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Autore: Hiram

Stati non ordinari di coscienza a cura di Maurizio D’Agostino

Il termine Stati Non Ordinari di Coscienza è troppo vasto e generico, perché comprende un ampia gamma di condizioni che sono di poco o nessun interesse dal punto di vista euristico e terapeutico…

Il termine Stati Non Ordinari di Coscienza è troppo vasto e generico, perché comprende un ampia gamma di condizioni che sono di poco o nessun interesse dal punto di vista euristico e terapeutico.
La coscienza può essere trasformata drasticamente attraverso svariati processi patologici: traumi cerebrali, intossicazioni con prodotti chimici velenosi, infezioni, o per processi degenerativi del cervello. Situazioni del genere provocano sicuramente profonde trasformazioni mentali, tanto da essere classificate nella categoria degli “stati non ordinari di coscienza”. Tuttavia, menomazioni simili causano “deliri superficiali” o “psicosi organiche”, stati clinicamente molto importanti, ma di nessun rilievo per il nostro tema.
Nella presente dispensa si vuole metterete in luce un vasto e importante sottogruppo di stati non ordinari di coscienza, che si differenzia in modo rilevante dagli altri e che rappresenta una fonte inestimabile di informazioni nuove sulla psiche umana, sana e malata. Il sottogruppo possiede un notevole potenziale terapeutico e di trasformazione. S. Grof ha coniato il termine “olotropico” (Grof, 1996) che significa letteralmente “orientato verso la totalità” o “che si muove in direzione della totalità” (dal greco holos, “intero” e trepein, “muovere verso” o “in direzione di” qualcosa).
In sintesi, la parola indica che nel nostro stato quotidiano di coscienza ci identifichiamo soltanto con una piccola frazione di chi siamo veramente. Al contrario, negli stati olotropica, riusciamo a trascendere i limitati confini dell’Ego e a rivendicare la nostra piena identità.


Stati olotropici di coscienza

Negli stati olotropica, la coscienza è trasformata qualitativamente in maniera fondamentale, ma non viene menomata come nei traumi e nelle degenerazioni organiche. La persona rimane totalmente presente per quanto riguarda lo spazio ed il tempo e non perde il contatto con la realtà quotidiana. Frattanto, il campo di coscienza è inondato da contenuti provenienti da altre dimensioni dell’esistenza in una maniera che può essere molto intensa e persino schiacciante. Così si sperimentano simultaneamente due realtà molto differenti: “Si ha ciascun piede in un mondo diverso”.
Gli stati olotropica sono caratterizzati da una forte trasformazione percettiva in tutte le aree sensoriali.

