornamento per personale medico e paramedico sul Reiki”. Due medici di Milano (3)(4) hanno curato una pubblicazione di Riza Scienze (gennaio 2002) dedicata al Reiki nella quale si dichiara di auspicare l’ingresso del Reiki all’interno degli ospedali. Su questa pubblicazione, nel capitolo intitolato “Vantaggi economici del Reiki nella gestione sanitaria” possiamo leggere:
“Reiki ha una grande potenzialità in campo medico sanitario in quanto:
– non ha effetti collaterali, né tantomeno controindicazioni
– è estremamente riproducibile, indipendentemente dalla persona fisica del curante
– è praticabile da medici, infermieri, fisioterapisti, psicologi o volontari, su pazienti ricoverati in ospedale o in hospice, in regime ambulatoriale o di day-hospital, e a domicilio. A domicilio può essere eseguito anche dai familiari dei pazienti e dal paziente stesso con l’auto-trattamento, senza costi aggiuntivi per il sistema sanitario.
– Non utilizza aghi, strumenti o apparecchiature, o strutture particolari
– È di facile apprendimento ed alla portata di tutti. Le attivazioni di primo livello si effettuano in 12 ore da parte di un Reiki Master.”
Qui di seguito cercherò di dare un’idea su quanto viene già fatto a livello sanitario in Italia e negli USA, sapendo di non poter essere esaustivo essendo l’argomento vasto ed in continua evoluzione, e fornirò i riferimenti necessari per eventuali approfondimenti.
Per semplicità ho qui diviso la trattazione in tre differenti modalità di utilizzo del Reiki: come aiuto per l’operatore sanitario, come cura palliativa e come cura vera e propria.

1 – L’operatore sanitario per sé.
Le professioni mediche e paramediche sottopongono il personale ad uno stress superiore a molte altre professioni. Il Reiki ha un’efficacia comprovata nella prevenzione e cura del “burnout”, aiuta a riprendersi dalla fatica fisica, dallo stress per i cambiamenti di orario dovuto ai turni, migliora la qualità del sonno e più in generale rinforza il sistema immunitario della persona, diminuendo le probabilità di assenze per malattia.
Il CESPI di Torino, ente di formazione per gli infermieri collegato all’Ipasvi (Collegio degli infermieri), dall’autunno del 2002 include corsi di Reiki nel suo programma.

Negli USA i corsi di Reiki vengono inseriti dalle associazioni professionali tra quelli che danno diritto all’acquisizione di “crediti formativi”, chiamati in questo paese CEU (Continuing Education Units): per esempio un coso base di Reiki (il così detto primo livello) dà diritto a 7 punti CEU presso l’American Holistic Nurses Association (AHNA) e presso il National Certification Board of Therapeutic Massage and Bodywork (NCBTMB). Per approfondimenti su questo punto contattare l’International Center for Reiki Training in Michigan.

2 – Sui malati, come cura palliativa
L’efficacia del Reiki per tranquillizzare e rasserenare i pazienti (ad esempio prima di un’operazione), come terapia antidolore, ecc. è universalmente riconosciuta. Il primo reparto di ospedale in cui si inizia a utilizzare il Reiki è spesso, non a caso, quello di oncologia. In questo sito si trova qualche esempio di ospedale che utilizza il Reiki a questo scopo, in Italia e nel mondo. Come parere medico sull’argomento cito nuovamente la Dott.ssa E. Cofrancesco che scrive su Riza Scienze di gennaio 2002, pag 46: “Reiki affianca le terapie convenzionali in numerosi centri ospedalieri di tutto il mondo. Trattandosi di una tecnica “dolce” di distensione e analgesia e presentando i vantaggio di essere a basso costo, facilmente riproducibile ed alla portata di tutti, si presta molto bene come trattamento di supporto e integrativo nella terapia del dolore del malato cronico (artritico, artrosico, fibromialgico), nel male di schiena (back pain), nella cefalea e nel malato oncologico. Nel malato oncologico si è dimostrato utile come trattamento palliativo anche durante i cicli di radioterapia e chemioterapia nel controllo dei sintomi collaterali (sispnea, nausea, vomito, dolori addominali, diarrea). Per lo stato profondo di rilassamento che può indurre, associato ad uno stato di coscienza di tipo meditativo, Reiki può essere di aiuto e di sostegno psicologico anche nell’ammalato terminale. Presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center a New York è utilizzato tra le tecniche palliative individuali di sostegno al malato oncologico, inclusi i pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo. A Milano, presso il Centro di Medicina Psicosomatica dell’Ospedale S. Carlo Borromeo, Reiki è utilizzato come tecnica integrativa di rilassamento e analgesia in pazienti affetti da emicrania. Così pure è segnalato l’uso di Reiki in numerosi altri centri, come il California Pacific Medical Center (CA), il Portsmouth Regional Hospital (NY), il Marin General Hospital a nord di S. Francisco (CA) e molti altri. In questi centri, statunitensi e del Canada, Reiki è utilizzato per lo più dal personale infermieristico e dai fisioterapisti e rientra nel curriculum formativo di queste figure professionali. Inoltre è utilizzato anche da volontari. In questi centri Reiki è utilizzato come un “supplemento” e non come un “sostituto” della terapia convenzionale, e quindi come terapia “complementare” e non come terapia “alternativa” alla terapia ufficiale. Viene utilizzato quindi in pazienti con una diagnosi ben circostanziata e che stanno già ricevendo il trattamento ottimale secondo il sistema medico convenzionale.”

3 – Come cura vera e propria
Anche in questo tipo di utilizzo di solito, ma non necessariamente, il Reiki integra le terapie convenzionali: è il caso per esempio dell’utilizzo nel reparto di pronto soccorso o in sala operatoria (per le sue qualità di antiemorragico, di equilibratore della pressione, ecc.).
Numerosi esempi di impiego del Reiki in ospedale si trovano in vari paesi e soprattutto negli USA, primo paese occidentale in cui il Reiki si è diffuso.

