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Autore: Hiram

Bioenergetica

Una delle opere più importanti del grande studioso e terapista delle dinamiche psicocorporee che con la teoria e la pratica bioenergetiche ha riscosso un enorme successo nel mondo.

“La bioenergetica è una tecnica terapeutica che si propone di aiutare l’individuo a tornare a essere con il proprio corpo. Questo risalto dato al corpo comprende la sessualità, che ne è una delle funzioni fondamentali. Ma comprende anche funzioni ancor più basilari come quelle di respirare, muoversi, sentire ed esprimere se stessi. Una persona che non respira a fondo riduce la vita del corpo. Se non si muove liberamente, limita la vita del corpo. E se reprime la propria autoespressione, limita la vita del corpo”. Con queste parole Alexander Lowen definisce i criteri e gli scopi della sua disciplina terapeutica. Così, se il processo di crescita per qualche verso si blocca, la bioenergetica può diventare “l’avventura della scoperta di se stessi” che permette all’individuo di appropriarsi del suo corpo, di risolvere quei sintomi psicosomatici che potrebbero affliggergli l’esistenza e di godere la vita con pienezza. Una delle opere più importanti del grande studioso e terapista delle dinamiche psicocorporee che con la teoria e la pratica bioenergetiche ha riscosso un enorme successo nel mondo.

Bioenergetica riflessiva di Livia Geloso

Sono varie le ragioni per cui, oggi, l’Analisi Bioenergetica, in quanto comunità di lavoro e di ricerca, potrebbe trarre beneficio dall’occuparsi del suo “discorso di legittimazione”. Discorso che, a mio parere, richiede di essere sviluppato non solo in rapporto alla comunità complessiva delle Scuole di psicoterapia, ma anche nel quadro del dibattito culturale generale sui fondamenti del sapere teorico e applicato nella tarda modernità.

E’ sicuramente in questo quadro, quello del “discorso sulla modernità” che i vari “discorsi di legittimazione” possono trovare lo scenario più adeguato, in senso storico ed epistemologico, in cui posizionarsi e confrontarsi.

Infatti, seppure le nostre ragioni si intrecciano con quelle delle altre Scuole e con quelle di tutte le altre discipline che compongono il quadro del sapere occidentale moderno, esse portano una cifra specifica, poiché noi partecipiamo al “filone corporeo”, filone non egemonico all’interno della psicoterapia, proprio perché posizionato sul “polo corporeo” opposto al “polo mentale-intellettuale”, considerando l’opposizione “mente/corpo”, l’opposizione valoriale fondante, alle origini, il sapere occidentale moderno, secondo lo schema: mente=organo della conoscenza/corpo=oggetto della conoscenza; mente=attività/corpo=passività; ecc.

In sintesi: la mente disincarnata moderna trovò il suo fondamento nel modello fisico newtoniano. Il modello della conoscenza occidentale moderna affermò, dunque, che “reale” e, quindi, degno dell’esercizio dell’intelligenza fosse solo ciò che cadeva sotto i sensi (o veniva colto cogli strumenti, di cui il telescopio è l’esempio principe), a cui era possibile applicare il “criterio dell’oggettività”, e che poteva essere quantizzato attraverso procedure matematiche. Solo ciò a cui si poteva applicare il “criterio di oggettività”, inoltre e non secondariamente, poteva venire sottoposto al “procedimento vero/falso”. In altri termini, prendere la Fisica newtoniana come modello significò legittimare il distacco-differenziazione del sistema-scienza (teoria sociologica della differenziazione sistemica, N. Luhman) dalla ricerca del “grande senso” e, al contempo, porre l’enfasi sulla capacità umana di manipolazione dell’ambiente umano e naturale. Come ci racconta la storica della scienza Carolyn Merchant, in “La morte della natura” (Garzanti, 1988), fu così che la concezione tradizionale della “natura come organismo” venne sostituita con la concezione moderna della “natura come macchina”, e questo ha a che fare col “filone corporeo” perché anche il corpo umano venne considerato una “macchina”, e lo è ancora oggi. Contro questa concezione noi bioenergetici/che lottiamo quotidianamente. Il meccanicismo, sposato all‘utilitarismo, divenne il motore dello “sviluppo” nel XIX° secolo, e continua ancora oggi a costituire la mentalità diffusa in Occidente, non solo in modalità eclatanti, ma anche in modalità trasversali e subdole.

E il momento storico-culturale attuale come si caratterizza? Siamo in piena “modernizzazione riflessiva” ci dicono i sociologi Anthony Giddens e Ulrich Beck (“Modernizzazione riflessiva”, Asterios, 1999), ovvero i vari settori riflettono sui loro fondamenti, rimettendoli in discussione alla luce dei cambiamenti epocali attuali. E, poi, c’è l’antropologo francese Bruno Latour che fa scalpore affermando che “Non siamo mai stati moderni” (Eléuthera, 2008), ma un mix fin dall’inizio di “moderno” e di “antico”, di “progresso” e di “tradizione”. Tesi estremamente interessante per noi che apparteniamo al ramo cadetto del sapere occidentale, accusati dagli appartenenti al ramo egemone di compromissioni con irrazionalità e arcaismi, anche attraverso domande come questa: “Ma l’energia è una realtà o una metafora?”. Come ci tocca tutto questo? Il mio contributo ha l’intento di promuovere l’inserimento delle considerazioni sul nostro lavoro nell’atmosfera caratteristica della tarda modernità, ovvero, all’interno del “discorso sulla modernità”. Ritengo, infatti, che attraverso la messa a tema della nostra appartenenza al “filone culturale corporeo”, nell’ambito della storia delle idee e dei movimenti sociali e politici che afferiscono alla tematica della “corporeità”, possiamo radicarci, possiamo essere grounded nel tempo attuale. Ciò richiede, a mio avviso, il volgere lo sguardo alla storia della “modernità”, dalle origini ai giorni nostri, per ricercare le tracce del nostro “filone”. Cosa a cui mi sto dedicando da tempo.

La nostra storia come comunità bioenergetica italiana inizia negli anni ’70, anni in cui si credette, in Occidente, di essere vicini/e al “cambiamento di paradigma” (F. Capra, “Verso una nuova saggezza”, Feltrinelli, 1995), ovvero, alla fine dell’egemonia meccanicistico-utilitaristica, e, invece, eravamo vicini/e alla competizione, spesso commercializzata, tra tutte le possibili posizioni. Nel nostro paese, a livello istituzionale, il portabandiera del movimento per il cambiamento di paradigma, nel campo della salute mentale, fu Franco Basaglia. La SIAB nacque, in ambito extra- ed anti-istituzionale, proprio sull’onda dell’entusiasmo sociopolitico del tempo (Luisa Parmeggiani, “Così nacque la SIAB – Amarcord”, riv. Grounding, F. Angeli, 1-2006, pp. 21-33). Che ne è stato dello spirito di quegli anni e cosa è accaduto nel “filone corporeo” a seguito delle vicende dei decenni successivi? Perché non ne parliamo? Io credo che ci sia bisogno di riflettere sulla nostra storia, inquadrandola all’interno della “storia delle idee” e della storia dei movimenti sociali e politici con cui il “filone corporeo” è intrecciato. Anche perché, proprio nel frangente della tarda modernità, il vertice prospettico della psicoterapia, e della psicoterapia corporea, in particolare, in quanto disciplina quanto mai di confine, risulta, a mio avviso, particolarmente adatto a cogliere la complessità che stiamo vivendo. Con questo breve contributo, e con quelli che seguiranno, spero di favorire l’inizio di una fase di “Bioenergetica riflessiva” nella nostra comunità.

Tratto dal blog Vita bioenergetica

Il nome proprio

Vibrazioni energetiche e contenuti inconsci di Maria Alborghetti

Quando nasciamo l’energia vitale scorre fluidamente nel nostro corpo, successivamente, durante la crescita, se intervengono interferenze di percorso psico-corporeo nella relazione interattiva madre-bambino, si creano alcuni blocchi energetici che promuovono variegati meccanismi di difesa, utili a far sopravvivere rispetto alle difficili dinamiche ambientali.

Tutto questo costruisce una corazza caratteriale del tutto personale provoca problemi del comportamento, sintomi psicologici e organici che si manifestano anche in tarda età. Tra i fattori che influenzano la formazione della personalità globale interviene anche il nome proprio, spesso prescelto dai genitori prima ancora della nascita del figlio.

E’ il nome proprio che ci differenzia dalla famiglia di origine e dagli altri, che ci fa riconoscere, che ci accompagna per tutta la vita ed anche dopo la morte. Ogni nome è portavoce di costellazioni storico-religiose, archetipiche e familiari, è anche ricco di vibrazioni sonore che si ricollegano al respiro di chi lo pronuncia.Ogni essere nato radica la sua identità ed il suo respiro anche in rapporto al nome con cui viene chiamato.Se il nome anagrafico coincide anche con il nome con cui il bambino viene interpellato, il nome proprio diviene l’identità strutturale stabile ed immutabile su cui la persona ancora il respiro, le vibrazioni sonore e le molteplici costellazioni psicologiche che influenzano le personali azioni, aspettative ed emozioni.

Ogni nome proprio è composto da sillabe e vocali dell’alfabeto che corrispondono a suoni che hanno una loro peculiare risonanza energetica in specifiche parti del corpo.

Il suono vocale del proprio nome promuove un’apertura respiratoria che inconsciamente permette risonanze affettive ed energetiche differenti asseconda delle vocali

Le vocali che toccano gli organi più profondi come ” A – O – U ” agevolano un’energia connessa alla gioia ed al piacere della vita, le vocali connesse al torace ed alla testa come ” E – I ” promuovono energie connesse rispettivamente al coraggio ed alle attività mentali. In virtù di questi stimoli sia nel pronunciare il nome proprio sia nell’essere interpellati, il corpo riceve vibrazioni che agevolano molteplici emozioni individuali.
Poiché ogni nome è anche portavoce di costellazioni storiche, religiose, archetipiche e familiari, i genitori nel sceglierlo per noi già prima della nascita, strutturano nel loro immaginario delle specifiche speranze, che favoriscono la formazione del carattere e le aspettative collettive. L’individuo inconsapevolmente diviene portavoce di valori a lui del tutto estranei che caricano positivamente o negativamente il carattere, le scelte di vita, le proiezioni ed identificazioni su cui poggia il pensiero, l’identità e gli ideali dell’io. E’ importante osservare che quasi sempre nella psicoterapia bioenergetica, nel vocalizzare i suoni del nome proprio, il corpo risponde con vibrazioni ed emozioni del tutto individuali. Il radicamento positivo della totalità mente-corpo è anche favorito, in ogni caratterologia, dal suono del nome proprio e dall’elaborazione analitica delle motivazioni genitoriali sulla sua scelta e sulle intrinseche costellazioni archetipiche, storico-religiose e familiari (1).
Nella seduta individuale il lavoro psicologico sarà svolto sia sui contenuti inconsci che sulle emozioni che scaturiscono dalla respirazione e vocalizzazione dettata dal nome proprio, ciò può avvenire in posizione grounding o sdraiata o sul cavalletto a seconda della caratterologia dell’allievo o paziente.

Nel gruppo l’incontro avviene disposti in cerchio tenendosi per mano, la destra è offrente, la sinistra ricevente; in coro si esperiscono i suoni di tutte le vocali.

Ognuno mantiene la sua individualità nel sentire i piedi ben radicati sulla terra, nel dare e nel ricevere attraverso le mani. La voce e le sue vibrazioni congiungono i partecipanti in una piacevole simbiotica coralità che rievoca inconsapevolmente il periodo prenatale pur rimanendo radicati nel proprio sé.

Si staccano lentamente le mani, ci si sdraia in terra con le ginocchia flesse i piedi appoggiati sul suolo, una mano poggia sul cuore, l’altra sulla pancia onde agevolare l’ascolto sensoriale della respirazione, delle intonazioni vocali e delle eventuali emozioni per proteggere le parti tenere del corpo.