Stati olotropici di coscienza e storia dell’umanità

In forte contrasto con l’umanità moderna, ogni cultura indigena ha sempre tenuto in grande considerazione gli stati olotropica e ha dedicato molto tempo e sforzi a sviluppare vie sicure ed efficaci per indurli; li ha usati come veicolo principale nella vita rituale e spirituale e per altri scopi importanti.
Nel contesto delle cerimonie sacre dei popoli nativi, gli stati non ordinari di coscienza mediano un contatto esperienziale diretto con le dimensioni archetipiche della realtà: divinità, regni mitologici e forze luminose della natura. Un’altra area in cui tali stati svolgono un ruolo decisivo è la diagnosi e la cura di varie malattie. Gli stati olotropica sono anche stati usati per alimentare a fini pratici l’intuito e la percezione extrasensoriale. Inoltre, servono come fonte di ispirazione artistica. L’impatto che le esperienze vissute in questi stati hanno avuto e hanno sulla vita culturale delle società preindustriali e sulla storia spirituale dell’umanità è enorme.
Le culture antiche e moderne di interesse etnologico hanno impiegato ed impiegano moltissime energie allo sviluppo delle “tecnologie del sacro”, cioè di vari procedimenti capaci di alterare la mente e di indurre stati olotropica a scopi rituali e spirituali.
La pratica dell’induzione di stati olotropica risale agli albori della storia umana. Costituisce il punto cardinale dello sciamanismo, il sistema spirituale e di cura più antico dell’umanità. Probabilmente esisteva già trenta o quarantamila anni fa; le sue radici risalgono al Paleolitico.
Le origini dello sciamanismo risalgono a un culto ancora più antico, quello neandertaliano dell’orso delle caverne, come si vede nelle grotte del periodo interglaciale trovate in Svizzera e in Germania meridionale.
Lo sciamanismo non è soltanto antico, è di ogni tempo e di ogni luogo (America settentrionale e meridionale, in Europa, in Africa, in Asia, in Australia, in Micronesia e in Polinesia). Il fatto che così tante culture diverse, durante tutta la storia dell’umanità, abbiano ritenuto le tecniche sciamaniche utili e importanti indica che gli stati olotropica coinvolgono quella che gli antropologi definiscono “mente primaria”, un aspetto fondamentale e primordiale della psiche umana che trascende la razza, il sesso, la civiltà e il tempo storico. Nelle culture che sono riuscite a evitare l’influenza distruttiva della civiltà industriale dell’Occidente, i procedimenti sciamanici sopravvivono ancora oggi.
Tabella. Tecniche antiche e aborigene per indurre gli stati olotropici
· Lavoro con il respiro, diretto o indiretto (pranayama, bastrika logico, “respiro del fuoco” buddista, respiro sufi, ketjak balinese, canto gutturale eschimese, esercizi di respirazione degli Esseni, ecc.).· Tecnologie sonore (suonare il tamburo, scuotere sonagli, uso di bacchette, campanelli, gong, didgeridoo, rombo, cantilenare, recitare mantra)
· Danze e altre forme di movimento (danza roteante dei dervisci, danze dei lama, danze dei boscimani del kalahari, hatha yoga, tai chi, chigong, ecc.).· Isolamento sociale e deprivazione sensoriale (stare nel deserto, in caverne sulla cima di una montagna, in campi di neve, vision quest, ecc.).· Sovraccarico sensoriale (una combinazione di stimoli acustici, visivi e propriocettivi in riti aborigeni, dolore estremo, ecc.).
· Mezzi fisiologici (digiuno, deprivazione del sonno, purghe, lassativi, salassi (Maya), procedure fisiche dolorose (danza del sole dei Sioux Lakota, subincisione, limatura dei denti).· Meditazione, preghiera e altre pratiche spirituali (vari tipi di yoga, tantra, zen rinzai e soto, dzogchen tibetano, esicasmo cristiano (preghiera continua di Gesù), metodi cabalistici e hassidici, gli esercizi di Loyola, ecc.).
· Materiale psichedelico animale e vegetale (hashish, peyote, teonanacatl, ololiuqui, ayahuasca, Tabernanthe, Psychotria viridis delle foreste hawaiane, erba ruta siriana, secrezioni dalle palle del rospo Bufo alvarius, dal pesce del Pacifico Kyphosus cuscus, ecc.)
Un altro esempio di trasformazione psicospirituale, culturalmente riconosciuta, che implica gli stati olotropici, è costituito dagli eventi rituali che gli antropologi chiamano riti di passaggio. Cerimonie di questo tipo esistevano in tutte le culture native conosciute e sono eseguite ancora oggi in molte società preindustriali. Il loro scopo principale è di ridefinire, trasformare e consacrare individui, gruppi o persino intere società.
I riti di passaggio vengono svolti durante il periodo di trasformazione di un individuo o di una comunità: nascita di un bambino, la circoncisione, la pubertà, il matrimonio, la menopausa, la morte. Iniziazione allo status di guerriero, all’entrata in società segrete, durante le feste stagionali di rinnovamento, nelle sedute di guarigione e prima di grandi migrazioni di gruppi umani.
I riti di passaggio comportano potenti procedure di alterazioni mentale che inducono esperienze psicologicamente sconquassanti e che portano a un livello più elevato di integrazione. Questa forma di morte e di rinascita psicospirituale è allora interpretata come la scomparsa del vecchio ruolo e il sorgere di uno nuovo.
Il soggetto che esce dall’iniziazione non è lo stesso di quello che vi è entrato. Dopo avere subito una profonda trasformazione psicospirituale, acquisisce una connessione personale con le dimensioni numinose dell’esistenza, una visione del mondo più vasta, una migliore immagine di se stesso e un altro sistema di valori. Tutto ciò è il risultato di una crisi deliberatamente indotta, che raggiunge l’essenza dell’iniziato e a volte può essere spaventosa, caotica e scompaginante. I riti di passaggio forniscono dunque un altro esempio di una situazione in cui un esplodere temporaneo di disintegrazione e di tumulto porta a un maggiore equilibrio e benessere.
La crisi sciamanica invade la psiche del futuro sciamano in modo inaspettato e senza preavviso. I riti di passaggio, invece, sono un prodotto della cultura, e seguono un iter prevedibile.
Gli stati olotropici di coscienza hanno svolto un ruolo importante anche nei misteri di morte e di rinascita, cerimonie sacre e segrete molto diffuse nel mondo antico. Questi misteri si fondavano su racconti mitologici di divinità che simboleggiano la morte e la trasformazione: Inanna e Tammuz presso i Sumeri; Iside e Osiride presso gli egizi; Attis, Adone, Dioniso e Persefone presso i Greci. I loro equivalenti mesoamericani erano l’azteco Quetzalcoatl o Serpente Piumato e gli Eroi Gemelli dei Maya conosciuti grazie al Popol Vuh. Nell’antica area mediterranea e nel Medio Oriente esistevano, per esempio, le iniziazioni dei Sumeri e degli Egizi, i misteri mitriaci e, in Grecia, i riti coribantici, i baccanali e i misteri eleusini.
Tutte le correnti mistiche delle grandi religioni e i loro ordini monastici hanno elaborato modi per indurre o facilitare esperienze spirituali dirette.