Quanto sopra non pretende di essere esaustivo su un argomento in continua evoluzione qual è l’utilizzo del Reiki nella Sanità: piuttosto si vuol fornire un punto di partenza ed un aiuto per chi volesse farsi un’idea della situazione in questo momento. Eventuali segnalazioni sono certamente gradite e verranno integrate, previa verifica.

La Respirazione, da Malattia e destino di Thorwald Detlefsen

La respirazione comprende la polarità del prendere e dare, e questo è il simbolismo più importane della respirazione. Le lingue antiche usano la stessa parola per indicare respirare e anima o spirito. In latino spirare (respirare) e spritus nella parola inspirazione.

In greco psiche significa respiro ed anche anima. In sanscrito troviamo la parola atman, passata alla moderna lingua indiana, che risulta parente, stretto del tedesco atmen = respirare. In India una persona che ha raggiunto la perfezione viene chiamata Mahatma, che significa letteralmente “grande anima” e anche “grande respiro”.

Dalla filosofia indiana apprendiamo anche che il respiro è, il latore della forza di vita, che gli indiani chiamano “prana”. Nella storia biblica della creazione ci viene raccontato che Dio soffiò sulla zolla di terra e in questo modo l’uomo diventò un essere vivente.

La respirazione comprende la polarità del prendere e dare, e questo è il simbolismo più importane della respirazione. Le lingue antiche usano la stessa parola per indicare respirare e anima o spirito. In latino spirare (respirare) e spritus nella parola inspirazione. In greco psiche significa respiro ed anche anima. In sanscrito troviamo la parola atman, passata alla moderna lingua indiana, che risulta parente, stretto del tedesco atmen = respirare. In India una persona che ha raggiunto la perfezione viene chiamata Mahatma, che significa letteralmente “grande anima” e anche “grande respiro”. Dalla filosofia indiana apprendiamo anche che il respiro è, il latore della forza di vita, che gli indiani chiamano “prana”.

Nella storia biblica della creazione ci viene raccontato che Dio soffiò sulla zolla di terra e in questo modo l’uomo diventò un essere vivente. Qui risiede la sua importanza: il respiro evita che l’uomo si chiuda, si isoli, renda impenetrabile il limite del proprio Io. Per quanto all’uomo piaccia incapsularsi nel proprio Io il respiro lo costringe a mantenere il rapporto con il non-Io. Rendiamoci conto che respiriamo la stessa aria che respira anche il nostro nemico.

Il respiro ci rapporta costantemente a tutto. Il respiro ha quindi a che fare col “contatto” e con la “relazione”. Questo contatto che viene da fuori la propria corporeità avviene negli alveoli polmonari. Il nostro polmone possiede una superficie interna di circa settanta metri quadrati, mentre la superficie della nostra epidermide misura soltanto un metro quadrato o due. Il polmone è il nostro maggiore organo di contatto. Il contatto che stabiliamo con i polmoni è indiretto ma coattivo. Non possiamo impedirlo.

Un sintomo patologico può essere sballottato tra i due organi di contatto: una reazione cutanea repressa può manifestarsi come asma, che curata può trasformarsi di nuovo in una reazione cutanea. Sia l’asma che la reazione cutanea esprimono lo stesso problema; contatto, rapporto. Il rifiuto di prendere contatto con qualcuno attraverso il respiro si manifesta per esempio in uno spasmo respiratorio, come è il caso dell’asma. Anche la proverbiale fame d’aria che ci assale specialmente in ambienti stretti e sovraffollati, è fame di libertà e di spazio libero.

L’asma bronchiale
L’attacco d’asma viene vissuto dal paziente come una sorta di pericoloso soffocamento, chi ne è colpito lotta per l’aria, respira faticosamente, faticando specialmente nell’espirazione. L’asmatico cerca di prendere troppo. Inspira a pieni polmoni e arriva a un sovraccarico dei polmoni e quindi a un crampo respiratorio. Si prende fino al limite estremo possibile e quando si deve restituire, si arriva al crampo. Nell’inspirazione immettiamo ossigeno, nell’espirazione emettiamo anidride carbonica. L’asmatico vuole tenersi tutto e in questo modo si avvelena da solo, in quanto non riesce più a liberarsi di ciò che ha ormai utilizzato. Questo prendere senza dare porta letteralmente ad una sensazione di soffocamento. Il rapporto di dare ed avere deve stare in equilibrio se non si vuole che quanto abbiamo appreso ci soffochi. L’uomo riceve nella misura in cui dà. Se il dare si interrompe, si interrompe il flusso. Se soltanto l’uomo potesse capire che per tutti c’è tutto in abbondanza. Guardiamo dunque l’asmatico: lotta per l’aria, sebbene ne abbia abbondanza. Ma certuni non sono mai sazi. L’asmatico avverte come pericolose le sostanze più semplici ed innocue dell’ambiente circostante e si chiude subito nei loro confronti. L’asma spesso è strettamente legata ad un’allergia. Il senso di soffocamento, di ristrettezza dell’asma ha molto a che fare con la paura, con la paura di lasciar penetrare determinati aspetti della vita, come anche nelle persone allergiche. L’asmatico possiede una grande pretesa di dominio, pretesa sospinta nel corpo sotto forma di “gonfiore”. Questo gonfiore ha la sensazione di scoppiare, ma ogni possibilità di articolare in grida o improperi, la sua aggressività resta nascosta nei polmoni. In questo modo queste manifestazioni aggressive regrediscono sul piano fisico e si manifestano sotto forma di tosse ed espettorazioone. Pensiamo all’espressione sputare in faccia a qualcuno. L’asmatico vorrebbe potersi collocare in alto per non venire in contatto con ciò che sta in basso. Cerca aria pulita. Vorrebbe vivere in cima alle montagne. Qui il suo desiderio di dominio si esprime in pieno. Sale, simbolo del deserto, simbolo del regno minerale, simbolo di ciò che non ha vita. Questo è l’ambiente dove l’asmatico sogna di vivere perché ha paura di ciò che è vivo. L’asmatico è una persona che ha bisogno di amore, vuole avere amore per questo inspira tanto. Però non può dare amore, l’espirazione gli è impedita.