Si pone attenzione alle vibrazioni sonore che riceve la spina dorsale ed alla sua completa aderenza in orizzontale sulla terra. Ripetendo più volte il proprio nome le vocali diventano sempre più profonde, ritmiche, ricche di sentimenti e contenuti emotivi. In fine si trova una profonda protezione e riflessione, girandosi sul fianco sinistro in posizione fetale. Si prosegue sollevandosi lentamente in bend-over per ritrovare il proprio grounding e per incontrarsi frontalmente con il proprio vicino; il primo contatto è oculare per poi mettersi in rapporto con ambedue le mani e ripetere alternativamente il proprio nome. Nell’esercizio di coppia uno dei due, rimanendo in grounding sostiene l’altro tenendolo per mano. Il partner, aiutato piega lentamente le ginocchia, tenendo ben saldi i talloni per terra, ad occhi chiusi ripete tre volte il proprio nome seguito da “io sono”: per esempio, se l’analizzando si chiama Marco, ripeterà: “io sono Marco”. Si scende e si risale più volte creando un’alternanza bilanciata nella diade.

La discesa con gli occhi chiusi mantiene la concentrazione sui contenuti emotivi strettamente interiori, la risalita ad occhi aperti aiuta a sentire le emozioni che provocano una situazione di auto affermazione rispetto al prossimo. Le diadi si sciolgono per ricomporre il cerchio e fare contatto oculare con tutti; uno per volta entra nel centro per ripetere il proprio nome nella tonalità soggettiva e nel movimento corporeo che gli è più congeniale. L’auto affermazione al centro di un gruppo rievoca antiche sensazioni ed emozioni psico-corporee, dei momenti in cui il bambino entra nella vita scolastica senza il sostegno genitoriale; eccitazioni e turbamenti positivi e negativi del passato, rivissuti inconsciamente ogni qual volta si entra a contatto con il prossimo, riemergono vigorose per arricchire l’auto conoscenza mente-corpo. L’elaborazione sintetica e favore della propria totalità avviene sia in gruppo che in seduta individuale.

L’approfondimento psico-corporeo dei contenuti emotivi intrinseci al nome proprio prosegue in altri incontri anche sulle emozioni rievocanti i momenti in cui si è stati chiamati con variegate tonalità di voce.

La fede nella vita di Alexander Lowen

Quello che segue è un breve estratto dal libro di Alexander Lowen “La depressione e il corpo” nel quale l’autore tratta “la base biologica della fede e della realtà”. E’ significativo rilevare come tale scritto sia basato sull’osservazione di casi clinici di depressione e come in tutto il testo venga evidenziata la corrispondenza tra depressione psichica e depressione della funzione respiratoria.
Alla risoluzione dello stato depressivo corrisponde Puntualmente un evidente ampliamento della respirazione, il ritorno della fiducia smarrita sulla soglia della depressione e il ritrovamento di una dimensione spirituale nuova e rivitalizzante. “La depressione e il corpo” è pubblicato dall’editore Astrolabio al quale va il nostro sentito ringraziamento.
“Il sentimento è la vita interna, l’espressione la vita esterna. Se la questione viene posta in questi semplici termini è facile vedere come una vita completa richieda una vita interiore fiorente (ricca di sentimento) e una vita esteriore libera (libertà di espressione). Nessuna delle due cose da sola può soddisfare pienamente. Prendiamo ad esempio l’amore. I1 sentimento dell’amore è un sentimento ricco, ma l’espressione dell’amore in parole o in atti è una gioia immensa.
Vi è una grande differenza tra la spiritualità dell’uomo apportatore di umano calore, di comprensione e di simpatia per il prossimo e la spiritualità dell’asceta che vive nel deserto o si confina in una cella. Una spiritualità che ha divorziato dal corpo diventa un’astrazione e un corpo cui è stata negata la spiritualità diventa un oggetto.
Quando parliamo di spiritualità e di vita interiore, non stiamo forse parlando del sentimento dell’amore che unisce l’uomo all’uomo, ad ogni forma di vita, all’universo e a Dio? Eppure molti non vedono il problema in questi termini. Sono disposti a considerare l’amore per Dio un sentimento spirituale mentre ritengono che l’amore per la donna sia un sentimento carnale. Nel primo caso il sentimento d’amore è astratto dall’oggetto, nel secondo caso è posto in relazione diretta con l’oggetto. Un amore astratto può essere amore puro perché non è contaminato da alcun desiderio carnale, ma come un’idea pura che non ha carica emotiva, non ha alcuna importanza nei confronti della vita. Quando l’amore in Dio non viene manifestato anche nell’amore per il prossimo, ivi incluso il sesso opposto, e per tutte le creature viventi, non è vero amore. E quando l’amore non viene espresso in azioni e comportamenti, non è vero amore ma un’immagine dell’amore. L’astrazione ha con la realtà il medesimo rapporto dell’immagine speculare con l’oggetto che si trova di fronte allo specchio. Sembrano simili ma non lo sono certamente al tatto.
Queste considerazioni ci obbligano a dare uno sguardo ai problemi in modo dialettico e in termini di energia. Ogni impulso può essere considerato come un’onda di eccitazione che comincia in un centro dell’organismo e scorre lungo un percorso determinato, che rappresenta la mira, verso un oggetto del mondo esterno che rappresenta il traguardo. Ma è anche vero che ogni impulso è una espressione dello spirito umano, perché è lo spirito che ci muove. Esso, tuttavia, non ci muove in una sola direzione. Gli impulsi fluiscono verso l’alto in direzione della testa e anche verso il basso in direzione della parte terminale o coda. Quando la corrente di sensazioni va in direzione della testa, il sentimento ha un carattere spirituale. Ci sentiamo sollevati ed eccitati. La corrente verso il basso ha un carattere sensuale o carnale, perché questa direzione porta la carica nel ventre e verso terra, facendosi sentire rilassati, radicati e con un senso di liberazione. La vita umana pulsa tra i suoi due poli, uno collocato all’estremità superiore del corpo o testa e l’altro all’estremità inferiore o coda. Possiamo assimilare il movimento verso l’alto al protendersi verso il cielo, e il movimento verso il basso allo scavare nella terra. Possiamo paragonare l’estremità superiore o testa con i rami e le foglie di un albero, e l’estremità inferiore o coda con le radici.
Poiché il movimento verso l’alto va in direzione della luce e quello verso il basso in direzione dell’oscurità, possiamo mettere la testa in relazione con la coscienza e la coda o la parte terminale con l’inconscio. La pulsazione e la relazione esistente tra i poli possono essere mostrate schematicamente in termini di corpo ovvero dialetticamente. Nel corpo queste due direttrici del flusso si trovano nel movimento della corrente sanguigna, che dopo aver lasciato il cuore scorre verso l’alto attraverso l’aorta e verso il basso attraverso l’aorta discendente. Normalmente la corrente di sangue nelle due direzioni è equilibrata, ma una direzione o l’altra possono predominare in certe situazioni. Conosciamo bene il fenomeno per cui il sangue va alla testa quando ci si arrabbia e il vigoroso afflusso verso il basso nell’eccitazione genitale. Sappiamo che, se un’eccessiva quantità di sangue lascia la testa, si provoca una perdita di coscienza. **Le figure 1 e 2 mostrano alcune di queste relazioni.
Se possiamo concepire il corpo come diviso nella sezione mediana da un anello di tensione nell’area diaframmatica, i due poli diverranno due campi anziché essere i due poli di un’unica pulsazione che si muove in entrambe le direzioni simultaneamente o i punti terminali di un’oscillazione che si muove tra di essi.
Ora, è un fatto che una certa misura di tensione diaframmatica esiste nella maggior parte delle persone. L’ho messo in evidenza precedente in relazione alla perdita di sensazioni e sentimenti nel ventre o hara, dovuta alla costrizione della respirazione addominale profonda. E’ anche vero che un certo grado di “scissione” è presente nella maggioranza delle persone nella società occidentale. L’effetto di questa scissione o dissociazione delle due metà del corpo è la perdita della percezione dell’unità. Le due direzioni opposte del flusso di corrente diventano due forze antagoniste. La sessualità verrà in tal caso avvertita come un pericolo nei confronti della spiritualità così come la spiritualità verrà considerata come una sorta di negazione del piacere sessuale. Alla stessa stregua, tutte le altre coppie antitetiche di funzioni sono viste in conflitto anziché in armonia tra loro. **La logica di questa analisi si fa chiara se diamo di nuovo un’occhiata ai due diagrammi introducendo un blocco per mostrare dove si verifica l’interruzione della corrente di eccitazione. Le figure 3 e 4 mostrano tali relazioni.
Ho da molti anni nel mio ufficio un cartellone che raffigura la corrente del sentire nel corpo. Un lato mostra i tipi di sentimenti che si hanno nei diversi segmenti del corpo quando la corrente di eccitazione che parte dal cuore è piena e si libera. I1 diagramma è schematico, ma è il massimo cui io possa giungere nella localizzazione di questi sentimenti. Allorché non vi sono blocchi che interrompono il flusso, i sentimenti sono di segno o di carattere positivo. Dall’altro lato del cartellone vi sono i sentimenti che si formano quando la corrente è bloccata da tensioni muscolari croniche. Non solo si interrompe il flusso, ma tra un segmento e l’altro vi è una stagnazione dell’eccitazione che dà luogo a sentimenti cattivi di segno negativo. **Per comodità e chiarezza ho mostrato questa differenza su due tabelle separate. Le linee rivolte in dentro su se stesse indicano dei moduli di trattenimento e di ristagno. Si vedano le tabelle 1 e 2.
I1 sentimento della fede è il sentimento della vita che scorre nel corpo da un capo all’altro, dal centro alla periferia e viceversa. Allorché non vi sono blocchi o costrizioni a disturbare e alterare il flusso, l’individuo si sente come una unità e come una continuità. I diversi aspetti della sua seconda personalità sono integrati, non dissociati. Non è una persona spirituale in opposizione ad una persona sessuale, e nemmeno è sessuale il sabato sera e spirituale la domenica mattina. Non parla di due linguaggi diversi. La sua sessualità e un’espressione della sua spiritualità perché è un atto d’amore. La sua spiritualità ha un sapore terreno; è lo spirito della vita che egli rispetta nel modo in cui si manifesta in tutte le creature terrestri.
Non è un essere in cui la mente domina il corpo né è un corpo senza mente. E’ una persona che pone mente al proprio corpo.
E’ altrettanto importante, però, il suo senso di continuità. Deriva dal passato, esiste nel presente ma appartiene al futuro. Quest’ultimo pensiero può sembrare strano a coloro che seguono l’attuale modo di pensare secondo cui conta soltanto il momento contingente. Ma mi è venuto dall’idea che la vita è un processo continuo, un dischiudersi continuo di possibilità e potenzialità che sono nascoste nel presente. Senza un po’ di speranza nel futuro e di coinvolgimento nell’avvenire la vita di una persona giungerebbe a un punto morto, come accade alle persone depresse.
Biologicamente, ogni organismo è legato al futuro per mezzo delle cellule germinali che reca nel suo corpo.
Il senso di continuità è anche orizzontale.
Siamo collegati energicamente e metabolicamente con tutte le cose presenti sulla terra, dai lombrichi che smuovono il terreno arieggiando agli animali che ci provvedono del cibo quotidiano. n fatto di sentire questo senso di connessione e di agire in armonia con esso è il segno dell’uomo di fede, dell’uomo che “ha fede nella vita”. La sua fede è forte quanto la sua vita perché è l’espressione della forza vitale che vi è nella persona.
Coloro che hanno una fede autentica si distinguono per una qualità che noi tutti riconosciamo.
Ed è la grazia. Una persona che ha fede e aggraziata nei suoi movimenti perché la sua forza vitale scorre con naturalezza e liberamente attraverso il corpo. E’ aggraziata nelle maniere perché non resta appesa al proprio ego e al proprio intelletto, alla propria posizione o al proprio potere. E’ un tutt’uno con il corpo e, attraverso il corpo, con la vita intera e con l’universo.
Il suo spirito è illuminato e risplende della fiamma intensa della vita che c’è in lei. Ha un posto nel proprio cuore per ogn1 bambino, poiché questi rappresenta per lei il futuro;

Ed ha rispetto per “gli anziani” perché sono la sorgente della sua esistenza e il fondamento della sua saggezza.

A cura di Luciano Marchino

La Bioenergetica di Alexander Lowen

Rara registrazione tratta dalla Conferenza dell’istituto di Analisi Bioenergetica a Pawling, NY, nella primavera del 1998, in cui il Dott. A. Lowen presenta i principi fondamentali e gli esercizi di bioenergetica.

Video di proprietà della Lowen Foundation (www.lowenfoundation.org)
Traduzione a cura di Bioenergetica Italia (www.bioenergeticaitalia.org)

Le classi di esercizi bioenergetici di Giulio Santoro

La classe di esercizi bioenergetici (EB) è costituita da un gruppo di partecipanti di numero compreso tra i 4 e i 20, condotta da un terapeuta o conduttore, in un ambiente tranquillo e in cui ci sia la possibilità di muoversi con il corpo e di poter usare la voce.