Stati olotropici nella storia della psichiatria

L’accettazione univoca degli stati olotropici nell’era preindustriale è in forte contrasto con l’atteggiamento complesso e confuso verso gli stessi stati da parte della civiltà industriale.
Gli stati olotropici hanno avuto un ruolo importante agli inizi della storia della psicologia del profondo e della psicoterapia.
Le radici della psicologia del profondo risalgono a sedute con l’ipnosi con pazienti isterici, condotte da J.M. Charcot alla Salpetriere di Parigi, e alle ricerche sull’ipnosi condotte da H.Bernheim e A. Lièbault a Nancy. S. Freud imparò le tecniche per indurre l’ipnosi che ha usato nelle prime esplorazioni per accedere all’inconscio dei suoi pazienti. In Studi sull’isteria, Freud e Breuer consigliavano la regressione ipnotica e le abreazioni emotive ritardate di traumi per il trattamento delle psiconevrosi.
Nei lavori che seguirono, Freud si spostò in modo radicale dall’esperienza emotiva diretta durante uno stato olotropica alla metodo delle libere associazioni nello stato ordinario di coscienza. Ha pure spostato l’attenzione dal rivivere consapevole e dall’abreazione emotiva di materiale inconscio all’analisi del transfert, e dal trauma vero e proprio alle fantasie edipiche. In retrospettiva, sembra che questi siano stati sviluppi alquanto infelici, che hanno mandato la psicoterapia occidentale nella direzione sbagliata per i successivi cinquant’anni. Laddove la terapia verbale può essere molto utile per dare insegnamenti interpersonali e per correggere interazioni e capacità di comunicazione distorte nell’ambito delle relazioni umane (per esempio, terapia di coppia e familiare), lo stesso metodo di cura è inefficace quando ha a che fare con blocchi emotivi e bioenergetici e con i macrotraumi che stanno alla base di molti disturbi emotivi e psicosomatici.
Il risultato di questa evoluzione è stato che la psicoterapia della prima metà del ventesimo secolo era praticamente un sinonimo di conversazione. Nello stesso tempo, gli stati olotropici, visti inizialmente come uno strumento terapeutico efficace, sono stati associati alla patologia e non più usati per la cura.
La situazione ha cominciato a cambiare negli anni Cinquanta, con l’avvento della terapia psichedelica e con innovazioni radicali nella psicologia. Insoddisfazione della psicoanalisi freudiana e del comportamentismo, nacque la terza forza della psicologia: la psicologia umanistica. Tale movimento guidato da A. Maslow ha ispirato una vasta gamma di terapie esperienziali.
Mentre le psicoterapie tradizionali usavano soprattutto i mezzi verbali e l’analisi intellettuale, queste terapie esperienziali privilegiavano l’esperienza diretta e espressione delle emozioni. Molte includevano anche svariate forme di lavoro sul corpo.
Le novità più rilevanti sono rappresentate da metodi molto potenti, capaci di trasformare enormemente lo stato di coscienza dei clienti. Fra questi metodi, ricordiamo l’Analisi Bioenergetica e altri approcci neoreichiani, la Primal Therapy e la Terapia psichedelica, il Rebirthing e la Terapia Olotropica.
Esistono anche tecniche di laboratorio molto valide per alterare la coscienza: la Deprivazione sensoriale, il Biofeedback, tecniche di Deprivazione del sonno e dei sogni e i sogni lucidi.
È importante rilevare che episodi di stati olotropici di diversa durata possono manifestarsi spontaneamente, senza cause specifiche identificabili, persino contro la volontà di chi vi è coinvolto. Poiché la psichiatria moderna non fa nessuna differenza tra stati mistici o spirituali e malattie mentali, le persone che sperimentano questi stati sono spesso catalogate come psicotiche, vengono ricoverate in ospedale e ricevono la solita cura di psicofarmaci soppressivi. S. Grof e C. Grof definiscono tali statiCrisi psicospirituali o Emergenze spirituali.

Come abbiamo visto, l’uso del potenziale curativo degli stati olotropici rappresenta l’evoluzione più recente della psicoterapia occidentale, se non prendiamo in considerazione il breve periodo, alla svolta del secolo scorso, di cui abbiamo parlato. Paradossalmente, in un contesto storico più ampio. Questa è pure la forma di cura più antica, che risale agli albori dell’umanità.
Dunque, le terapie che si servono degli stati olotropici rispecchiano una riscoperta e un’interpretazione nuova e moderna degli elementi e dei principi documentati dagli antropologi, che hanno studiato le forme antiche e aborigene di guarigione spirituale, soprattutto i vari metodi sciamanici.

La natura della psiche umana e le dimensioni della coscienza
La psichiatria e la psicologia accademiche si servono di un modello che si limita a prendere in considerazione la biologia, la biografia postnatale, e l’inconscio individuale freudiano. Per spiegare tutti i fenomeni che avvengono negli stati olotropici, dobbiamo rivedere completamente la nostra comprensione delle dimensioni della psiche umana. Oltre al livello biografico postnatale, la nuova, più estesa cartografia comprende due campi d’azione aggiuntivi: il Perinatale (in relazione con il trauma della nascita) e il Transpersonale (che comprende le memorie ancestrali, razziali, collettive e filogenetiche, le esperienze karmiche e le dinamiche archetipiche).
La natura e l’architettura dei disturbi emotivi e psicosomatici
Per comprendere i diversi disordini che non hanno una base organica (“psicopatologie psicogene”), la psichiatria corrente usa un modello limitato ai traumi biografici postatali dell’infanzia, della fanciullezza e dell’età adulta. Il nuovo paradigma indica che le radici di questi disordini sono molto più profonde: includono anche notevoli elementi provenienti dal livello perinatale e dalla sfera transpersonale.
Numerose esperienze e osservazioni che accadono durante il lavoro con gli stati olotropici sono così straordinarie che non possono essere capite nel contesto della visione monastico-materialistica della realtà. Il loro impatto concettuale è di portata talmente vasta da minare i concetti metafisici che stanno alla base della scienza occidentale, soprattutto quelli che interessano la natura della coscienza e la sua relazione con la materia.
( S. Grof, Psicologia del futuro, Ed. Red, 2002)