Raffreddore, e affezioni influenzali
L’influenza e il raffreddore sono processi infiammativi acuti e così sappiamo che sono l’espressione di un conflitto. Un raffreddore si manifesta sempre in situazioni di crisi, quando veramente non se ne può più. Con situazioni di crisi intendiamo quelle situazioni frequenti, non sensazionali, ma per la psiche ugualmente importanti, che avvertiamo come un sovraccarico, per cui cerchiamo un motivo legittimo per sottrarcene, in quanto la situazione richiede troppo da noi. Il nostro raffreddore ci consente di sottrarci un poco alla situazione e di rivolgerci un poco di più a noi stessi. Il naso è intasato e rende impossibile ogni tipo di comunicazione con in più la minaccia “Non avvicinatevi, sono raffreddato” che tiene tutti a distanza. Una tosse violenta mostra che il piacere della comunicazione si limita a gettare in faccia qualcosa a qualcuno. Le tonsille si gonfiano tanto che non è più possibile inghiottire tutto. Inghiottire è un atto di accettazione. Ogni raffreddore rimette in moto qualcosa e segnala un piccolo progresso in una situazione di evoluzione. La medicina naturale vede nel raffreddore un processo di purificazione che libera il corpo dalle tossine e sul piano psichico le tossine corrispondono a problemi che devono essere resi più fluidi e risolti.

La respirazione
Da: Malattia e destino di Thorwald Detlefsen
pagg. 127-137 (sunto a cura di E.V.)

Abbiamo due cervelli: uno in testa e uno in pancia

La rivoluzionaria scoperta del cervello addominale: ricorda, ha nevrosi e domina il “collega” più nobile.

Ci accorgiamo solo del cervello nella testa perché è sede della coscienza, ma – come si usa dire – a decidere è spesso la pancia, o meglio, i centri nervosi lì appena scoperti.

La strada del cibo dallo stomaco all’ano è lunga: prima 30 cm di duodeno, poi 5 metri di intestino tenue, infine 1,5 m d’intestino crasso. Per dirigere le 4 fasi della peristalsi serve un secondo cervello.

Il cervello (della testa) invia poche informazioni al sistema nervoso intestinale che è in gran parte indipendente. Il 90% delle informazioni va dal basso verso l’alto, dall’addome al cervello.

Nella parete intestinale si nascondono due strati sottilissimi di un sistema nervoso complesso, il secondo per grandezza dopo quello della testa. Questi strati avvolgono il tratto digerente come una calza a rete. In questo modo possono coordinare i movimenti del “riflesso peristaltico” che fa avanzare il cibo nell’intestino.

Il meccanismo può essere riassunto così: i neuroni nella parete intestinale sentono dove si trova un boccone di cibo (bolo) perché vengono stiracchiati dalla massa in transito. In seguito a questa “percezione”, le cellule enterocromaffini secernono serotonina, molecola che stimola le cellule nervose nel plesso sottomucoso. Queste, a loro volta, inviano segnali alle cellule muscolari che si attivano, dilatando e contraendo l’intestino.

Se il riflesso peristaltico viene inibito, per esempio per poca serotonina, si ha la stitichezza; al contrario un’eccessiva stimolazione dovuta a troppa serotonina provoca diarrea.

Il cervello addominale ha anche il compito di passare informazioni alla testa. In parte si tratta di segnali evidenti, come il vomito in caso di avvelenamento. Ma molti altri messaggi sarebbero spontanei, legati alle emozioni, e impercepibili alla coscienza: inconsci.

In tutte le culture, nei modi di dire, nel senso comune, la pancia è tradizionalmente la sede principale (più del cervello) dei sentimenti e delle emozioni. Ma fino a oggi per gli scienziati era un semplice tubo governato da riflessi; e per la maggior parte dei cittadini del mondo occidentale solo la parte più prosaica, viscida e rumorosa del corpo umano.

Finché a qualcuno non è venuto in mente di contare le fibre nervose dell’intestino. E ha così scoperto che i modi di dire si basavano su una realtà scientifica: nella pancia c’è un secondo cervello, quasi una copia di quello che abbiamo nella testa. Non serve solo alla digestione. Come il cervello della testa anche quello addominale produce sostanze psicoattive che influenzano gli stati d’animo, come la serotonina, la dopamina, ma anche oppiacei antidolorifici e persino benzodiazepine, sostanze calmanti come il valium.

Anche il collega “di sotto” soffre di stress e nevrosi

Il cervello addominale, insomma, lavora in modo autonomo e invia più segnali al cervello “nella testa” di quanti non ne riceva da esso. Aiuta a fissare i ricordi legati alle emozioni. Può ammalarsi, soffrire di stress e sviluppare proprie nevrosi. Prova sensazioni, “pensa” e ricorda. E aiuta a prendere decisioni.

Che bisogno c’era di due cervelli? “Nella scatola cranica tutto non ci stava” spiega Michael Schemann, docente di fisiologia alla facoltà di veterinaria di Hannover (Germania). “Per far passare i collegamenti col resto del corpo il collo avrebbe dovuto avere un diametro enorme. E poi, appena dopo la nascita, il neonato deve mangiare, bere e digerire: meglio che queste funzioni fondamentali siano autonome”.

Durante la formazione dell’embrione, quindi, una parte delle cellule nervose viene inglobata nella testa, un’altra va nell’addome: i collegamenti fra i due sono tenuti dal midollo spinale e dal nervo vago. Al secondo cervello sono affidate le “decisioni viscerali”, cioè spontanee e inconsapevoli: ha quindi un ruolo importante nella gioia e nel dolore.