I tempi variano dai 45 ai 90 minuti per classe. Il gruppo è guidato dal conduttore nella realizzazione di esercizi.
Gli esercizi bioenergetici possono essere praticati da tutti, non solo dalle persone sane, che possono vivere le classi EB come un’occasione di crescita personale e aumento della propria consapevolezza, ma anche da persone che soffrono di malattie del corpo di origine psichica e malattie nevrotiche quali per esempio l’ansia.

Gli esercizi bioenergetici, permettendo un contatto maggiore e più profondo con se stessi e con la propria sensibilità psico-fisica, può condurre la persona a sperimentare emozioni, sensazioni e sentimenti mai provati fino a quel momento.

Chiaramente, la parola “esercizi”, in questo contesto ha un significato diverso rispetto a quello che possiamo attribuirgli normalmente, in quanto, l’esercizio in sé può diventare, nel contesto della classe, una tecnica terapeutica efficace.

Anche l’uso stesso della parola ‘esercizio’ può portare a creare qualche forma di confusione. Un esercizio all’interno di una classe può così rappresentare una tecnica terapeutica all’interno di un contesto diverso come può essere l’analisi bioenergetica. E’ importante quindi che il conduttore di classi di EB sia in grado di mantenere l’obiettivo principale dell’intervento evitando di trasformare la classe in una seduta terapeutica.

La classe EB, quindi, non va confusa con la terapia di gruppo. Per quanto possano emergere certe valenze terapeutiche, la classe non può sostituire la terapia.

La classe EB lavora sul fronte evolutivo, attraverso lo sviluppo della personalità e può essere attuata in parallelo o alla fine di un analisi personale. Ad ogni modo, anche se la classe EB non mira a sostituirsi alla terapia, la frequenza e la regolarità dell’esecuzione può aiutare in modo notevole le persone a stabilire un contatto maggiore con il proprio corpo, la sensazione di sentirsi vivi e vitali e la capacità di provare
piacere.

E’ esperienza fondamentale durante il lavoro nella classe EB che la persona si sperimenti come corpo e faccia l’esperienza di sentire e sperimentare il proprio corpo. Inoltre, la persona, entrando in maggiore contatto con il proprio corpo, avrà modo di sentire le emozioni direttamente come sensazioni corporee: la paura, la disperazione o la rabbia sono emozioni che hanno un loro corrispettivo stato di tensione corporeo.

Diventare consapevoli del corpo in questi stati emozionali è uno degli obiettivi della classe EB. Diventare consapevoli della rigidità di alcune zone del corpo in corrispondenza di uno stato emotivo quale per esempio la rabbia, e lavorare su quella tensione specifica può portare a modificare l’emozione che soggiace alla tensione stessa. Per esempio, il lavoro sulla mascella o sulle spalle, può considerarsi una via all’apertura a emozioni quali la paura che implica proprio un irrigidimento della mascella e l’assunzione di una posizione delle spalle bloccate in alto in modo da ridurre la respirazione alla parte superiore della gabbia toracica senza coinvolgere così il movimento diaframmatico e la parte inferiore del torace e l’addome e di conseguenza ridurre l’intensità dell’emozione.

Il lavoro su queste parti del corpo con lo scioglimento delle tensioni e l’apertura del respiro con movimento diaframmatici e coinvolgimento dell’addome, può indurre ad una riduzione della paura. In pratica, il lavoro sul corpo procede all’inverso, partendo dagli effetti che producono le emozioni sul corpo, e modificando queste si avvia un cambiamento nello stato emozionale dell’individuo.

Durante una classe EB, il conduttore, attento a notare sia il clima del gruppo da condurre sia la condizione fisica ed emotiva dei singoli partecipanti, propone un percorso articolato in più fasi quali il riscaldamento del corpo, una serie di esercizi a tema e una fase conclusiva che passa attraverso la posizione del bend-over e della posizione in piedi. A quest’ultima può seguire una breve fase di elaborazione e condivisione in gruppo dei vissuti personali.

Durante la Classe EB la respirazione riveste un ruolo fondamentale. Essa può avvenire tramite il naso o la bocca anche se è consigliabile la respirazione con la bocca in quanto permette il rilassamento e l’allentamento delle tensioni mandibolari e inoltre permette una respirazione addominale più profonda.

Durante la classe è importante che gli esercizi siano accompagnati dalla respirazione, meglio se nella fase espiratoria si sonorizzi la respirazione, in quanto l’emissione di un suono, della voce o di gemiti e sospiri permettono un allentamento maggiore delle tensioni corporee, favorendo un rilassamento più profondo. Inoltre, molte emozioni inespresse possono trovare un canale di espressione proprio attraverso la gola e i suoni emessi, rendendo anche più intensa l’esperienza dell’esercizio e della respirazione.

Spesso, molte tensioni si fissano al livello della zona della mandibola, soprattutto in quelle persone che per caratteristiche della propria personalità tendono al controllo eccessivo o vivono in uno stato posturale caratterizzato dal sentimento di paura. Per cui, la mandibola e mascella risultano contratte in una posizione di chiusura eccessiva che non consente un movimento fluido e sciolto della parte. Aprire la bocca per attivare una respirazione profonda, rappresenta così un passo importante per allentare le tensioni di questa zona, favorendo una maggiore ossigenazione che conduce la persona a vivere più pienamente i propri sentimenti rimossi, lasciando che tristezza, amore, gioia, disperazione si diffondano naturalmente in tutto il corpo.

Trovarsi in contatto con sentimenti fino a quel momento repressi e mai insorti, può costituire comunque un problema per chi non ha ancora sviluppato un senso di radicamento maggiore della propria persona. Viene a mancare quindi una solida base su cui appoggiarsi per potersi sentire sicuri nell’affrontare una situazione emotiva molto intensa e chiaramente avvertita come pericolosa.

Il rifiuto di alcuni esercizi, inoltre, è un fenomeno abbastanza diffuso durante le classi EB proprio per quelle persone che vivono con paura certe idee. Un’eccessiva paura della sessualità può portare quindi una persona a non riuscire a muovere in modo sciolto e spontaneo il bacino, in quanto la persona avrà un rifiuto fisico, mentale ed emotivo per il bacino e per ciò che esso rappresenta.

La respirazione, durante lo svolgimento di EB, conduce spesso al pianto. Una maggiore ossigenazione ha come conseguenza quella di accendere per così dire le emozioni che la persona ha tenuto ‘spente’ fino a quel momento per paura di viverle appieno. Rivitalizzare le emozioni, attraverso una respirazione più intensa e profonda può condurre ad un pianto che spesso è avvertito
come liberatorio. Abbandonarsi al pianto permetterà al proprio corpo di rilassarsi e alla persona di ritrovare una pace mai provata fino a quel momento.

Anche il desiderio di gridare è un fenomeno che caratterizza le classi di EB ed è un fenomeno molto diffuso durante gli esercizi. La persona, assumendo certe posizioni che favoriscono un maggiore allentamento delle tensioni della gola, può sentire improvvisamente l’impellente bisogno di aprire la gola e lasciarsi andare in un grido che può racchiudere sentimenti ed emozioni che per troppo tempo sono stati soffocati. L’apertura della gola e il pieno e consapevole uso della voce rappresenta così uno degli obiettivi più importanti del lavoro bioenergetico.

Un altro importante aspetto del lavoro nelle classi di EB è quella cosiddetta vibrazione che si avverte durante alcuni lavoro sul corpo. La vibrazione indica che c’è un sano funzionamento muscolare ed è costituita da scariche che attraversano le fibre muscolari e danno la sensazione di un flusso continuo, dal momento in cui il blocco di alcune cinture di tensione viene aperto e la scarica può fluire con un certo ritmo attraverso il corpo. La vibrazione conduce l’attenzione della persona che svolge l’esercizio a quella parte del corpo in cui fluisce la scarica, raggiungendo una maggiore consapevolezza di quella specifica parte del corpo. Può accadere che una persona prenda consapevolezza delle proprie gambe o del proprio radicamento e del contatto dei propri piedi con la
terra solo dopo aver provato la vibrazione che fluisce in queste parti del corpo. Così, attraverso la vibrazione vi è un aumento della consapevolezza sia del proprio corpo, che viene avvertito come
più vivo e animato sia del contatto con la terra, quindi del proprio radicamento o grounding.

Questo concetto, il grounding (radicamento) è alla base di tutto il lavoro bioenergetico. Esso è un processo rappresentato dal flusso energetico che attraversa globalmente il corpo in senso verticale, dalla testa ai piedi e viceversa, accompagnato dalla respirazione che contribuisce a dargli una ritmicità e trasformando questo flusso in uno strumento capace di integrare e radicare la
persona, cioè dare alla persona un senso di continuità, di unità e nel contempo di solidità.

Gli altri obiettivi principali delle classi EB sono quelli di aumentare la padronanza di se stessi, aumentare la spontaneità e l’espressività, aumentare la consapevolezza di se stessi e il contatto con le proprie emozioni.

Questi obiettivi principali vengono perseguiti tramite una serie di altri obiettivi quali, l’aumento del senso di radicamento, una respirazione più profonda, un maggiore stato di vibrazione del corpo, lo scioglimento e l’apertura di alcune cinture e tensioni croniche nella zona del bacino, del torace e della testa.

Diventare consapevoli delle tensioni muscolari e lavorare sul movimento e sulla respirazione in modo graduale per favorirne il rilascio. Sbloccando così l’energia intrappolata nel corpo e lasciandola fluire in modo più libero ne consegue un senso più grande di vitalità che accresce la capacità di sentire piacere, la motilità ed il benessere ad un livello sia muscolare che emozionale.

Durante una classe di esercizi la persona lavora simultaneamente su due polarità energetiche distinte: carica e scarica dell’energia al fine di elevare il livello energetico, migliorare il livello di auto-espressione e ristrutturare nel corpo eventuali flussi energetici interrotti.

Gli esercizi bioenergetici, centrati sulla funzione integrante e armonizzante dell’Io, favoriscono nella persona un’autoregolazione energetico-emozionale in grado di trasformare gli stati negativi o penosi in stati positivi. Questa trasformazione, definita resilienza, permette alla persona di spostare l’orientamento dell’Io dalla ricerca del potere alla ricerca del piacere.

Stati e sentimenti quali rabbia, paura e disperazione con i quali abbiamo tutti a che fare, attraverso il lavoro sul corpo e con il corpo e il ruolo fondamentale della respirazione durante tutti gli esercizi, si aprono la strada verso un cambiamento: dalla rabbia alla spinta vitale, assertività e crescita; dalla disperazione alla gioia;
dalla paura alla fiducia.

Quando nasciamo, l’energia vitale scorre fluidamente attraverso il corpo. Durante la crescita si creano, a causa di traumi, alcuni blocchi energetici, causati da interferenze di percorso psico-corporeo, che promuovono variegati meccanismi di difesa. Questo costruisce una corazza caratteriale del tutto personale e provoca problemi del comportamento, sintomi psicologici e organici che si manifestano anche in tarda età. Questi flussi di energia, rappresentati da sentimenti quali rabbia, disperazione e paura, spesso non sono percepiti dalle persone e restano bloccati a livello di alcune cinture del corpo (bacino, torace, testa), causando quindi disturbi e malattie.

L’apertura delle zone di tensione avviene tramite gli esercizi che favoriscono un maggiore contatto con quelle parti del corpo in cui sono rimaste bloccate alcune emozioni inespresse. E’ come se il corpo rappresentasse una memoria della persona, un luogo fisico in cui la persona relega ciò di cui si vuole disfare, una specie di memoria in cui viene scaricato il rimosso.

La Classe di Esercizi Bioenergetici si colloca oggi, nella nostra cultura, secondo una prospettiva diversa, più orientata al corpo che alla mente, più al sentire che al pensare. L’attenzione è diretta ai corpi, senza una specifica indagine mentale sulle sensazioni ed emozioni. In pratica, rimettiamo come base l’istinto e il sentire, piuttosto che la testa e il pensare.

Il conduttore guiderà i partecipanti alla classe a stare più sul sentire un’emozione, a lasciarla fluire, diventare consapevoli e accettare quella sensazione o quella particolare emozione scaturita durante un particolare esercizio.