La natura più profonda dell’umanità

Cenni sulla teoria psicologica di Abraham Maslow

Secondo lo psicologo americano Abraham Maslow il comportamento umano è diretto e motivato, al di là delle particolari differenze culturali, dai bisogni fondamentali comuni a tutti gli esseri umani. Questi sono classificati in una relazione gerarchica – la famosa scala di Maslow – al cui apice c’è il bisogno di autorealizzazione, definito dallo psicologo come l’esigenza di ogni individuo di “diventare ciò che si è capaci di diventare” e di “attuare le proprie migliori potenzialità”.

Era il 1954 quando Motivazione e personalità, di Abraham H. Maslow, uscì in libreria. L’autore in questo libro provava a formulare un nuovo approccio della psicologia che tentava di aggiungere qualcosa di veramente nuovo e importante a quanto le psicologie del tempo dicevano sulla natura umana: l’essere umano possiede un enorme potenziale positivo, una natura nobile ed elevata. Questa è istintuale ed è parte della sua essenza.


I bisogni fondamentali

Secondo Maslow il comportamento umano è diretto e motivato, al di là delle particolari differenze culturali, dai bisogni fondamentali comuni a tutti gli esseri umani. Tra di essi i bisogni fisiologici sono i più prepotenti di tutti. Se i bisogni fisiologici risultano insoddisfatti tutti gli altri, quelli più alti e nobili, possono essere annullati e respinti nell’ombra. Tutta la mente e l’organismo intero diventano uno strumento al servizio dell’unico scopo, ad esempio, di sfamarsi. La libertà, l’amore, il rispetto, la filosofia sono tutte cose che possono essere messe da parte come sciocchezze inutili perché non riempiono lo stomaco.
Cosa avviene però quando il nostro ventre è cronicamente pieno? “Avviene che subito compaiono altri (e più alti) bisogni e sono questi a dominare l’organismo invece della fame fisiologica. Quando questi, a loro volta, sono soddisfatti, di nuovo nascono altri (ancora più alti) bisogni, e così via. È questo che intendiamo quando diciamo che i bisogni umani fondamentali sono organizzati in una gerarchia di preferenza relativa. Una conseguenza di ciò è che la gratificazione diventa nella teoria della motivazione un concetto importante […] perché libera l’organismo dal dominio di un bisogno relativamente più fisiologico e permette l’emergenza di altri fini più sociali” (Motivazione e personalità, p. 87).
Quando i bisogni fisiologici sono stati gratificati emerge una nuova serie di bisogni che possiamo categorizzare come bisogni di sicurezza: stabilità, protezione, libertà dalla paura, dall’ansia, dal caos, bisogno di ordine, di un forte protettore… Tutto ciò che vale per i bisogni fisiologici vale anche per questi desideri, sebbene in grado minore. L’organismo può essere dominato interamente anche da essi. Possono funzionare da organizzatori quasi esclusivi del comportamento, mettendo al loro servizio tutte le capacità dell’organismo e noi possiamo ben descrivere l’intero organismo come un meccanismo di ricerca della sicurezza.
Se i bisogni fisiologici e quelli di sicurezza sono abbastanza soddisfatti emergono i bisogni di affetto, di amore e di appartenenza e tutto il ciclo già descritto si ripete all’interno di questo nuovo centro. “Adesso la persona sentirà acutamente, come prima non avveniva, l’assenza di amici, di un amante, di una moglie o dei figli. Essa desidera relazioni di affetto con persone in generale, cioè desidera un posto nel suo gruppo o nella sua famiglia e cerca intensamente di realizzare questo scopo. Essa cerca di raggiungere un tal posto più di qualsiasi altra cosa e può anche dimenticarsi di quando era affamata e disprezzava l’amore come qualcosa di irreale, di non necessario o di non importante. Adesso sente acutamente il dolore della solitudine, dell’ostracismo, della reiezione, dell’assenza di amici o della spietatezza” (op. cit., p. 95).
Tutte le persone della nostra società (salvo poche eccezioni patologiche) sentono il bisogno e il desiderio di una valutazione di se stessi o autostima e contemporaneamente desiderano la stima degli altri. Da una parte vogliamo essere persone di successo, desideriamo sentirci forti, competenti e adeguati per affrontare con fiducia il mondo; dall’altra abbiamo bisogno di reputazione o prestigio, di una posizione sociale, di fama
e di gloria, di dominio, di importanza, dignità e apprezzamento. Questi bisogni, ancora più alti dei precedenti, vengono da Maslow categorizzati nel cosiddetto bisogno di stima.
Ma anche quando tutte queste esigenze vengono soddisfatte possiamo aspettarci un nuovo stato di scontentezza e irrequietezza “se – per usare le parole di Maslow – l’individuo non sarà occupato a fare ciò che egli, individualmente, è adatto a fare. Un musico deve fare musica, un pittore deve dipingere, un poeta deve scrivere, per poter essere definitivamente in pace con se stesso. Ciò che uno può essere, deve esserlo. Egli deve essere come la sua natura lo vuole. Questo è il bisogno che possiamo chiamare di autorealizzazione” (op. cit., p. 99).
È il bisogno di ogni individuo di attualizzare ciò che è potenziale, diventare ciò che si è capaci di diventare, attuare le proprie migliori potenzialità.