Per studiare questo secondo cervello è nata una nuova scienza, la neurogastroenterologia. Le basi le ha gettate, a metà dell’800, Leopold Auerbach, un neurologo tedesco che, osservando al microscopio l’intestino, notò due strati sottilissimi di cellule nervose tra due strati di muscolo. E scoprì che questa specie di calza a rete avvolge tutto il tratto digerente, fino al retto.

Stesse cellule, stessi principi attivi e recettori: sono quasi identici

A che cosa servono? si chiese Auerbach. Allora dell’intestino non si sapeva molto se non che estrae l’energia dal cibo. Di qui, nell’arco di una vita, passano più di 30 tonnellate di alimenti e 50 mila litri di liquido. Il cuore, al confronto, è una pompa primitiva. Una volta masticato in bocca e intriso di succhi gastrici nello stomaco, il boccone, divenuto chimo (cioè poltiglia), viene compresso nel duodeno, il primo tratto dell’intestino lungo 30 cm. Qui affluiscono le secrezioni del pancreas e della cistifellea i cui enzimi scompongono il chimo in molecole piccolissime. Poi il chimo passa nell’intestino tenue, lungo fino a 5 metri, dove avviene la digestione. Il cibo sminuzzato, i grassi, i carboidrati e le proteine vengono assorbiti nei vasi sanguigni e linfatici da miliardi di piccoli villi che tappezzano le pareti. Dopo l’intestino tenue, c’è il crasso, lungo 1,5 metri: serve a riassorbire i 9 litri di liquidi necessari alla digestione. Le pompe molecolari del crasso assorbono quest’acqua e la restituiscono all’organismo. Alla fine del viaggio i residui di cibo, le cellule morte e i microrganismi vengono spinti verso l’uscita, l’ano, grazie a un robusto fascio muscolare.

La rete di cellule nervose intravista da Auerbach è la centralina di gestione e di controllo: non si limita ad analizzare la composizione del cibo e a coordinare i meccanismi di assorbimento e di escrezione. Comanda anche la velocità del transito e altre funzioni grazie all’equilibrio tra neurotrasmettitori inibitori ed eccitatori, ormoni stimolanti e secrezioni protettive.

Quella che per noi è solo una bistecca, per il cervello addominale è una realtà fatta di milioni di sostanze chimiche da analizzare, per decidere se si tratta di elementi da assorbire, di un veleno o di un microrganismo da tenere a distanza.

Perché il cervello dell’addome è anche l’organizzatore del fronte contro gli invasori. Il suo compito principale è sovrintendere alla superficie più grande del corpo umano in contatto con l’esterno.

È la parte più estesa a contatto con l’esterno: siamo cavi

“All’interno siamo cavi” dice Michael D. Gershon, neuroscienziato della Columbia University di New York. “Il corpo viene a contatto con l’esterno non solo attraverso la pelle ma anche attraverso la parete dell’intestino. Un tunnel così ben costruito da consentire all’ambiente circostante di attraversarci senza farci alcun danno”.

Nell’intestino infatti abitano circa 500 specie di esseri potenzialmente letali. Addirittura metà delle feci è fatta di batteri morti. Per questo le pareti dell’intestino devono essere la difesa più efficiente dell’organismo. Così si spiega perché vi si trovino il 70% delle cellule del sistema immunitario. E se nell’addome penetrano veleni, il cervello addominale avverte il cervello della testa che reagisce con una strategia prestabilita: vomito, crampi e diarrea.

Se il veleno è identificato precocemente viene eliminato dall’alto, per la via più breve. Se invece è già a mezza strada, entra in gioco il riflesso peristaltico. È fatto di contrazioni ondulatorie della parete muscolare dell’intestino, che spingono il contenuto dalla bocca verso l’ano. Queste contrazioni sono sincronizzate dal cervello addominale, stimolato dalla pressione sulle sue pareti. Basta che un boccone di cibo dilati un segmento dell’intestino, che le cellule nervose iniziano a secernere neuromediatori, cioè molecole che sono il linguaggio chimico delle cellule nervose, e che inibiscono o eccitano le cellule muscolari responsabili del riflesso.

Se predomina l’inibizione, l’intestino si ferma: è la stitichezza cronica e le feci si fanno dure perché, stando tanto tempo nel crasso, vengono disidratate. Se invece predomina l’eccitazione il trasporto accelera fino alla diarrea, perché è tanto veloce da non dare tempo al crasso di riassorbire i liquidi.

In genere più si penetra nell’apparato digerente, più debole diventa il controllo del cervello nella testa. La bocca, parti dell’esofago e lo stomaco si lasciano ancora dire qualcosa da lassù. Dopo il piloro, la regia passa alla pancia.

Gershon si innamorò del cervello addominale quando era studente, apprendendo che la serotonina, un neuromediatore, influiva sugli stati d’animo e scoprendo poi che il 95% della serotonina è prodotta dalle cellule dell’intestino ed è responsabile anche del riflesso peristaltico.

Quando la pancia si irrita combina un sacco di guai

Nessuno prese sul serio Gershon fino al 1981, quando l’australiano Marcello Costa dimostrò che le cellule nervose dell’intestino producono serotonina, che nel frattempo si era rivelata uno dei tanti neuromediatori del sistema nervoso. Ma non è l’unica sostanza secreta dal cervello addominale, che è un’enorme fabbrica chimica perché produce una quarantina di neuromediatori con i quali comunica attraverso il cervello della testa.

Le cellule di entrambi i cervelli infatti parlano la stessa lingua chimica. E questo spiega perché spesso, nei malati di Alzheimer e di Parkinson, si riscontra lo stesso tipo di lesioni in entrambi i cervelli. E perché i farmaci psichiatrici agiscono anche sull’intestino e quelli gastroenterici anche sul cervello. Un ormone gastrico, la secretina, viene sperimentato nella terapia dell’autismo, una condizione psichiatrica. Un anti-emicrania seda gli intestini iperattivi. Gli antidolorifici calmano alcune infiammazioni del tratto digerente. E alcuni antidepressivi agiscono sull’umore cerebrale, ma anche sul cervello addominale causando diarrea o stitichezza.