LOWEN IN/OLTRE di Luciano Marchino

“Sono trascorsi quarant’anni da quando ho sviluppato l’Analisi Bioenergetica dai concetti carattero analitici di Reich con l’intenzione di approfondire il lavoro analitico e di espandere le procedure corporee per rendere più efficace la terapia. Focalizzai l’attenzione sulla respirazione, l’espressione dei sentimenti e l’abbandono sessuale all’amore come si manifesta nel riflesso dell’orgasmo. Questo programma conteneva una grande promessa e tutti noi, coinvolti nello sviluppo di questo nuovo approccio, credemmo di poter aiutare le persone a raggiungere in tal modo il pieno appagamento.
Mi rattrista dover ammettere che l’Analisi Bioenergetica non ha esaudito tale aspettativa: come fondatore e guida mi sento responsabile di questo fallimento che è dovuto alla mia insufficiente comprensione della profondità della patologia che affligge gli esseri umani nella nostra cultura. Tale fallimento ha origine anche nella mia determinazione egoistica ad ottenere risultati. Ma per me gli ultimi quarant’anni non sono trascorsi invano. Ho affrontato l’arroganza e la impulsività della mia personalità e ho imparato ad accettare la vita e a lasciarla accadere. Ciò mi ha condotto a una comprensione del tutto nuova dei compiti terapeutici e del processo dell’Analisi Bioenergetica. Ho chiamato questa nuova comprensione
arrendersi al corpo. Il fine dell’arrendersi è l’esperienza della gioia.”
In modo quasi magico, quasi mistico, quasi artistico, come un maestro zen che tracci il suo cerchio più perfetto, Alexander Lowen chiude con queste parole un ciclo di ricerca estesosi nell’arco di quaranta intensissimi anni di fervida passione scientifica che lo hanno condotto a radicare sempre meglio la sua ricerca clinica nella realtà somatica e spirituale degli esseri umani. Con le ultime parole del suo adress ai partecipanti al dodicesimo congresso biennale di Analisi Bioenergetica nel 1994, egli ci commuove per la sua grandezza e ci sorprende per la sua modestia. Giunto all’apice della sua esperienza umana e scientifica, alla bella età di ottantacinque anni, afferma di aver mancato l’obiettivo più ambizioso e più significativo, quello di ripristinare la piena salute emozionale in coloro che si rivolgono all’A. B. in cerca di aiuto.
E’ importante ricordare quello che Lowen ritiene essere il fine della terapia : “aiutare il paziente a ritrovare la capacità di provare piacere e gioia. Questo è un fine più ampio di quello formulato da Reich e al contempo include il piacere sessuale e la soddisfazione orgastica”. Egli quindi non nega la centralità delle problematiche sessuali e riconosce anzi che “l’analisi dei conflitti sessuali è tuttora un punto focale nel lavoro terapeutico in A. B.”; ma afferma al tempo stesso che l’A. B. “non è preoccupata in modo esclusivo della sessualità quanto lo era l’approccio reichiano”. Sarà la respirazione ad assumere in A. B. la centralità attribuita da Wilhelm Reich alla sessualità. La respirazione evidenzia infatti secondo Lowen la qualità del “rapporto con l’aria”. “L’aria o la respirazione sono l’equivalente dello spirito, il pneuma delle antiche religioni, un simbolo del potere divino che dimora in Dio (padre), la figura paterna”.
Lowen sottolinea come un’insufficiente fluidità ed ampiezza respiratoria si rifletta in un disturbo del flusso delle sensazioni attraverso il corpo e quindi in un indebolimento della risposta emozionale agli eventi della vita. Ad una respirazione frammentaria farà riscontro una risposta emozionale conflittuale ed ambivalente.
Riferendoci ora a quanto sopra affermato riguardo il mancato obbiettivo, dobbiamo quindi, come altri hanno ritenuto opportuno, ignorare il messaggio di Lowen e perseverare egotisticamente e caparbiamente nell’applicazione di un metodo che ha portato il suo massimo esponente a considerazioni di tale drammaticità? O dobbiamo chiederci se non sia giunto il tempo anche per noi di aprire gli occhi e di diventare protagonisti e non solo somministratori o fruitori di un metodo che come ogni metodo scientifico degno di questo nome ha portato il suo nucleo di ricerca più avanzato, più coerente e più disincantato a cogliere i propri limiti a falsificare le proprie ipotesi di partenza, e a formulare conseguentemente un nuovo e innovativo piano di ricerca e di applicazione ?
Per rispondere a questo interrogativo credo sia necessario fare un passo indietro e inquadrare il paradigma dell’A. B. all’interno del panorama attuale delle psicoterapie sia a mediazione verbale che a mediazione somatica (queste ultime sono incentrate sulla fondamentale assunzione dell’identità funzionale tra mente e corpo, e come conseguenza orientate verso un lavoro terapeutico implicante sia il livello verbale che corporeo).
In Oltre i confini, Ken Wilber, psicologo e ricercatore tra i più accreditati nel campo della psicologia transpersonale, introduce l’ipotesi che le forme di intervento psicoterapico abbiano come mezzo e come fine l’eliminazione dei confini tra ciò che chiamiamo e ciò che chiamiamo non Sé, che ci è psicologicamente altro. Egli sottolinea come il confine più comunemente riconosciuto sia fornito dall’epidermide, dimenticando però di sottolineare un dato importante, cioè che l’epidermide e la neocorteccia cerebrale, principale sede dell’attività mentale cosciente, hanno la stessa origine embriologica e sono partecipi del medesimo senso del confine. Come vedremo in seguito, questa considerazione non è affatto secondaria.
Wilber riconosce che, come Lowen rileva più volte nei suoi scritti, il senso dell’identità è fornito agli esseri umani soprattutto dall’esperienza corporea. L’osservazione clinica dimostra infatti che il corpo fornisce la base più largamente condivisa per distinguere ciò che è me da ciò che è non me, come il mio rasoio, o il mio spazzolino da denti, o la mia automobile. Ma oltre al confine fornito dall’epidermide siamo costretti ad ammettere l’esistenza di un secondo importante confine posto tra mente e corpo, o più precisamente tra mente conscia e corpo.
E’ l’esistenza di tale confine che ci induce a fare affermazioni del tipo “Io ho un corpo sano” piuttosto che “Io sono un corpo sano”.
La differenziazione sbrigativamente etichettata come “separazione tra mente e corpo” ci deve indurre a considerare l’eventualità che all’interno del processo di evoluzione si siano create le condizioni di una differenziazione adattiva funzionale tra uno strato più periferico , e più direttamente a contatto con l’ambiente (l’ectoderma-neocorteccia-pelle) e degli strati più profondi e meno esposti alla relazione ambientale come il mesoderma e l’endoderma. Tale differenziazione adattiva, che fornirebbe il substrato biologico all’esperienza psicologica di una separazione tra mente e corpo, è alla base delle osservazioni cliniche di Wilhelm Reich sull’origine dell’armatura carattero-muscolare (secondo Reich, capostipite della Psicologia Somatica, qualsiasi conflitto emotivo o trauma subito a livello psicologico provocherebbero nell’individuo una corrispondente tensione a livello fisico, favorendo, come risultato, l’instaurarsi di una corazza muscolare. Questo sta ad evidenziare l’esistenza di un’identità funzionale tra mente e corpo), teoria pienamente assorbita nel paradigma dell’A. B. di cui costituisce uno dei pilastri principali.
Nessuna osservazione ci autorizza infatti a credere che la linea di confine tra mente e corpo sia presente (sancita oltre che predisposta) alla nascita. Una mole considerevole di dati ci costringe viceversa a rilevare come il processo di separazione dell’identità dal corpo proceda di pari passo con lo sviluppo del bambino e con la maturazione di stati dell’essere che Lowen ha associato a cinque diritti fondamentali: il diritto di esistere, di avere bisogno, di essere autonomo, di imporsi e di amare sessualmente. La negazione protratta o traumatica di tali diritti, sembra costringere il bambino a dissociarsi dall’area del proprio corpo implicata nella rivendicazione del diritto negato, serrandolo nella morsa di una tensione che appare necessaria ad impedirne l’espressione e quindi l’appagamento, perpetuando di conseguenza lo stato di bisogno e di frustrazione. In cambio del paradiso così perduto egli riceve un’illusione, l’illusione che il non sentire, cioè il dissociare il piano fisiologico dalla sensazione dal piano psicologico della percezione dotata di emozione e di significato, lo metta al sicuro da un ambiente correttamente o erroneamente percepito come minacciante.
E’ così che perdiamo la capacità di riconoscere il corpo come il modo della nostra esperienza e cominciamo a ritenerlo semplicemente un mezzo attraverso il quale entriamo in contatto col mondo.
E’ in tal modo che perdiamo la capacità di riconoscere il corpo come l’essenza e lo riduciamo alla funzione di contenitore di cui poi pretendiamo di essere il contenuto.
E non è tutto naturalmente perché, come Freud ha dimostrato e Lowen ha pienamente integrato nell’A.B., esiste all’interno del confine dell’ectoderma un ulteriore confine tra le parti di cui siamo consapevoli e che chiamiamo Io e le parti che abbiamo allontanato dalla coscienza, rimuovendole e/o proiettandole sull’ambiente esterno. Le parti che Carl Jung definì suggestivamente ombra.
Tale confine ci rimanda dunque a uno spazio più profondo e interno a ciascun essere umano: lo strato strutturale fornito dall’apparato muscoloscheletrico (mesoderma) che è l’apparato di supporto e l’agente e soggetto di ogni azione cosciente e volontaria, ma contiene al tempo stesso la somma articolata (pattern) di tutti i divieti interiorizzati dalla persona nel suo processo di autocostruzione.
E’ proprio qui, a livello della muscolatura volontaria, che l’Io sembra imbrigliare e annullare l’emergere di tutti gli affetti suscitati dal permanere della frustrazione ambientale. E’ qui che si realizza l’ulteriore confine tra parti consce, autorizzate per così dire a emergere sino al livello ectodermico, se non a esprimersi nell’ambiente, e parti inconsce, che solo nel sonno con l’allentamento delle tensioni muscolari volontarie e del controllo egoico, o nell’ atto bioenergetico, grazie all’alternanza simpatico/parasimpatico (Gellhorn [ 1967] parla di principio di “interazione reciproca” che regola le componenti simpatica e parasimpatica del SNA. Il simpatico funziona nell’azione, ovvero nei processi di dispendio di energia; la componente del parasimpatico funziona nel riposo, ovvero nei processi di recupero dell’energia.) e alla decisione volontaria di riattivare modi di funzionamento espressivo desueti, possono tornare alla luce.
Nel primo caso esse, se supereranno la soglia del ritorno allo stato di veglia, dovranno comunque sottostare al processo di decodificazione noto come analisi dei sogni, nel caso di un atto bioenergetico invece, se la carica emozionale potrà superare la barriera posta dalle difese neurotiche dell’ io adattato, trascinerà con sé la conoscenza originaria dell’evento e della situazione patologica che diede origine al blocco neurotico, portando ad un momento di autocoscienza che non richiede alcuna spiegazione, ma solo un’adeguata integrazione a livello consapevole.
Il processo dell’analisi bioenergetica però può essere visto in due modi, diametralmente opposti. Il primo che l’avvicina alla terapia dell’Io è un processo che, senza troppo allontanarsi dalla realtà, potremmo definire di manutenzione dell’armatura caratteriale e che prevede la riorganizzazione delle difese sotto l’egemonia di un Io rafforzato da una migliore sensazione di esistere (dovuta all’integrazione dei vissuti emozionali e sensoriali corporei), e quindi di potersi battere con maggior successo per i propri fini. In questa luce il terapeuta si pone al servizio dell’Io del paziente, promovendo però un intensificarsi del senso di separazione, e spesso di conflitto, tra l’organismo e l’ambiente, e rendendo il suo paziente un combattente più fiero e fiducioso ma non per questo più gioioso.
Credo che Lowen, nel suo adress ai bioenergetici, voglia proprio sottolineare come tale approccio non abbia portato i risultati sperati e come il processo dell’analisi bioenergetica sia oggi meglio descrivibile come un progressivo arrendersi al corpo e al flusso della vita, dentro e fuori di noi. Dont push the river! Non spingere il fiume della vita, arrenditi, lasciati condurre.
Ma il flusso della vita, nel processo di reintegrazione delle parti che chiamiamo psicoterapia, sembra spesso sommergerci e precipitarci in situazioni sulle quali non sentiamo di avere il controllo e che minacciano di sopraffarci. Si incontrano rapide e mulinelli e cascate improvvise, come improvviso è talvolta il crollo delle antiche illusioni, e implacabile il mulinello dei sentimenti inespressi di dolore, di collera, di desiderio o di paura a cui non riusciamo a sottrarci, e incontrollabile ci sembra l’improvviso ritorno dell’ energia quando riusciamo a praticare una breccia nella massa compatta dell’armatura.
E’ a questo punto che l’A.B. supera se stessa, e sfocia in una dimensione che va ben al di là di una terapia dell’Io, perché il processo di confronto con la paura di perdere il controllo e di impazzire, con la paura che arrendersi al corpo equivalga a morire, la pongono sul piano di una pratica di evoluzione spirituale, che travalica irreversibilmente l’angusta dimensione della psicoterapia dell’Io individuale, per riallacciarsi ad una unità sottostante che sembra accomunare la molteplicità degli esseri umani.
Questa fu probabilmente l’esperienza che Teresa D’Avila, la più grande ricercatrice spirituale della cristianità, descrisse come oscura notte dell’anima e forse fu l’esperienza che indusse Al-Ghazali, il più grande mistico dell’Islam, a porre nel suo Trattato delle sette valli la valle della morte e l’abisso del nulla prima della settima e ultima valle al centro delle altre: la valle della celebrazione, equivalente mistico della gioia. E forse da ripetute esperienze di questo tipo ha avuto origine il Bardo, il libro tibetano dei morti, minuziosissima sequenza di istruzioni per il passaggio a una vita migliore, per l’uscita dalla ruota del Karma, così simile, come abbiamo rilevato altrove, alla schiavitù dell’armatura caratteriale.
Tutti costoro, si badi bene, non cercarono Dio attraverso dotte elucubrazioni o agitando concetti fumosi; questo era ed è tuttora compito dei letterati. I mistici, al contrario, perseguivano la conoscenza di Dio attraverso ben precise pratiche esperienziali corporee.
Forse in tal modo entrarono in contatto col nucleo della loro energia pulsionale originaria che Wilhelm Reich, maestro di Lowen aveva posto al centro del proprio modello della personalità umana. Forse in tal modo assaporarono l’esperienza dell’estasi, della celebrazione, della gioia del contatto con l’origine dell’uno e del tutto. Non lo sappiamo, non possiamo saperlo, ma certamente sappiamo che, contrariamente alla dilagante o gaudente congerie del neomisticismo, che pretende di saltare pié pari l’esperienza dei vissuti corporei per sguazzare illusoriamente in un oceano cosmico pittorescamente popolato, l’A.B. si pone come il frutto raro e maturo di un processo di evoluzione e di integrazione emozionale, esperienziale, sensoriale o cognitiva che, per il solo processo di incremento sinergico della complessità che è il mezzo e il fine del suo metodo e grazie al contributo di molti ricercatori, si trova oggi al limitare di una spiritualità emergente che esita ad abbracciare, ma che non può più a lungo rinnegare.
Arrendersi al corpo, abbandonare le tensioni psicorporee difensive, fu la scelta che guidò Reich ad elaborare l’ analisi del carattere in vegetoterapia caratteroanalitica. Lowen, che dalla vegetoterapia trasse le sue prime intuizioni, torna oggi a una profonda comprensione della funzione terapeutica dell’arrendersi. Dopo essersi battuto con pieno successo per affermare il proprio metodo, egli lo perfeziona e ci avvisa: l’ultimo passo verso la gioia è imparare ad arrendersi.
Milano 23 dicembre 1995
Tratto da www.biosofia.it