Carattere e gratificazione

Maslow tende a collegare la gratificazione dei bisogni con lo sviluppo di alcuni, forse molti, tratti caratteriali. Molti aspetti caratteristici dell’adulto sano, secondo l’autore, come la capacità di amare, di concedere indipendenza alla persona amata, sono infatti conseguenze positive della gratificazione infantile del bisogno di amore. Allo stesso modo la mancanza di ansietà, di nervosismo, l’esser rilassato, l’aver fiducia nel futuro sono effetti della gratificazione del bisogno di sicurezza.
“Questo vale anche per gli altri bisogni emozionali fondamentali, per il bisogno di appartenenza, di amore, di rispetto e autostima. La gratificazione di questi bisogni permette la comparsa di caratteri come l’affettuosità, l’autorispetto, l’autofiducia, la sicurezza… Un po’ lontani da queste conseguenze immediatamente caratteriologiche della gratificazione dei bisogni sono i tratti della gentilezza, della generosità, dell’altruismo, della magnanimità, dell’equanimità, della serenità, della felicità, della contentezza, e così via. Queste cose sembrano essere conseguenze di conseguenze, sottoprodotti di una generale gratificazione dei bisogni…” (op. cit., p. 129).
In generale sembrerebbe che il grado di gratificazione dei bisogni fondamentali sia positivamente correlato col grado di sanità psicologica dell’individuo, anche se Maslow è il primo ad ammettere l’esistenza di altre vie per raggiungere tale sanità.
Particolarmente interessante è l’analisi comparata delle persone che si autorealizzano. Attraverso l’analisi accurata di un gruppo di soggetti, Maslow evidenziò le caratteristiche comuni dei soggetti dotati di sanità psicologica. Egli scelse un gruppo estremamente eterogeneo di persone in possesso “di un uso e di un’utilizzazione piena dei propri talenti, delle proprie capacità e delle proprie potenzialità”. “Tutti i soggetti erano individui che si sentivano sicuri, non avevano ansie, si sentivano accettati, amati, rispettati e degni di rispetto, ricchi di amore e impegnati nell’elaborazione di loro concezioni filosofiche, religiose o assiologiche” (op. cit., p. 249).
I soggetti furono scelti tra un folto gruppo di studenti universitari, tra conoscenti e figure pubbliche e storiche (ad esempio Albert Einstein, Eleanor Roosevelt, William James, Aldous Huxley, Benedetto Spinoza, Wolfgang Goethe, Martin Buber, Danilo Dolci, Ralph Waldo Emerson, Walt Whitman, ecc.).