L’ultima terapia in sperimentazione contro il colon irritabile è frutto degli studi sul cervello addominale. Di colon irritabile soffre il 20% della popolazione: causa dolori all’addome, evacuazioni irregolari, accumulo d’aria nell’intestino. Non si sa perché il colon di questi pazienti funzioni male. Il colpevole, secondo Schemann, è il cervello addominale. Oppure cervello alto e cervello basso non si intendono, e lo stesso avverrebbe in una cinquantina di altre malattie.

Gershon sostiene che il cervello addominale è soggetto a nevrosi. La comunicazione tra i due cervelli è comunque dominata da quello nella pancia. È da qui che parte, diretto alla testa, il 90% dei messaggi. La maggior parte di questi messaggi è inconscia, cioè avviene senza che noi ne prendiamo coscienza. Li percepiamo solo quando sono segnali di allarme che scatenano reazioni di malessere.

I depressi sentono tutti i movimenti del loro intestino

Emeran Mayer, docente all’Università della California, ha scoperto che una parte dei messaggi del cervello addominale arriva nel sistema limbico, posto al centro del cervello della testa. Quest’area ha il compito di elaborare i segnali negativi e reprimere le sensazioni spiacevoli. “È un po’ come il fenomeno del maglione che pizzica” spiega Mayer “dopo un po’ non lo si avverte più”.

Gli stimoli provenienti dall’intestino vengono percepiti solo se superano una soglia piuttosto alta, mentre chi soffre di colon irritabile, secondo Mayer, avrebbe una soglia più bassa e avvertirebbe ogni movimento intestinale. “Anche i depressi e gli ansiosi hanno alterazioni simili” dice Mayer.

Perché si abbassa la soglia? Forse per lo stress. Se il cervello della testa percepisce tensione e paura, chiama a raccolta le cellule dell’intestino che producono sostanze irritanti come l’istamina. Questa molecola a sua volta attiva le cellule nervose del tubo digerente che fanno contrarre le cellule muscolari: ecco spiegati crampi o diarrea.

Il segnale d’allarme va poi al cervello della testa che lo ritrasmette verso il basso e così via. Se l’ansia non cala, il cerchio si chiude e i sintomi si cronicizzano.

Gli stress del passato restano impressi anche nella pancia

Il cervello addominale sarebbe addirittura dotato di memoria che, per fissare i ricordi, usa le stesse molecole del cervello della testa: gli stress del passato si stampano così nel cervello e nell’addome, dice Schemann, rendendo l’asse cervello-addome ipersensibile per tutta la vita. E questo spiega perché i bambini che soffrono di coliche nell’infanzia hanno in genere un rischio maggiore di diventare adulti sofferenti per il colon irritabile.

Anche i topi esposti da neonati a situazioni stressanti sono adulti ipersensibili, con sintomi intestinali simili a quelli da colon irritabile. E il 40% dei pazienti con colon irritabile soffre in genere anche d’ansia e depressione.

Che malinconia e paura nascano allora nell’intestino? “I nostri risultati dicono che, così come la fame e la sazietà influiscono sull’umore, nel cervello addominale si può celare l’origine di altri stati d’animo, e tra questi anche la classica depressione” sostiene Mayer. Queste ricerche sono però ancora agli inizi.

Ogni volta che l’intestino si contrae ed emette serotonina o altri neuromediatori le informazioni viaggiano lungo il nervo vago fino al cervello della testa, dove vengono tradotte in malessere o allegria, stanchezza o vitalità, umore buono o cattivo.

Anche la pancia sogna durante la fase REM del sonno

“Possiamo perfino dire che il cervello addominale pensa” dice Schemann. “È organizzato in modo funzionale, lavora con una serie di circuiti, è in grado di registrare stati diversi e di reagire autonomamente: insomma possiede tutto ciò che serve a un sistema nervoso integrativo”.

Quello che è certo è che l’addome crea l’atmosfera per la testa. La testa è la “banca delle emozioni” che raccoglie tutte le reazioni e i dati, soprattutto nella corteccia anteriore, dietro la fronte, particolarmente legata all’addome.

Il cervello dell’addome insomma racconta la sua versione al cervello della testa, crea il suo “profilo emotivo” e prepara un “letto di sensazioni”, anche per la notte. E infatti, durante la fase REM del sonno, quando produce onde dolci e si popola di sogni, anche le viscere iniziano a ondeggiare grazie alla serotonina. “E dopo un pasto pesante non si fanno forse brutti sogni?” si domanda Mayer.

Con queste onde il cervello della testa fissa i ricordi con il loro carico di emozioni. Più saranno fissate le emozioni, migliori saranno le decisioni della volta successiva.

“Nei prossimi anni potremmo scoprire che il cervello dell’addome è la matrice biologica dell’inconscio. Una scoperta importante per gli uomini quanto quella di Copernico sul sistema solare” sostiene Gershon.

IL SECONDO CERVELLO
da Focus n. 3/2001

Per saperne di più:
Michael D. Gershon, The Second Brain (HarperCollins, New York, 1998). Divulgativo, ma di lettura abbastanza complessa.

Origini storiche e culturali del Movimento Planetario

Il tempo della scelta globale

Abitiamo su un pianeta che oggi sta vivendo un periodo di tremenda crisi ecologica e politica, ma anche di trasformazione e crescita umana e spirituale. In questo momento stiamo assistendo in ogni continente del mondo a guerre e conflitti che nascono da fanatismi etnici e religiosi ma, fortunatamente, assistiamo anche a un radicale cambiamento di valori in cui le vecchie regole, che da millenni hanno condizionato i comportamenti, i pensieri e le vite umane, stanno crollando sotto il peso della loro stessa età.