Che cos’è una classe di esercizi di bioenergetica – Ellen Green Giammartini

Ellen Green Giammartini
Che cos’è una classe di esercizi di bioenergetica
Ovvero che cosa non è una classe di esercizi di bioenergetica.

La questione iniziale
Che cos’è una classe di esercizi bioenergetici? Spesso sembra essere di tutto per tutti. È uno spazio in cui provare metodi che pretendono di risvegliare la Kundalini dei partecipanti, oppure un gruppo per impegnarsi a fondo nelle tecniche Gestaltiche, o musicoterapia o arteterapia, o invece una classe in cui fare una dimostrazione di esercizi di Psicosintesi di Assagioli, o è la tribuna appropriata per persone che siano state in India per tre settimane o più (o meno) e che vogliono trasmettere ai loro compatrioti i segreti dell’Est? Chiraramente sto sconfinando nella sfera di ciò che gli esercizi di bioenergetica non sono, alla ricerca di una risposta alla mia questione iniziale. Tuttavia, è difficile evitare tale sconfinamento, dal momento che molte attività che vanno (o passano) sotto il titolo di “classi di esercizi di bioenergetica”, nella pratica effettiva risultano essere ciò che esse non sono.
Il presente saggio non tratta della pratica dell’analisi bioenergetica, che include l’analisi del carattere, ma della conduzione di classi di esercizi di bioenergetica, che non la implicano. L’analisi bioenergetica è discussa solo con il proposito di fare paragoni ed evidenziare contrasti. Userò l’abbreviazione EB per esercizi bioenergetici quando entrambe le parole verranno usate come aggettivi, cioè con propositi di descrizione in riferimento a una classe, come in “classe EB”, similmente userò l’abbreviazione AB per l’analisi bioenergetica, come in “terapia di gruppo AB”.
Il mio sforzo per rispondere alla domanda posta nel titolo consiste principalmente in un tentativo di chiarimento di alcune aree pratiche della bioenergetica: che cosa si sta realmente facendo. Il bisogno di questo impegno non è nato dal fatto che Alexander Lowen non sia stato chiaro in ciò che ha scritto e detto fino a oggi, bensì dal fatto che nell’avvicendarsi degli apporti delle sue scoperte e dei suoi contributi creativi, le acque della sua chiarezza si sono talvolta intorbidite. Nell’area degli esercizi di bioenergetica il testo The Way to Vibrant Health: a Manual of Bioenergetic Excercises di Alexander e Leslie Lowen (in Italia: Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica. Manuale di esercizi pratici, Astrolabio) è notevole per la chiarezza sia della parte scritta che delle illustrazioni che contiene.
Il materiale che segue è basato principalmente sulle mie esperienze in Europa, tuttavia l’evidenza suggerisce che anche negli Stati Uniti, in alcune occasioni, i professionisti cedono alla tentazione di usare la classe EB come acchiappa-tutto. Così, la questione posta nel titolo di questo articolo può essere interessante al di là dei confini europei. Anzi, come tenterò di dimostrare, è una problematica che ci porta oltre i confini delle stesse classi EB, nell’area dei principi fondamentali della pratica psicoterapeutica. Ciò ci conduce altresì a un esame di alcuni basilari precetti etici propri di questa professione.


Tra il dire e il fare…

Siccome non mancano principi stabiliti in modo lucido, sia per la teoria che per la prassi bioenergetica, e poiché le teorie sono chiare e illuminanti, il fatto che la pratica da parte dei nuovi praticanti sia scrupolosamente basata su questi principi e queste teorie è un presupposto che viene comprensibilmente dato per scontato. Tuttavia, lasciare totale libertà di scelta individuale relativamente all’imbarcarsi in un’attività operativa in questa o in qualsiasi altra area della nostra professione, insieme con la mancanza di supervisione dei contenuti o della sostanza di tali attività, una volta intraprese, significa permettere che molte distorsioni si insinuino o perfino prolifichino nel lavoro.
Nel campo della bioenergetica, che include sia la psicoterapia che le classi di esercizi, possiamo acquisire una grande quantità di conoscenze teoriche prima di avere maturato molta esperienza pratica e/o prima di avere sviluppato un’attitudine matura nei confronti del lavoro. Laddove manca una vasta esperienza di lavoro, una salutare cautela da parte del conduttore della classe -possiamo chiamarla modestia professionale- può costituire una salvaguardia adeguata. Però tale modestia (o umiltà) raramente si accompagna con l’immaturità. Più spesso sembra prevalere l’equazione paradossale che l’ambizione esteriore cresce in proporzione diretta con l’impreparazione interiore.
Questa situazione problematica non è attenuata dal seguente fatto, che a tutt’oggi è stato dato per scontato: mentre coloro che hanno scarsa esperienza in bioenergetica non possono praticare la terapia, nondimeno essi sono quelli a cui può essere affidata la conduzione di classi di esercizi bioenergetici. Quando ciò si verifica, allora le classi EB sembrano offrire l’irresistibile opportunità di “saltare le tappe” della crescita professionale. Se ho appena seguito un gruppo di terapia di qualsiasi scuola o approccio psicoterapeutico dove sono state usate tecniche sconosciute, le proverò sui partecipanti delle classi EB che ora conduco! Queste nuove tecniche non sono esercizi bioenergetici, né possono in molti casi essere integrate nello specifico modo di fare questi esercizi, perciò tanto meno possono essere legittimate o giustificate come parte del “mio approccio individuale” nella conduzione di una classe EB. “Non vi preoccupate, è una buona esercitazione per me come futuro terapeuta!” è la risposta implicita, anche se inespressa, del conduttore. Così la classe EB è usata come un laboratorio per la sperimentazione professionale, pagata, più convenientemente, dalle cavie stesse.

In gruppo per gli esercizi o per l’analisi

Vi sono alcuni elementi di autentica confusione circa la natura di una classe EB. Uno di questi, in pratica, concerne la differenza tra una classe EB e una terapia di gruppo AB. Vorrei chiamare in causa commenti che ho udito in passato sull’effetto di “noia” prodotto dalle classi EB, o sul fatto che “non funzionano”. Devo aggiungere che non solo i principianti, ma talvolta anche terapeuti riconosciuti, cedono alla tentazione di trasformare una “banale” classe di esercizi in una “eccitante” terapia di gruppo. Qui viene messa in gioco anche l’etica professionale, perchè non possiamo (eticamente) stabilire un contratto che ffra ai partecipanti classi di esercizi e poi procedere a coinvolgerli in una terapia di gruppo, con tutto ciò che comporta sia per la psiche che per il corpo.
Con i conduttori che non hanno idee confuse rispetto all’area dell’etica professionale esiste un problema più intrinseco. Cioè come fare in modo che la classe EB non si trasformi in un gruppo di terapia AB, il che è qualcosa che può accadere (o tende costantemente ad accadere), contrariamente alle intenzioni e ai desideri del conduttore. Qui sono necessarie tanto la capacità quanto l’integrità professionale. Ciò comporta il fatto di avere concetti chiari riguardo allo scopo e alla natura del lavoro nelle classi EB e anche la capacità di riportare il lavoro all’interno dei suoi precisi limiti. Data la “efficacia potenziale” degli esercizi bioenergetici, questo non è un compito facile. Certamente non è un compito da assegnare ai principanti nel campo della bioenergetica. Si deve mantenere il lavoro all’interno di limiti specifici, incoraggiando nello stesso tempo il fluire dell’energia (non bloccandola) e tutto questo mentre si conduce un esercizio per, diciamo, dieci persone, piuttosto che dando istruzioni semplicemente a un singolo individuo. Insieme con la chiarezza dei concetti è necessario sviluppare l’abilità di fare distinzioni, anche sottili, in relazione al lavoro: come nella scelta, sequenza, durata e “dosaggio” degli esercizi; e in relazione ai partecipanti: per esempio di fronte alle variazioni delle reazioni individuali agli esercizi e alla differenziazione dei ritmi e/o dei “fattori di tolleranza”.