Empowerment, autorealizzazione e ottenimento della Buddità

Per coloro che, come chi scrive, amano indugiare in parallelismi e paragoni, voglio suggerire alcune riflessioni.
L’autorealizzazione viene definita da Maslow come il bisogno di ogni individuo di “attualizzare ciò che è potenziale”, “diventare ciò che si è capaci di diventare” e ancora “attuare le proprie migliori potenzialità”. In termini buddisti il raggiungimento di questo obiettivo viene definito “manifestare il proprio vero io” (vero io è una delle principali caratteristiche, assieme a felicità, eternità e purezza, del mondo di Buddità). Ciascun essere umano, quando ottiene la Buddità, fa risplendere le proprie peculiarità. Proprio come piante di specie diverse, ognuno fiorisce secondo la propria natura: “I fiori del ciliegio, del pesco e del susino selvatico hanno ognuno le proprie qualità, e manifestano le tre proprietà della vita del Budda originale senza cambiare le loro caratteristiche” (Nichiren Daishonin, Ongi kuden, citato in La vera entità della vita, Esperia, 1996, p. 119).
Il desiderio di autorealizzazione, o se vogliamo di manifestare la Buddità, è tanto nell’indagine di Maslow quanto per la teoria buddista un bisogno fondamentale comune a tutta l’umanità. Anche se non tutti iniziano a praticare il Buddismo per questo nobile bisogno, chi continua lo fa perché motivato dall’esigenza di fiorire come essere umano, migliorare se stesso e attualizzare le sue potenzialità. Esigenza che nella vita del praticante diviene piano piano sempre più consapevole.
Continuando a leggere il saggio di Maslow con questo parallelismo nella mente facciamo altre significative scoperte. Le caratteristiche più importanti delle persone che si autorealizzano collimano in maniera sorprendente con le caratteristiche di coloro che manifestano il mondo della Buddità.
La prima caratteristica che evidenzia Maslow nel suo gruppo scelto di soggetti è la percezione più efficace della realtà e le relazioni più confortevoli con essa. Le persone che si autorealizzano hanno un senso di soddisfazione generale, manifestano inoltre una serena accettazione di sé, degli altri e della natura. Manifestano semplicità, spontaneità e naturalezza. Sono dotati di autocontrollo, hanno codici morali che sono relativamente autonomi e individuali piuttosto che convenzionali. “I soggetti che stiamo considerando non si sforzano più nel senso ordinario, ma si sviluppano. Essi cercano di crescere verso la perfezione e di svilupparsi in modo sempre più pieno secondo il loro stile. La motivazione delle persone ordinarie è uno sforzo verso la gratificazione dei bisogni fondamentali, dato che mancano di tale gratificazione. Ma le persone che si autorealizzano, di fatto, non mancano di queste gratificazioni, tuttavia hanno impulsi. Esse lavorano, cercano, sono ambiziose, ma in un senso non comune, perché la loro motivazione è lo sviluppo del carattere, è espressione del carattere, è maturazione, è sviluppo, in una parola è autorealizzazione” (op. cit., p. 261).
Le persone che si autorealizzano hanno capacità di fare valutazioni sempre nuove. “La creatività è una caratteristica che si trova in tutte le persone osservate o studiate, che si autorealizzano. Non c’è eccezione. Ciascuno di loro mostrava in un modo o in un altro uno speciale tipo di creatività, di originalità, di inventività che ha alcune caratteristiche peculiari. […] Da una parte questa creatività è ben diversa da quella dovuta a un talento speciale, come nel caso di Mozart. […] La creatività della persona che si realizza sembra piuttosto essere vicina alla creatività ingenua e universale dei bambini non viziati”.
Nelle persone sane molti dualismi e dicotomie sono superati, le polarità scompaiono e molte opposizioni, ritenute fondamentali, sono sostituite da unità. Ad esempio le vecchie opposizioni tra cuore e mente, fra ragione e istinto scompaiono nelle persone autorealizzate. Non è possibile contrapporre egoismo e disinteresse perché per principio ogni atto è insieme egoistico e altruistico. Né si può opporre il dovere al piacere, né il lavoro al gioco quando il dovere è piacere e il lavoro è gioco.
Ultimo, ma non ultimo, le persone che si autorealizzano hanno un sentimento comunitario, “unica parola valida a ben descrivere la pienezza dei sentimenti di umanità espressi dai soggetti che si autorealizzano. Essi hanno verso gli esseri umani in generale un profondo sentimento di identificazione, di simpatia e di affetto, nonostante i momenti occasionali di ira, di impazienza o di disgusto… A causa di tale sentimento di comunione, essi hanno un genuino desiderio di aiutare la specie umana. È come se fossero membri di una sola grande famiglia… Le persone che si autorealizzano hanno relazioni interpersonali più profonde di ogni altro adulto. Esse sono capaci di maggiore fusione, di maggiore amore, di identificazione più perfetta, di una maggiore riduzione delle barriere dell’ego di quanto la ritengano possibile le altre persone… In un senso molto reale e molto speciale si può dire che amano o piuttosto compatiscono tutta l’umanità”. (op. cit., pp. 271-272).
Tratto da Buddismo e Società n.99