Un pianeta malato è l’evidente risultato di un’umanità malata che ha creato una cultura di distruzione e disprezzo. Un nuovo pianeta può nascere solo da un nuovo essere umano, sano, integro e ispirato da una nuova coscienza globale. È necessario scegliere con determinazione e consapevolezza da che parte schierarsi; tacere o non agire significa solamente lasciare il potere alla devastazione. I tempi tuttavia sono cambiati, non è di un partito o di un movimento intellettuale che la Terra ha bisogno, ma di una nuova coscienza planetaria che nasce da una trasformazione individuale. Siamo nati in un’epoca di materialismo e divisione, siamo pieni di condizionamenti mentali e comportamentali che ci portano a riprodurre i vecchi errori, ma possiamo cambiare, trasformarci coscientemente e ritrovare la nostra vera natura, cambiare la direzione in cui la società sta muovendosi e usare la nostra creatività in ogni momento della nostra vita. Pochi sanno che questa possibilità esiste ed è alla portata di chiunque. Le vecchie culture hanno negato e spesso represso ogni tecnica di trasformazione e di evoluzione che inducesse cambiamenti e risvegli nell’essere umano. Rivoluzionari della coscienza come Cristo, Pitagora, Bruno, Socrate, Mansur, Reich, Osho e innumerevoli mistici di ogni paese sono morti per questo.

Breve storia del movimento di crescita umana

Dagli anni Settanta in poi sono nate numerosissime terapie individuali e di gruppo per aiutare l’essere umano a ritrovare se stesso, la sua sensibilità perduta, il suo equilibrio tra istinti, emozioni, sentimenti e pensieri, la sua naturalezza e spontaneità. La totalità di questi nuovi approcci si basa sulla constatazione che, per via dei condizionamenti a cui siamo stati sottoposti dal concepimento in poi, ci troviamo tutti in uno stato di costrizione, di inconsapevolezza, di ipnosi collettiva più o meno profonda che si manifesta con una mancanza di gioia e di pienezza del vivere. Questa mancanza cronica di libertà, intesa nella sua accezione più ampia come il più fondamentale dei valori umani, si esprime anche nelle inibizioni fisiche, energetiche e comportamentali, nelle paure inconsce, nelle angosce, nelle chiusure psicologiche e nella trasformazione dei reali bisogni interiori di amore, comprensione, amicizia in desideri superflui ed esteriori come una macchina, una posizione o un riconoscimento. I condizionamenti creano così dei blocchi psicosomatici che, col tempo, da semplici disturbi energetici o psichici, diventano sempre più fisici e generano malattie e patologie di ogni tipo.

Il capostipite della moderna psicosomatica e della crescita umana attraverso un’educazione libera e globale fu certamente Wilhelm Reich, allievo di Freud, che, staccandosi dalla psicoanalisi, testimoniò sperimentalmente l’esistenza di un’energia vitale, erotica da lui chiamata “energia orgonica” e sviluppò le basi teoriche e pratiche delle tecniche di liberazione dai condizionamenti e dai relativi blocchi caratteriali. Il suo modello era già fondamentalmente completo: l’essere umano era visto come un’unità psicosomatica in cui l’energia sessuale (orgonica), portatrice di piacere e sensibilità, basi della gioia di vivere, era in costante stato fluido, senza blocchi di sorta. Reich considerava l’energia in modo spirituale, per lui era una sorta di sostanza sacra che permea l’intera esistenza e le dona intelligenza e vita, esattamente come i tantrici parlano di Shakti, l’energia vitale cosmica, gli induisti del Prana o i taoisti del C’i.

I blocchi psicosomatici

La nostra società tuttavia è profondamente ancorata a logiche contro natura che inibiscono questa libera e fluida energia vitale causando così la formazione di una serie enorme di blocchi. Ogni tipo di inibizione, a cominciare dalle inibizioni al piacere sessuale, alla mancanza di affettività della madre, al mancato riconoscimento della propria individualità, fino alla negazione delle aspirazioni creative più elevate e spirituali, causa un arresto o un blocco di questo flusso di energia e informazione. Reich aveva osservato che i blocchi psichici si riflettevano costantemente sul corpo e che quindi ogni blocco nel corpo era causato da un preciso problema psichico. Ignaro delle antiche tradizioni yogiche e tantriche dell’India Reich identificò nel corpo umano sette tipi di blocchi che si accordano perfettamente con il modello dei sette chakra.

Reich riconobbe che ogni blocco si manifesta con una contemporanea sospensione o limitazione della respirazione dovuta a una contrazione dei muscoli che a sua volta dipende da un’azione inibitoria o contrazione del sistema nervoso originata da un’inibizione psicoemotiva. Reich provò che era possibile sciogliere un blocco aumentando il flusso dell’energia bloccata; attraverso una attenta riapertura della respirazione o del movimento muscolare l’area del corpo bloccata si sbloccava e riemergeva la causa psichica originante. Oppure andando a sciogliere il blocco sul piano psicoemotivo intervenendo sul preciso evento causante, e provocando così la riapertura delle emozioni e delle aree del corpo da esso bloccate. Questo sblocco psicosomatico spesso dava origine a una “catarsi”, ossia un evento intenso in cui si liberano emozioni represse e antiche, pianto, ferite interiori, rabbia, paure.

Da Reich in poi si sono sviluppate moltissime scuole terapeutiche come la Bioenergetica, la Gestalt, i gruppi di Encounter, la Primal Therapy, il Respiro Globale, l’Emotional Release, il Tantra, il Voice Dialogue e molti altri che operano per aiutare il processo di liberazione dai condizionamenti in modi e in ambiti specifici.