Le qualità necessarie al conduttore

Per un conduttore di classi EB sono necessarie altre capacità e una somma di esperienza non indifferente; deve essere in primo luogo e principalmente esperto circa la propria persona in relazione agli esercizi di bioenergetica, deve avere consapevolezza della loro potenza e una conoscenza pratica dei principi fondamentali della bioenergetica. Deve avere un’attitudine all’osservazione, estremamente allenata nel notare piuttosto che nel ricercare (cioè nel vedere il corpo piuttosto che nel guardare alla ricerca della struttura caratteriale), questa è un’altra qualità necessaria. Lo scopo è quello di condurre la classe EB in modo creativo, consentendo ai partecipanti di vivere un’esperienza ricca e in espansione pur mantenendo una specifica struttura.
In altre parole, la flessibilità all’interno di una struttura è positiva, mentre la negazione di una struttura è distruttiva. Il risultato è la distruzione di una forma: in questo modo il caos tende a sostituirsi al contenuto. Anche l’esperienza e l’attitudine all’insegnamento sono vantaggiosi.
Ottenere questa esperienza e sviluppare queste qualità è un eccellente allenamento per il futuro terapeuta. Così le classi EB hanno un posto -vorrei dire persino un posto essenziale- nei programmi di formazione, oltre al loro vantaggio complementare, importantissimo, di procurare un lavoro supplementare sul corpo per le persone in formazione. Gettando uno sguardo al di là di quest’area professionale, la classe EB è, secondo la mia opinione, uno strumento potente, sebbene trascurato, di miglioramento della società contemporanea, e potrebbe anche svolgere un ruolo importante nell’area della medicina preventiva. Questi ultimi due aspetti verranno discussi in maggior dettaglio in un saggio futuro.
L’uso corrente della parola “esercizio” in bioenergetica può portare a qualche confusione e infatti deve essere capito in modo chiaro. Perché ciò che in una classe EB è un esercizio, quando è usato in un contesto diverso e a un differente livello, in una seduta terapeutica di AB diventa una tecnica terapeutica -e una tecnica potenzialmente efficace per tale scopo. Così, in effetti, se si permette agli allievi di condurre classi precocemente nella loro formazione (classi per il pubblico non soggette alla supervisione degli insegnanti), si mettono nelle loro mani delle potenti tecniche terapeutiche, con l’incoraggiamento a usarle prima che siano qualificati a farlo. Il conduttore della classe, nell’uso degli esercizi deve operare l’equivalente della valutazione fatta dal terapeuta nei riguardi dell’utilizzazione di una tecnica potenzialmente efficace o meno e/o del limite entro cui usarla, precisamente perché gli esercizi non devono essere impiegati come tecniche terapeutiche potenti. Cioè devono essere contenuti entro certi limiti. C’è un percorso sottile (se non stretto e rettilineo) per muoversi nelle classi EB senza trasformale in ciò che non sono.
Gli esercizi di bioenergetica possono anche essere usati come esercizi per sé nelle sessioni di terapia individuale e di gruppo, per esempio per aiutare nel processo di radicamento. Li usiamo come esercizi (per sé) nel lavoro che facciamo sui nostri propri corpi per tutta la nostra vita, come psicoterapeuti praticanti, o semplicemente come esseri umani dediti a ciò che Lowen chiama “la verità del corpo” (1989). Poiché il nostro lavoro nella bioenergetica è finalizzato alla pienezza – al conseguimento della nostra totalità di esseri umani – deve sempre essere fondato su questa verità. Infatti il dottor Lowen ha sottolineato che “Ritornare alle origini (…) è un’affermazione del nostro riprendere a dedicarci a questa verità fondamentale” (ibid). Egli ha altresì affermato con una frase semplice e vivida che il “corpo è la persona” (1984).
La persona compiuta è quella che è in contatto con entrambe: le sensazioni e le emozioni. Ed entrambe -emozioni e
sensazioni- sono localizzate e talvolta rinchiuse nel corpo. E lo specifico proposito degli esercizi di bioenergetica è quello di aiutare a sbloccare l’energia intrappolata o confinata all’interno del corpo e accrescere la mobilità ai livelli muscolare ed emozionale. Le classi EB condividono questa finalità con l’analisi bioenergetica, alcuni dei mezzi utilizzati sono i medesimi (vale a dire gli esercizi bioenergetici!) ma il loro uso nelle classi differisce da quello fatto in terapia. Entriamo inevitabilmente nell’arena di soma e psiche quando lavoriamo bioenergeticamente, ma come conduttori di classi EB non ci impegniamo in psicoanalisi, anche se le nostre qualifiche professionali ci abiliterebbero a farlo. Il nostro intervento nell’area psicologica è chiaramente più limitato. Al tempo stesso, come ho imparato conducendo classi EB per partecipanti che non erano in terapia, è proficuo e incoraggiante vedere in che misura le persone che vivono nella società contemporanea e che soffrono dei mali dei giorni nostri possano trarre beneficio da questa specifica modalità di lavoro bioenergetico. Perciò, ovviamente, in una genuina classe EB non possiamo sfuggire alla priorità del lavoro sul corpo.
Ogni professionista nel campo della bioenergetica sa che cosa sia un esercizio bioenergetico. Perciò, la domanda pertinente a questo punto si incentra in realtà sui suoi specifici usi nelle diverse circostanze. Qual è la modalità, la portata, l’intensità, il metodo d’impiego degli esercizi bioenergetici nei differenti contesti? Per esempio, possiamo essere consapevoli della natura degli esercizi bioenergetici e tuttavia trasformare una classe EB in qualcosa che non lo è più. Perciò adesso mi piacerebbe cambiare il rilievo nella domanda del titolo del saggio per chiedere: che cos’è una classe di esercizi di bioenergetica?
Background
Prima di condurre classi EB la mia esperienza nel campo della bioenergetica è consistita di tre anni di analisi bioenergetica con Alexander Lowen. Il mio lavoro professionale si svolgeva nell’ambito teatrale con una vasta esperienza di insegnamento.
Durante il periodo in cui fui in terapia con il dottor Lowen fondai e divenni il direttore artistico del “West Side Actors Workshop and Repertory” di New York, dove formai attori e scrissi e diressi opere per il nostro teatro stabile. Geograficamente eravamo situati Fuori-Broadway, ma la nostra collocazione in relazione alla dimensione culturale era fuori Fuori-Broadway, con tutta la libertà di sperimentazione che ciò consentiva!
L’attore è “il proprio strumento” e la sua formazione implica le azioni di “accordare”, “regolare la tensione” e “aprire” lo strumento; ciò comporta anche l’aiuto ad aumentare la propria capacità di espressione emozionale e, a tal fine, a liberarsi sia dai blocchi fisici che da quelli psicologici. Così si tratta di un tipo di insegnamento molto particolare, per molti aspetti non scollegato dalla psicoterapia, sebbene con delle differenze di grande rilievo. È significativo che anche in questo lavoro il risultato stia in sottili, ma fondamentali, distinzioni.
Il lavoro con l’attore è finalizzato ad aiutarlo ad acquisire tecniche di recitazione: l’abilità nell’arte di recitare. Il suo scopo quindi non è la psicoterapia, anche se il suo lavoro per l’acquisizione e la pratica di questa abilità è terapeutico di per sé. In modo simile, interporrò a questo punto, le classi EB non dovrebbero essere finalizzate a dare psicoterapia ai partecipanti anche se, quando siano condotte in modo corretto, le classi sono indubitabilmente (e giustamente) terapeutiche.
Negli ultimi due anni del mio lavoro a New York usai alcuni esercizi e tecniche bioenergetici con l’approvazione e
l’incoraggiamento del dottor Lowen. Nelle lezioni usammo il cavalletto bioenergetico per aiutare la respirazione. I cavalletti furono anche collocati nei camerini del nostro teatro, usati regolarmente dagli attori, non soltanto durante le prove ma anche prima e talvolta persino durante le rappresentazioni, cioè tra gli atti. Poiché la tensione è il rischio professioonale dell’attore e poiché una ricca espressività emotiva richiede una respirazione piena e profonda, l’efficacia dell’aiuto dato agli attori con tecniche bioenergetiche può essere immaginata da chiunque abbia familiarità con esse. Tuttavia, sia durante una lezione come insegnante che nel corso di una prova come direttrice, mi curai di tenere in mente la distinzione tra l’insegnare una abilità da un lato, come il lavorare con un attore sul suo ruolo in una recita usando alcune tecniche bioenergetiche per questo scopo, e l’uso di tali tecniche per dare psicoterapia dall’altro. La funzione dell’insegnante di recitazione è quella di aiutare l’attore ad acquisire un’abilità per diventare un attore indipendente. Non è quella di andare alla ricerca di gratificazioni rendendo l’attore emozionalmente e artisticamente dipendente dal suo insegnante.

Un lavoro sul corpo non vale l’altro

La mia formazione prima della terapia ha incluso una grande quantità di lavoro corporeo. Ho studiato danza da bambina (danza classica) e da adulta (danza moderna) e ho praticato molti sport. Questo tipo di coinvolgimento con il corpo, come ben presto imparai, nell’analisi bioenergetica può divenire ciò che ora chiamerei una “soluzione schizoide”. Il dottor Lowen ha sottolineato che molti ballerini di straordinaria abilità, che sono in grado di eseguire movimenti virtuosistici, sono completamente privi di sentimenti corporei. Cionondimeno, questo tipo di esperienza conferisce un’utile conoscenza tecnica circa il corpo e il suo allineamento, mentre è fermo o in movimento.
L’esperienza riguardo i movimenti corporei può anche essere un utile retroterra per il futuro conduttore di classi EB, come mezzo per fare e mantenere distinzioni competenti tra i movimenti corporei per sé (come nella danza, nella ginnastica e negli sport) e i movimenti corporei che vengono effettuati attraverso lo specifico approccio bioenergetico. Ciò significa che un retroterra di esperienza di danza o di ginnastica o di sport (o di tutti e tre) è ovviamente insufficiente di per se stesso, ma deve essere seguito da un vasto lavoro bioenergetico.
Può essere interessante aggiungere che la danza che studiai da adulta fu presso il “Marta Graham School of Contemporary Dance”. In quel periodo era Marta Graham stessa a insegnare. Lo specifico spunto interessante consiste nel fatto che la tecnica Graham è rinomata per il modo in cui spinge i ballerini ad avere una relazione con il terreno. Le figure di caduta della Graham sono famose per la loro bellezza e sono usate sia in coreografia che nelle lezioni tecniche. La tecnica stessa viene studiata a piedi nudi, sebbene nell’eseguirla i ballerini possano indossare calzature come parte del loro costume nei pezzi teatrali. In ogni caso, c’è una continua identificazione della realtà del suolo, “spingendo” consapevolmente e fisicamente con i piedi contro il suolo per effettuare balzi o salti, oppure correndo, o impennandosi.
La stessa Graham ebbe a sottolineare che nella danza classica lo sforzo dei ballerini non è teso semplicemente a sfidare la forza di gravità, ma a creare l’illusione che non esista. Nel suo lavoro, per contrasto, c’è una costante accettazione e affermazione della gravità e una continua relazione dei ballerini con questa realtà fisica: quando si balza via dal suolo o si cade verso di esso, quando ci si muove attraverso la superficie del terreno o si rimane semplicemente calmi. Nello stesso tempo, la tecnica Graham non coinvolge i ballerini in un “grounding” nel senso di Lowen -è lontana da ciò. L’enfasi è sullo “spingere su” con i muscoli del ventre ed è questo “spingere su” (e “dentro” come risultato) che permette lo svolgimento di figure di caduta così meravigliosamente controllate e di figure di nuova risalita ugualmente stupende. Nel lavoro di Lowen l’enfasi è sul “fare scendere” e ciò comporta il lasciare la pancia “fuori”. La modalità di ciascuno nell’usare la relazione con il suolo potrebbe essere usata come l’illustrazione di una delle molte differenze tra il teatro e la terapia.
Nel lavoro della Graham gli esecutori creano ed elargiscono un forte elemento fisico estetico-visivo, che causerà una reazione cinestesica ed emozionale negli spettatori coinvolti. Nel lavoro di Lowen è la persona stessa a essere impegnata in un movimento fisico e in un’attività muscolare che approfondisce il suo respiro e causa reazioni emozionali all’interno di se stessa. Ciò accade senza alcun coinvolgimento dovuto a elementi visivi o estetici, né per la proiezione di un’esperienza verso spettatori coinvolti.
Così, mentre è storicamente interessante che il lavoro della Graham e quello di Lowen si siano sviluppati entrambi intorno allo stesso periodo del ventesimo secolo ed entrambi abbiano un consapevole e fondamentale rapporto con la terra, essi non sono la stessa cosa.
Quando studiavo e lavoravo a New York, avevo notato che la gente usava seguire poche lezioni con uno dei grandi tra gli insegnanti di recitazione, come Lee Strasberg o Gene Frankel, e poi abbandonava le proprie ambizioni di attore e decideva di aprire la propria scuola privata di recitazione. Erano degli insegnanti auto-riconosciuti con un’insufficiente esperienza di lavoro come di vita. Normalmente avevano una qualche conoscenza della psicoanalisi, se non per esperienza personale almeno a livello teorico. Nelle loro lezioni, gli esercizi di “apertura” venivano usati in modo tale (per inesperienza o con intenzione) da rendere l’apprendista un attore emotivamente dipendente dal suo insegnante mentre, come ho asserito, il loro uso pienamente adeguato all’interno di un autentico metodo di insegnamento è quello di rendere capace l’attore di diventare un artigiano indipendente.
Già a quei tempi, lavorando in campo teatrale, la capacità di fare distinzioni o piuttosto la mancanza di questa abilità, che osservai dovunque, era la mia forma di “fissazione”, che abbastanza stranamente doveva applicarsi più tardi, nel campo dell’analisi bioenergetica, relativamente (per esempio) alla differenza tra le classi EB e le terapie di gruppo AB. Credo che questo retroterra m’aiutò a offrire la prima classe EB a Roma (prima che il manuale di esercizi di bioenergetica di Alexander e Leslie Lowen venisse scritto) in modo tale da far sì che questa distinzione essenziale fosse fatta e mantenuta.
La mia esperienza è stata quella di aver condotto lezioni senza mai averne prese come partecipante, poichè le classi EB non esistevano a New York prima che io la lasciassi. Perciò potei non prendere nulla per scontato, e condurre i partecipanti in ciascuna lezione fu in qualche misura un’avventura nell’ignoto. Questo mi spinse a riflettere, in ogni fase delle classi, sia a un livello teorico che sul piano concreto. Ed è questo aspetto, credo, che rende utile un racconto particolareggiato dell’esperienza. Ecco una descrizione dei partecipanti e del modo in cui condussi queste prime classi.