Introduzione ai 5 elementi di Vivation

Vivation è il risultato di una serie di evoluzioni il cui scopo è quello di rendere l’esperienza del respiro più dolce e soprattutto di fornire alle persone che si avvicinano a questa tecnica degli strumenti per comprendere ed integrare le loro esperienze e sensazioni in maniera sempre più consapevole e permanente… Vivation è il risultato di una serie di evoluzioni il cui scopo è quello di rendere l’esperienza del respiro più dolce e soprattutto di fornire alle persone che si avvicinano a questa tecnica degli strumenti per comprendere ed integrare le loro esperienze e sensazioni in maniera sempre più consapevole e permanente.
Vivation è un processo, un’avventura, l’inizio di un percorso in cui si va a scoprire il proprio respiro, e si va a ritrovare parti di noi stessi tenute nascoste da fitti veli di inconsapevolezza.
La seduta di respirazione viene considerata come una squisita metafora che aiuta a cogliere in modo diretto e reale come viviamo la nostra vita in quel momento. Gli elementi di questa respirazione sono come gli ingredienti di una ricetta, per esempio quella del pane: si debbono utilizzare tutti i suoi componenti per ottenere un buon pane casalingo, se si tralascia anche solo un ingrediente si avrà qualcosa d’altro rispetto al pane.
Il 1° elemento è il RESPIRO CIRCOLARE, che vuole essere continuo, dolce e seguire un ritmo abbastanza entusiasta, un’inspirazione ampia e l’espirazione rilassata senza nessuno stacco tra un respiro e l’altro. Il respiro è la nostra connessione con la vita, quell’azione involontaria che ci collega con tutte quelle sensazioni che esistono appena sotto la nostra consapevolezza. Respirando in modo circolare attiviamo la nostra energia vitale ed espelliamo le impurità e le tossine presenti nel nostro corpo.
Seguendo questo ritmo e lasciando andare i muscoli del torace e di tutto il corpo si arriva al 2° elemento: il RILASSAMENTO COMPLETO, che è simbolico della nostra disposizione d’animo, della nostra arrendevolezza all’avventura nella quale ci troveremo con la nostra seduta. Il rilassamento nell’espirazione ci aiuta a ritrovare e rafforzare la nostra capacità di un ascolto più profondo dentro di noi così con più facilità potremmo sciogliere le resistenze ed entrare a livelli più profondi di benessere e di serenità.
Durante la seduta, mentre stiamo sdraiati ad occhi chiusi il corpo rilassato, abbandonato, e il respiro che percorre il nostro corpo, sviluppiamo il 3° elemento: CONSAPEVOLEZZA NEI DETTAGLI, adoperando la mente per focalizzarci nel dettaglio sulle sensazioni corporee predominanti che si presentano, e non solo, ma anche sulle innumerevoli emozioni o immagini che vengono proposte dal nostro inconscio. Finalmente possiamo sentire ciò che ci siamo negati.
In Vivation riusciamo a scandagliare tutte le sensazioni che emergono e ad accoglierle con amore, perché anch’esse sono parte di noi stessi ed hanno un loro significato.
Non sempre si riesce ad accogliere tutte le sensazioni specialmente quelle negative, quelle che ci fanno soffrire e che ci disturbano: ecco che a questo punto entra in gioco il 4° elemento:  l’INTEGRAZIONE NELL’ESTASI.
L’integrazione è un’esperienza, un momento che fa parte di un processo. Integrare significa rendere ciò che accade parte della nostra vita, in una accettazione attiva, infatti è il nostro atteggiamento che cambia.
È il nostro atteggiamento che rende le cose dolorose o gioiose, si può imparare a leggere le nostre esperienze in un modo diverso, più disponibili a trovare nelle situazioni del nostro quotidiano l’aspetto che funziona, il lato più positivo che la vita ci propone. Non sono mai le circostanze in se stesse che toccano il nostro animo, ma semplicemente il nostro atteggiamento nei confronti delle circostanze.
Nella seduta di V. si ha l’esperienza in prima persona di come si possono interpretare diversamente le sensazioni del nostro corpo e quindi viverle in maniera ottimale, si impara a cambiare contesto.
Il contesto è un modo di interpretare, di leggere, di filtrare la nostra realtà, le nostre sensazioni, sentimenti ecc. Ci sono naturalmente contesti positivi, filtri attraverso i quali tutta la nostra realtà viene vissuta in modo da farci sentire in armonia con noi stessi, ossia a nostro agio.
Ci sono anche contesti negativi, e quando questi si innescano provocano delle sensazioni di disagio nel nostro corpo.
Il contesto negativo è spesso basato sul giudizio. Giudichiamo negativamente come ci sentiamo, che cosa pensiamo, che cosa facciamo. Come il mondo si rapporta con noi, come gli altri ci vedono.
Se accettiamo la verità delle nostre sensazioni, allora possiamo riconoscere che esse esistano. Se poniamo resistenza al dolore o alla tensione non la risolviamo, anzi ci sentiamo peggio.
La maggior parte del dolore umano dipende dalla resistenza che noi stessi opponiamo contro la manifestazione della realtà.
Attraverso il contesto che vede e considera tutto ciò che esiste dentro di noi, buono, in quanto esiste, in questo atteggiamento si troverà sempre più pace, la tranquillità e come dice Jim Leonard, l’estasi.
L’integrazione nella seduta diventa un’esperienza cinestesica, squisitamente corporea che interessa anche livelli energetici più profondi.
Ci aiuta ad accedere alla parte più profonda del nostro essere, quella che contiene tutta la nostra saggezza, tutte le nostre risorse e potenzialità.
In questa dimensione si riscopre il piacere della vita, la felicità di sentirsi vivi, e la gratitudine di sentire tutte le sensazioni pienamente.
Qualunque cosa accada è quella giusta!
La DISPONIBIITA’ – BUONA VOLONTA’, il 5° elemento di questo approccio, è non solo la disponibilità a fare le sedute, e a intraprendere un viaggio verso sé stessi, ma significa anche che non c’è bisogno di sforzarsi per far si che questa esperienza vada bene, non si deve cercare di rilassarsi o di integrare, ci si rilassa e si integra e basta! Non si fa niente che non sia necessario.
In pratica nelle sedute di V. smettiamo di opporre le nostre resistenze, le nostre repressioni e grazie all’integrazione viviamo le nostre emozioni per quello che sono, e per quello che siamo.
La buona volontà, corrisponde ad una disponibilità interiore ad accettare le nostre emozioni e ciò equivale se ci pensate bene, a vivere, semplicemente vivere!

L’anziano – Tipi di cambiamento

È un periodo complesso del ciclo di vita perché è tra quelli più intrisi di cambiamenti e modifiche; di conseguenza è inevitabile che queste modifiche portino ad un adattamento di cambiamenti molteplici che coinvolgono più di 646b11g mensioni della persona: fisica, psicologica, sociale e relazionale. In questa fase di vita più che in altre, tali dimensioni sono interdipendenti. L’uomo è un’unità biopsicosociale e ha delle dimensioni molto correlate tra loro.