Dall’energia orgonica alla coscienza sacra

Reich e l’intera tradizione psicosomatica, pur considerando teoricamente l’energia vitale come intelligente, mancavano tuttavia quasi completamente dell’esperienza spirituale diretta e quindi fino agli anni Sessanta la grande maggioranza di tecniche psicoterapeutiche fu di fondo un processo del tutto privo di una dimensione sacra. Le tradizioni spirituali con le loro tecniche di meditazione classica erano completamente divise culturalmente dal lavoro psicosomatico. Dalla fine degli anni Sessanta e in particolare dal 1975 si venne a creare un incredibile processo di sintesi in Occidente e in Oriente catalizzato negli USA dalla famosa comunità terapeutica di Esalen in California, dove di fatto nacque lo Human Potential Growth Movement, dove si svilupparono tecniche di grande profondità come la Gestalt di Fritz Perls, la psicologia transpersonale, le tecniche somatiche del Rolfing e del Feldenkrais; in Europa dalla comunità scozzese di Findhorn, più orientata a un’evoluzione sottile e collettiva, e in India dall’Ashram di Poona del maestro spirituale Osho Rajneesh, che creò una grande sintesi tra terapie psicosomatiche, tecniche di crescita e meditative fortemente orientate all’evoluzione spirituale, inventando una serie di tecniche di meditazione dinamica studiate espressamente per l’uomo moderno. Negli anni Ottanta e Novanta questo lavoro evolutivo si moltiplica in ogni parte del pianeta e specialmente nelle nazioni più industrializzate.

Oggi questa direzione di sviluppo umano e spirituale sembra aver raggiunto il consenso più unanime, quasi tutte le grandi scuole di terapia seguono una parallela evoluzione spirituale e praticano meditazioni di ogni scuola del mondo. Oggi molte riviste sulla salute o la bellezza pubblicano regolarmente articoli e informazioni sui gruppi per la crescita umana. Lo stesso Dalai Lama ha recentemente ribadito che le terapie e i gruppi di crescita rappresentano un grande aiuto all’evoluzione spirituale dell’umanità moderna.

Oggi questo movimento di nuova coscienza raggruppa in sé tutte le antiche e recenti culture minoritarie orientate alla pace, alla spiritualità, ai diritti umani e animali, all’ecologia, alla nuova medicina, all’uguaglianza tra sessi e razze, all’alimentazione naturale, alla nuova educazione e al benessere globale. Da questa incredibile fusione di yoga e psicosomatica, di filosofie naturali e nuove tecnologie non inquinanti nasce la nuova cultura olistica.

L’uomo nuovo: il modello olistico di essere umano

Olos in greco significa il tutto, l’intero.

Il modello della nuova cultura olistica è unitario e globale. Esso considera l’essere umano un’organica e indissolubile unità formata da innumerevoli dimensioni e livelli. Non vi è tuttavia divisione tra le parti, esattamente come non vi è separazione tra i sistemi cardiaco, nervoso e digerente del corpo ma una profonda, indivisibile interconnessione. La complessità delle strutture psicofisiche indica infatti la grande unità di coscienza e di intelligenza che coordina e dà vita al tutto.

Nel modello olistico non vi sono solo il corpo e lo spirito, ma una serie di livelli di coscienza e di energie dai più fisici-energetici ai più elevati e sottili, chiamati normalmente corpi. Le antiche filosofie indo-tibetane, come lo yoga e il tantra, contemplavano normalmente sette corpi, anche se alcune scuole buddhiste o induiste le riducevano a cinque. Questo modello di essere umano nasce da un’esperienza spirituale individuale grazie alla quale ogni aspetto dell’esistenza e di se stessi è percepito come sacro e unito alla coscienza del Tutto.

Questo modello si ritrova praticamente in quasi tutte le antiche tradizioni spirituali del mondo, dagli Huna delle Hawaii, ai Rosacroce, dagli antichi egiziani ai teosofi della prima metà del secolo. Secondo questa visione l’essere umano è innanzitutto una coscienza che si incarna di vita in vita e che “sceglie” i suoi genitori per ritornare sulla Terra e progredire sul suo cammino evolutivo fino a realizzarsi pienamente.

In questa differente ottica il processo dell’educazione diventa uno dei punti più importanti e articolati. Grazie a una corretta educazione si possono sviluppare pienamente i potenziali latenti dell’essere umano, la sua umanità, la sua sensibilità, la sua creatività, e soprattutto ci si può evolvere spiritualmente ritrovando in sé l’esperienza sacra dell’unità che ci fa sentire parte integrante di quell’infinito organismo cosciente e intelligente che è il Tutto, Dio.

Il salto quantico

Il modello olistico di trasformazione umana è basato su una serie di concetti o colonne della concezione olistica universalmente accettate dalla nuova cultura emergente. Uno di questi è il salto quantico, concetto chiave della fisica moderna, secondo cui ogni elettrone può ruotare intorno al nucleo atomico solo in precise orbite concentriche, esattamente come fanno i pianeti ruotando nelle loro orbite intorno al Sole. Ogni orbita corrisponde a un livello di energia, tanto più un elettrone gira distante dal nucleo, tanta più energia è necessaria. Il salto quantico avviene perché non esistono possibilità di sostare tra i vari livelli; un elettrone, quindi, può stare o su un livello a bassa energia o su un livello ad alta energia: non ci sono vie di mezzo!

Riportato su un piano umano questo modello ci mostra come sia possibile, anzi necessario, un salto quantico da uno stato a bassa energia vitale, caratterizzato da bassa consapevolezza di sé, scarsa stima personale, poca gioia di vivere, a uno stato di più alta energia in cui vivere pienamente con creatività, valori e autoconsapevolezza. A livello planetario questo salto quantico può essere visto come la trasformazione dal vecchio modo di intendere il pianeta (come una massa di materia da acquistare, depredare e rivendere) a un concetto di rispetto e sacralità.

Queste logiche possono e devono essere insegnate/apprese. Da esse dipende il prossimo salto evolutivo. Mentre in passato la crescita dell’essere umano era considerata un processo del tutto automatico e spontaneo, in cui vi poteva essere solo una minima parte di intervento determinato e consapevole, oggi si può rovesciare questa concezione e investire tutta la nostra conoscenza e sensibilità in questa ottica di sviluppo del potenziale umano, per favorire l’opportunità di questi salti evolutivi in ogni individuo e società.