La prima classe EB a Roma negli anni Settanta

Le persone che a Roma diedero inizio al progetto di classi EB erano intellettualmente vive, come viene evidenziato dai loro studi dedicati al lavoro di Wilhelm Reich, che in alternativa li avevano portati logicamente verso il lavoro di Alexander Lowen. Mi sembrò infatti che il loro interesse per gli esercizi bioenergetici avesse una componente intellettuale così ampia da rivelare un possibile tranello. La mia impressione era che si aspettassero che io condividessi qualsiasi conoscenza possedessi circa questi esercizi, per parlarne insieme, teorizzare della loro efficacia e gioire pienamente a un livello intellettuale. Perciò all’esordio evitai di parlare degli esercizi, mentre mi dichiarai pronta a farli con il gruppo. Così iniziò la prima classe di esercizi di bioenergetica a Roma. Alcuni dei partecipanti erano in vegetoterapia reichiana, altri no. L’analisi bioenergetica non era ancora praticata in Italia.
Quale fu l’approccio che usai? Condussi le classi massimizzando l’azione e minimizzando la discussione. Le spiegazioni furono date a piccole dosi. Le istruzioni verbali per gli esercizi potevano includere brevi spiegazioni del loro campo d’azione e del loro scopo, spesso unite con indicazioni attraverso il contatto: una leggera pressione esercitata con la mia mano in modo tale da aggiustare la posizione o la postura di qualcuno era più eloquente e di maggiore aiuto di una profusione di spiegazioni. Con questo particolare gruppo mi sembrò che fosse particolarmente importante operare il più possibile a un livello non verbale.
Infatti, in questo gruppo a un estremo si trovava l’approccio intellettuale agli esercizi, mentre all’altro c’era un interesse primario sul come questi potessero condurre all’espressione emozionale, o specificamente all'”esplosione” emozionale. Procedendo spiegai alla classe, nel suo insieme, che durante il lavoro fisico (gli esercizi stessi) la nostra attenzione era diretta ai nostri corpi, senza che ci fosse una ricerca mentale di risultati a qualsiasi livello. Lasciarsi andare alle lacrime era un fenomeno positivo, risultante dall’approfondimento della respirazione e dall’allentamento delle tensioni muscolari, tensioni che probabilmente si erano create originariamente allo scopo di trattenere le lacrime. Tuttavia, allora non stavamo ricercando quello specifico allentamento. Stavamo semplicemente facendo gli esercizi in un modo specifico -la modalità bioenergetica- mentre il risultato accadeva.
Con questo tipo di approccio stavamo anche imparando a permettere al risultato di venire.
Il mio lavoro consistette in ampia misura nel dirigere l’attenzione di ogni partecipante verso il proprio corpo. Scoprii anche che l’abilità del conduttore consiste meramente nel dirigere l’attenzione senza dire ai partecipanti che cosa dovrebbero sentire, ma semplicemente aiutandoli ad arrivare al sentire, qualsiasi siano i sentimenti e le sensazioni nel loro corpo. Dove una persona sente tensione o sforzo un’altra può sperimentare sensazioni fluenti.
Dove un esercizio originariamente causa dolore può, con le ripetizioni e l’allentamento della tensione, procurare piacere.

Una preziosa esperienza

È soprattutto qui che la mia esperienza nell’insegnamento agli attori è stata di inestimabile aiuto. Poichè, sebbene la sensibilità sia la vera e propria sostanza -la materia prima- dell’arte dell’attore, egli non lavora mai direttamente sulle emozioni (Stanislavsky). Quando in una classe EB i giocatori di ruolo (Role Players) dell’esistenza iniziano a prendere contatto con i propri corpi, attraverso gli esercizi che stanno facendo, stanno cominciando a entrare in contatto con la realtà (con ciò che sentono realmente) e dunque stanno facendo i primi passi verso l’essere.
In questa prima classe EB a Roma tutti i miei commenti e le mie spiegazioni erano distribuiti lungo l’arco del tempo e sempre dati congiuntamente con il lavoro fisico che veniva fatto. Dissi ai partecipanti che l’effetto degli esercizi come dell’uso regolare del cavalletto era cumulativo e non poteva essere istantaneo. Ciascun partecipante avrebbe progredito -o iniziato un suo processo- con i propri ritmi e la propria velocità. Un lavoro fisico introduttivo potrebbe essere (ad esempio) semplicemente quello di chiedere ai partecipanti di stare con i piedi paralleli e separati, le ginocchia piegate (o “sbloccate”) e di lasciare il proprio peso andare giù giù giù…
Quando, in seguito all’approfondimento della respirazione, si verificava spontaneamente una reazione emozionale durante un esercizio, ciò spesso causava paura o perfino sensazioni di panico nei partecipanti. Per chi era in terapia tale allarme era meno acuto e, vorrei sottolineare, l’insieme dell’esperienza poteva essere rinviata al terapeuta alla seduta successiva. Tuttavia, se un partecipante non in terapia mostrava segni di avere tali difficoltà, andavo da lui immediatamente, suggerendogli di interrompere l’esercizio e di raggomitolarsi nella posizione intrauterina. Di solito mantenevo un contatto fisico con lui, posandogli la mano sulla spalla o sul braccio, se tale contatto era gradito e di conforto.
Mentre il resto del gruppo continuava a lavorare, io passavo quindi a spiegare alla persona in questione, in termini generali e principalmente fisici, in che cosa credevo consistesse la difficoltà. Per esempio: la respirazione si era ampliata troppo e troppo rapidamente; era a un volume tale che il partecipante non poteva ancora contenere.
La cosa più importante che dicevo era che avremmo fatto bene a procedere molto lentamente e che la sua capacità di respirare in modo più profondo e di sostenere certi esercizi sarebbe cresciuta gradualmente , come la sua capacità di lasciarsi andare alle lacrime. Dicevo in modo del tutto franco che non faceva parte dei miei scopi entrare nel merito (cioè analizzare) degli specifici contenuti emozionali dei problemi che causavano le sue difficoltà presenti. Queste conversazioni a tu per tu si svolgevano nel modo meno drammatico possibile. Anche questo faceva parte del mio sforzo di mantenere la distinzione tra le classi, dove ci incontravamo regolarmente per fare esercizi bioenergetici, e la situazione di terapia di gruppo.
Se uno dei partecipanti stava gridando e non semplicemente esprimendo le sue sensazioni di disagio in una forma verbale, io gestivo la situazione esattamente nello stesso modo. Mi sto riferendo all’urlare inteso come esperienza di un fenomeno spaventoso, non come una naturale liberazione spontanea. All’inizio uno o più dei partecipanti alla classe che avevano avuto esperienze di terapia di gruppo venivano a toccare e parlare o tenere il partecipante che stava gridando. Non incoraggiavo questo comportamento. In effetti, senza offendere i sentimenti di coloro che volevano dare conforto, tendevo a scoraggiarlo attivamente. La ragione era, precisamente, che volevo mantenere la distinzione menzionata sopra. Il supporto attivo, il conforto e la solidarietà degli altri membri del gruppo sono un elemento essenziale delle sessioni di terapia di gruppo, come quei partecipanti che avevano più esperienza e buone intenzioni sapevano. Tuttavia io non stavo lavorando per il tipo di sblocco emozionale o per il tipo di esperienza che sono lo scopo della terapia di gruppo. Così sentivo che era meglio gestire questi eventi quietamente, da me stessa, sulla base di un rapporto uno-a-uno, mentre ciascun altro continuava il lavoro sul proprio corpo nello specifico esercizio che era in corso in quel momento. In effetti, non volevo che le regole o le atmosfere di una seduta di terapia di gruppo si insinuassero nella classe di esercizi. Una terapia di gruppo è una delle cose che la classe EB non è, anche se una classe EB è terapeutica. Si può esprimere lo stesso pensiero nella forma di una domanda: se una classe EB è una terapia di gruppo AB, allora perchè viene distinta con una denominazione differente? Questa questione non diventò pressante fino a qualche anno fa, ma probabilmente la formulai nella mia mente per la prima volta per via del comportamento dei partecipanti (con esperienza di terapia di gruppo) nella prima classe EB data in Italia.

Direzione: dentro di sé

Durante questi interludi uno-a-uno trovai che era abbastanza possibile dirigere la mia attenzione sulla classe come un tutto, seguire il suo lavoro e perfino dare occasionali istruzioni verbali senza disturbare indebitamente il confortevole contatto con il membro della classe che non stava partecipando agli esercizi in quel momento. Difatti, come dichiarato dall’inizio, avevo incoraggiato tutti i partecipanti a concentrarsi su ciò che stava accadendo e su quello che stavano sentendo all’interno del loro proprio corpo, a entrare e a vivere nel proprio corpo, lasciando cadere il controllo e altri tipi di attività mentale per quanto possibile, durante la sessione di esercizi.
C’erano delle eccezioni a questo totale auto-assorbimento (o assorbimento nel proprio corpo), riguardo certi esercizi intrapresi insieme con altri partecipanti, ma era nondimeno una regola -guida generale e principale alla quale incoraggiai ciascuno ad aderire.
La mia scelta di comunicare con tutta la classe o su una base uno-a-uno era fatta semplicemente in accordo con ciò che sembrava più idoneo in ogni specifico momento del contesto della classe. Sentivo che il processo in evoluzione dei membri della classe, ciascuno coinvolto nella propria esperienza corporea, non doveva essere bloccato o interrotto, né doveva esserne cambiata la qualità a beneficio di un altro partecipante. Inoltre, notai che se il processo della classe era in pieno ritmo, in questo modo (cioè evitando di interromperlo per l’emergenza di un singolo) il partecipante singolo non era imbarazzato per qualsiasi difficoltà stesse incontrando e si sentiva più libero di prendersi il tempo necessario per occuparsene. In tale contesto la comunicazione uno-a-uno era più appropriata.
Diventò sempre più chiaro che il conduttore poteva avere bisogno di scegliere la comunicazione uno-a-uno in qualsiasi momento durante la classe e non soltanto in occasione dell’emergenza di picchi emozionali. Talvolta semplicemente guardando il corpo di una persona appare evidente che ha bisogno di un extra di spiegazioni verbali (o tocchi), che potrebbero non essere necessariamente di aiuto (e potrebbero perfino essere causa di distrazione) per gli altri membri della classe.
Per quanto riguarda gli esercizi “chiassosi”, per alcuni partecipanti l’urlare, il gridare e lo strillare degli altri membri della classe era stato emotivamente disturbante e aveva risvegliato sensazioni di angoscia prima che essi stessi avessero colto l’opportunità di protestare vocalmente. In questi casi spiegavo, ancora su una base uno-a-uno, che tale reazione era probabilmente dovuta ai propri impulsi a gridare (o “aggredire”) inibiti, insieme con un grande bisogno di darvi sfogo. La situazione collettiva aiuta qui grandemente il processo dello “sfogare”, poichè i primi timidi sforzi che potrebbero risultare imbarazzanti per il novizio vengono sommersi nel clamore generale. Molto spesso quei partecipanti che pochi minuti prima avevano insistito “non posso”, o “non ne ho bisogno”, oppure “non voglio ” urlare, lo facevano poi al meglio di se stessi. Le sensazioni di sollievo e di soddisfazione che sperimentavano dopo di ciò erano abitualmente un piacere a vedersi.