La coscienza planetaria

Mentre fino agli anni Cinquanta e Sessanta le terapie erano essenzialmente individuali, dagli anni Settanta si è assistito a un incredibile incremento delle tecniche di gruppo. Questo incremento coincide con l’inizio dell’era dell’Acquario, la Nuova Era, la cui caratteristica di fondo è appunto quella della cooperazione, della riunione, della fratellanza spirituale.

Da un punto di vista più attuale possiamo considerare questa come l’epoca della cultura e della coscienza planetaria. Stiamo iniziando un processo irreversibile di fusione delle razze e delle culture e della spiritualità che durerà millenni. In questo momento di crisi, tuttavia, non possiamo aspettare, occorre essere creativi e intelligenti nel preparare l’avvento di questa nuova coscienza, organizzando gruppi di crescita che diventeranno sempre più numerosi e diffusi. Questi saranno la matrice del nuovo cambiamento.

Recentemente scienziati come James Lovelock hanno iniziato a considerare il nostro pianeta come una coscienza viva, autonoma e immensamente creativa: un’unità organica chiamata Gaia, dal nome dell’antica dea greca della Terra. Gaia come immenso individuo planetario si bilancia, si adatta e si evolve attraverso le infinite specie viventi. Secondo l’ipotesi Gaia l’umanità può essere considerata come il sistema nervoso del pianeta, la componente che gestisce e organizza le intere informazioni del sistema Terra in modo intelligente e consapevole. Il motivo per cui attualmente l’umanità si sta comportando in modo distruttivo e irresponsabile dipende proprio dalla mancanza di una consapevolezza planetaria e da un insufficiente sviluppo della coscienza spirituale.

Gaia, la luminosa rete delle coscienze

Molti maestri e scuole spirituali da tempo descrivono la Nuova Era come un allargamento della coscienza individuale alla coscienza planetaria. In questa visione ogni essere umano viene considerato un punto di luce della grande rete delle coscienze che abbraccia tutto il pianeta. La luminosità di ogni singola coscienza è proporzionale al suo grado di sviluppo spirituale, alla sua più o meno intensa connessione con il Tutto che la circonda; per questo i grandi maestri sono stati chiamati illuminati.

Questa rete planetaria è una conquista recente, creata dalla parte più matura della famiglia umana con grandi sacrifici e amore impersonale. Essa rappresenta il frutto di tutti coloro che hanno creato ponti umanitari e spirituali tra le culture e le religioni della Terra, ed hanno sentito veramente di essere parte di una coscienza planetaria e vi hanno dedicato una vita o comunque tutte le loro risorse.

Questa rete oggi è sostenuta, sui suoi livelli più mentali, da tutti i gruppi che operano per l’ecologia, i diritti umani, i soccorsi umanitari, e sui livelli più spirituali, da tutti i gruppi che praticano meditazione, in modo ecumenico e non settario, e per la coscienza e la pace globale. Entrambi i livelli sono essenziali. In questo momento, la rete fino ad ora costruita con grande amore è ancora debole e fragile, l’intensità luminosa del pianeta viene considerata ancora largamente insufficiente al grande salto quantico che l’umanità si appresta a compiere.

Occorre quindi molta più energia e coscienza. La rete di luce in molti punti del mondo è largamente lacerata dalle guerre, dalle mafie, dagli abusi di ogni tipo, dalla mancanza di amore, di valori e di gratitudine per l’esistenza sacra. Da millenni questa è la situazione imperante, creata dalla vecchia cultura considerata ormai dalla grande maggioranza degli uomini come la legge stessa della natura.

(I sette livelli della rete di Gaia: materia, vegetali, animali, umani, spiriti, angeli e maestri, Gaia)

La formazione dei Buddhafields

Una delle strategie della coscienza di Gaia, per accelerare la sua evoluzione, è quella di operare sulla coscienza collettiva attraverso la formazione di gruppi. Dal punto di vista spirituale, ossia considerando i partecipanti ad un gruppo come delle coscienze in evoluzione, un gruppo è una sfera di energia e coscienza collettiva, che noi chiamiamo “Buddhafield”. Buddhafield deriva dal temine sanscrito buddhi che significa mente spirituale o superiore o energia mentale illuminata, da cui deriva buddha, l’illuminato e dall’inglese field che significa campo, area. Un Buddhafield è un campo di energia illuminata, spirituale. Questo termine, originariamente utilizzato per indicare la comune di un maestro illuminato insieme ai suoi discepoli, viene utilizzato per ogni gruppo di ricercatori spirituali che decidono coscientemente di unirsi per ritrovare la loro natura sacra.

Formare un Buddhafield è un’esperienza di grande importanza, dove i normali parametri di giudizio utilizzati nella società perdono valore e dove ognuno ritrova, con un po’ di fortuna e tanto lavoro, la vera saggezza e spontaneità con se stesso e con gli altri.

Nell’ambito della rete delle coscienze planetarie il buddhafield rappresenta un nodo di grande importanza. L’energia totale di un buddhafield è fortemente superiore alla somma delle energie dei singoli individui che la compongono; la sua luce è estremamente più intensa e chiara della semplice somma delle luci delle coscienze individuali, in particolare quando le persone si mettono a meditare in cerchio. Recenti esperimenti fatti con il Brain Olotester, un elettroencefalogramma computerizzato per analisi psicosomatiche, provano che può crearsi una fortissima sincronizzazione cerebrale tra persone che si sentono vicine, partecipi di uno stesso progetto comune o che entrano insieme in meditazione. Quindi dal punto di vista del salto quantico planetario la formazione dei gruppi di crescita globale, come buddhafields, sono un elemento di estrema importanza, essi possono concretizzare la naturale spontanea tendenza evolutiva umana, accorciando i tempi di crescita e favorendo enormemente la comprensione e la sensibilità spirituale tra le persone.

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