Uno spazio per parlare

Dopo alcuni mesi trascorsi utilizzando questo approccio, pensai che i partecipanti avessero sperimentato gli esercizi fisici in misura sufficiente da poterne parlare a un livello teoretico, senza distorcere o sminuire la materia: precisamente il lavoro corporeo. Allora divenne evidente che i membri della classe erano più avanzati in questa materia di quanto avessi capito. Avevo deciso di dedicare l’ultima mezz’ora di questa particolare classe a quella discussione degli esercizi bioenergetici che i partecipanti avevano così tanto desiderato ingaggiare durante l’orario dedicato alla classe quando avevano iniziato a lavorare insieme. Ora il mio suggerimento di parlarne fu accolto con espressioni facciali vuote o distratte. Come iniziai a dire che intendevo fare una discussione di classe sentii impazienza e frustrazione intorno a me. Le persone erano nei propri corpi. Cioè stavano sentendo la propria energia muoversi a quel livello e mentre ciò accadeva non avevano alcun desiderio di innalzarla su un piano intellettuale. Fu un momento stupendo. Cedetti immediatamente e continuai il lavoro fisico.
Questa esperienza indicò la potenza e il valore degli esercizi e mi sembrò anche che l’approccio usato fosse corretto. Potevano queste persone essere le stesse che soltanto pochi mesi prima erano interessate principalmente all’intellettualizzazione della bioenergetica, che avevano sempre dimostrato nella classe, in quel periodo, una resistenza abbastanza forte a fare gli esercizi?
Il livello di concentrazione individuale dei membri, così come quello della classe come un tutto, aveva raggiunto proporzioni sorprendenti in un tempo molto breve. Si manifestava in un profondo rispetto per i processi autonomi del corpo e in una crescente capacità di arrendersi anche a livello dell’Io a questi processi, perfino da parte dei partecipanti più “intellettuali”. I commenti scherzosi, le canzonature e le molestie verso gli altri, che avevano prevalso all’inizio, cessarono completamente. Erano state sintomatiche della combinazione di una resistenza intellettuale rispetto del corpo e di una dissimulazione delle disagevoli sensazioni di autoconsapevolezza che erano emerse quando l’intelletto aveva iniziato a cedere il suo controllo. Dopo di ciò fu difficile qualsiasi ciancia durante la classe e, con l’eccezione dei periodi dedicati agli esercizi fragorosi, prevalse un silenzio completo, rotto soltanto dal suono del respiro.
Non ho fatto questo resoconto per dimostrare che non c’è tempo e spazio per le discussioni intellettuali e le teorizzazioni. Semplicemente, per confermare che il momento e il luogo appropriato non è nel mezzo di una classe EB. Né è all’inizio. L’arte dell’insegnamento qui consiste nel comunicare il campo delle attività che vengono intraprese in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi in direzione del corpo fin dal principio.
Abitualmente “in modo tale” significa: una frase alla volta e in momenti scelti. Anche il tono di voce con cui vengono date le istruzioni è di importanza primaria: non è finalizzato a pilotare l’attenzione verso il conduttore e interrompere un inizio di concentrazione, ma a comunicare con le persone che stanno cominciando a essere coinvolte nel lavoro corporeo e ad aiutarle a un livello pratico in ciò che stanno facendo in quel momento. Non è il tono di voce con cui si tiene una conferenza di tipo logico indirizzata all’intelletto, né si tratta di istruzioni e/o di spiegazioni fatte come digressioni didattiche. In breve, la voce è non intrusiva, ma in armonia con ciò che sta accadendo o che viene fatto in un dato momento.
Certo, una o due frasi possono essere pronunziate giusto all’inizio della classe, prima che il lavoro cominci, sebbene io preferisca avere le persone in piedi con le ginocchia piegate che lasciano cadere giù il peso (eccetera!) fin dall’inizio, incluso il momento in cui vengono fatti i commenti introduttivi. Ciò significa stabilire immediatamente le giuste priorità, sia per il conduttore che per i partecipanti.
Altre opportunità per le discussioni intellettuali venivano trovate al di fuori delle classi. In questo modo veniva stabilito chiaramente un importante principio, che fu mantenuto per il resto del tempo che condussi classi a Roma: all’interno della classe stessa in primo luogo occorre aiutare i partecipanti a sperimentare gli esercizi su se stessi e in seguito, lentamente, all’interno del processo del lavoro corporeo, e non a sue spese, imparare le teorie sottostanti nei loro aspetti profondi e sottili. Ripeto che, ovviamente, un certo ammontare di teoria viene sempre dato con le istruzioni su come fare gli esercizi, ma il dosaggio è molto importante. Viene fornita abbastanza teoria per il fare nel momento, ma non tanta da dirigere l’attenzione dei partecipanti lontano dal proprio corpo e verso le elucubrazioni intellettuali.

Azioni a volte un po’ speciali

È importante sottolineare che l’uso del verbo “fare” qui non è correlato all’attività meccanica: qualsiasi “fare” nelle classi è in relazione alle sensazioni e ai vissuti corporei (“Il fare che conduce all’essere”). Così il “fare” qualche volta può sembrare quasi inattivo, come nell’esempio dato sopra circa lo stare semplicemente in piedi e lasciar cadere il peso. Si tratta di un approccio biologico ed energetico (donde bioenergetico) a un processo naturale di approfondimento del respiro e di liberazione delle energie bloccate nei muscoli tesi. Qualche volta i movimenti che ne risultano sono ampi e attivi, ma il proposito non è mai la perfezione meccanica dell’esecuzione.
Per il concetto di esercizi bioenergetici è fondamentale tenere conto del fatto che dove ci sono energia e sentimenti congelati seguirà grazia in movimento. Fondamentale per questa grazia è il lavoro sul radicamento.
Il conduttore può, anzi dovrebbe, rispettare il desiderio dei partecipanti di imparare gli esercizi a un livello intellettuale, ma mai a spese della loro vera natura e funzione, che deve essere percepita su un piano fisico. Una pura e semplice conferenza tenuta alle persone interessate a intraprendere gli esercizi può essere di aiuto. Ma dovrebbe essere tenuta in una sala da conferenze a un uditorio completamente vestito, non a una classe di partecipanti pronti e desiderosi di iniziare.
Mentre la prima classe a Roma era composta sia da persone che erano in terapia che da persone che non lo erano, più tardi, quando le classi crebbero di numero, la maggior parte erano costituite esclusivamente da persone non in terapia. In entrambi i casi, all’inizio spiegavo molto chiaramente lo scopo degli esercizi di bioenergetica: aiutare ciascun partecipante a entrare in un contatto più profondo con il proprio corpo, ad accrescere le sensazioni nel corpo, divenire consapevole delle tensioni muscolari e dei blocchi e, lavorando con il movimento e la respirazione, attraverso un processo molto graduale, tentare di rilasciarli. Il risultato a cui speravamo di arrivare con questo processo era un fluire più libero dell’energia nel corpo, che avrebbe portato a un maggior sentimento di vitalità, che a sua volta avrebbe accresciuto la capacità dei partecipanti di provare piacere.
Tutto ciò è stato detto molte volte e molto meglio nei libri del dottor Lowen. Ma queste semplici verità circa il lavoro in bioenergetica devono essere trasmesse nelle classi EB al fine di comunicare il campo delle attività intraprese, in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi verso un orientamento corporeo fin dall’esordio.
Il resoconto sulle prime classi a Roma illustra un altro fattore importante. Quando le persone sono state dominate da propri processi mentali per quasi tutta la vita, questi esercizi le metteranno molto presto in contatto con le loro sensazioni e sentimenti, cioè con i loro processi corporei. Tra gli uomini e le donne che sopravvivono sotto la pressione della vita di città della nostra epoca, i mezzi che forniscono un aiuto in direzione del sentimento, di una maggiore vitalità fisica, rappresentano un bisogno urgente. Ciò era dimostrato inoltre dalla velocità con cui cresceva il numero delle classi a Roma, simultaneamente all’allungarsi della lista di attesa. Non c’erano annunci pubblicitari e il numero delle classi aumentava in modo costante, mentre le raccomandazioni verbali passate da persona a persona ne generavano la richiesta. I partecipanti comprendevano studenti universitari, insegnanti scolastici, impiegati di banca, casalinghe, medici, psicologi, psicoterapeuti e altri professionisti. Perfino un ufficiale dell’esercito.

Esperienza e formazione

Il fatto che nelle prime classi sopra descritte parecchia gente fosse in terapia reichiana costituì per me una sfida utile e precoce per mantenere la differenza tra classi EB e terapia di gruppo AB. Ora, guardando retrospettivamente, dopo aver completato la formazione e la pratica come analista bioenergetica durata diversi anni, sono convinta che l’approccio usato fosse intrinsecamente corretto. Dando una valutazione del mio lavoro non dico che fossi dotata di modestia professionale perché non arrivavo a considerarmi una professionista nel campo della bioenergetica. Dovrei dire piuttosto che ero preoccupata circa la potenza sia psicologica che fisica degli esercizi nelle mani di una non-professionista (me stessa) che istruiva altri esseri umani nel loro uso.
Aggiungerò: fu un timore salutare. Mi consentì di impostare i limiti in modo intuitivo. Oggi non dovrei avere la stessa paura e perciò sarebbe necessario un più cosciente sforzo etico da parte mia per impostare limiti corretti per il benessere dei partecipanti così come per l’adempimento della mia parte del contratto stipulato con loro. Mentre non ero un’analista bioenergetica qualificata avevo una specifica esperienza di lavoro e di vita e una formazione che mi abilitò (è mia opinione) a condurre le classi in modo adeguato e senza distorsione del loro campo e delle loro funzioni basilari. Certo, anche allora pensavo che sarebbe stato meglio essere un’analista bioenergetica qualificata. Nondimeno, l’esperienza ha mostrato che il fatto che a condurre una classe EB sia un analista bioenergetico qualificato non è di per sé una garanzia che la classe non sarà distorta in ciò che una classe EB non è (un triplo negativo non fa un positivo!).
Il modo di lavorare descritto era anche un’espressione del mio stile personale. Gli stili personali sono sempre diversi e possono estendersi su una gamma ampia quanto tutti i colori dell’arcobaleno, se sono basati su concetti chiari e su validi principi fondamentali.
In questa prima esperienza (o esperienza di sfondo) nella conduzione di classi EB, un certo numero di principi fondamentali erano già emersi. Questi concernevano: la priorità dell’approccio fisico che include il grounding, l’importanza di stabilire questa priorità fin dall’inizio, la misura dei commenti introduttivi per una classe nuova, la quantità e il contenuto delle spiegazioni verbali e delle istruzioni date durante la classe, il mettere in rapporto con il lavoro fisico che si sta facendo tutti i commenti e le spiegazioni e le indicazioni, l’uso della comunicazione uno a uno
nel percorso della classe, la voce del conduttore, l’importanza di non essere intrusivi e di rispettare la classe e/o la concentrazione individuale, l’uso del contatto fisico da parte del conduttore, alcuni esempi di esplosioni emotive o di reazioni emozionali e come trattarli nelle classi, il non trasformare la classe EB in un gruppo di terapia AB, che potrebbe essere incluso nel principio che riguarda il mantenere il lavoro all’interno dei propri giusti limiti.
Come le richieste di classi aumentavano, così il bisogno di conduttori di classi divenne più pressante. È qui che iniziò il mio maggiore interesse verso queste classi come mezzo di aiuto per “ogni essere umano”, il migliore per quelle persone che non desiderano entrare in psicoterapia. Questo interesse non nega l’utilità delle classi per quelli che già sono in terapia, o anche come un’esperienza che per qualcuno può eventualmente portare al desiderio di entrare in terapia. Tuttavia, quando parlo di classi EB per l’ “uomo della strada”, sto immaginandole su una larga scala sociale, cioè su una scala non adeguata a qualsiasi approccio o metodo che si indirizza soltanto verso gli individui. Credo che le classi EB potrebbero essere date a diversi strati sociali e a differenti classi di età, dagli scolari agli anziani. Per questo è necessario prevedere un numero sufficiente di persone qualificate che debbono essere non soltanto adeguatamente ma anche accuratamente preparate come conduttori di classi EB.

Tratto da International Journal of Bioenergetic Analysis.
Traduzione di Piero Rolando, a cura di Luciano Marchino
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