TIPI DI CAMBIAMENTI

Scenescenza: periodo della vita che va dai 65 anni in poi.

Si tende a distinguere tra 3a e  4a : la prima va dai 65 ai 75 anni, la seconda dai 75 in poi (giovani vecchi, vecchi vecchi). Questa distinzione è usata di rado perché non è del tutto veritiera per via che soprattutto nell’età anziana ci sono molte differenze tra persona e persona. Nell’età anziana si evidenziano le caratteristiche uniche. Il nostro ciclo di vita è esprimere quello che siamo. Il nostro stile di vita incide sulla vecchiaia.

ADATTAMENTI

–          Apparati sensoriali

I sensi subiscono delle modificazioni importante. Si tratta di un processo di invecchiamento che avviene inevitabilmente. Diminuisce l’acuità visiva e uditiva. Gli stimoli percettivi non sono ben distinti. Difficoltà nel percepire gli stimoli. Le conseguenze dirette riguardano eventuali problemi della percezione. L’anziano spesso si trova confuso, non sente bene, non riesce a comunicare e si presenta una mancanza di adattamento all’ambiente che porta ad un senso di precarietà. Spesso si sentono fragili e insicuri. In questa fase della vita è presente anche un deficit che colpisce il senso del gusto e la sensibilità gustativa viene alterata soprattutto nei cibi salati.

–          Apparato locomotore

Subisce delle modificazioni che portano ad un irrigidimento delle strutture. Viene limitata la mobilità e la risposta dei riflessi. Questa mancanza comporta un minor afflusso di sangue al cervello (conseguenze a livello cognitivo). L’apparato cardiovascolare si irrigidisce. La respirazione subisce delle modifiche e quindi l’ossigenazione del cervello subisce delle modifiche che portano una minor tolleranza allo sforzo. Tali conseguenze portano alla persona all’avvertimento del suo declino.

–          Sistema nervoso

Subisce delle alterazioni globali (emotività, psicologiche, motricità …). Hanno delle ricadute che si estendono su tutte le dimensioni, incidendo sui comportamenti e sull’elaborazione del pensiero emotivi affettivi. È presente uno sfoltimento di neuroni. La teoria che sostiene chi il nostro sviluppo giunge l’apice alla fine dell’adolescenza e dopo il suo conseguente declino, è parzialmente smentita perché si è visto che i dendriti possono essere persi, ma si possono ricostruire delle sinapsi. Le sinapsi sono sinonimo di intelligenza. Tutti gli stimoli attivano delle sinapsi. Il miglior modo di invecchiare è quello di avere una curiosità nel cercare stimoli ed essere stimolati. (la matematica organizza il pensiero). L’attivazione delle risorse è fondamentale per un mantenimento delle capacità dell’anziano

PROCESSI COGNITIVI

–          Attenzione

Diminuisce notevolmente l’attenzione distribuita e diminuisce anche il tempo di concentrazione. L’attenzione dipende anche dalle alterazioni dell’apparato sensoriale.

–          Memoria

La memoria cambia notevolmente, incide su quella di rievocazione e di riconoscimento (nella prima da uno stimolo ricostruiamo tutta la scena che ci viene in memoria, la seconda identifichiamo una figura e la collochiamo nel nostro ricordo). La memoria di rievocazione diventa estremamente difficoltosa. Richiede molte energie psichiche, invece rimane buona la memoria di riconoscimento.

–          Magazzini della memoria

Viene compromessa notevolmente la memoria a breve termine. Incapacità di elaborare le informazioni. Le persone anziane trovano più facile nel raccontare la loro infanzia, gioventù e vita adulta. È difficile mantenere una buona capacità memonica se i compiti richiesti si basano sugli ultimi mesi di vita o giorni.

APPROCCIO COGNITIVISTA

La corrente cognitivista presta attenzione ai processi cognitivi. Alla base della perdita di memoria c’è un decadimento cognitivo.

APPROCCIO ECOLOGICO

Sottoponendo appositi test a persone anziane si è scoperto che le prestazioni non sono inferiori, ma bensì cambia il tipo di intelligenza perché le esigenze sono diverse rispetto a ciò che si chiede rispetto ad un adulto. Infatti nell’anziano assume più importanza ciò che a lui serve per adattarsi ai nuovi contesti di vita e quindi sviluppare l’adattamento dei riflessi.

–         life – span (percorso di vita)

Tale corrente sostiene che non è vero che lo sviluppo intellettivo – affettivo raggiunga il massimo apice dai 0 ai 25 anni, ma è presente un continuo sviluppo che dura in tutto il nostro percorso di vita, solo che si modifica in base alla visione ecologica e alle richieste del soggetto.

APPROCCIO UMANISTICO

Tale corrente sostiene che nell’anziano più che in altri periodo di vita, assumono un’importanza rilevante alcuni fattori legati ad eventi di vita dell’anziano come importanti lutti, malattie… Questi cambiamenti incidono notevolmente sulle risorse emotive – cognitive. L’anziano potrebbe potenzialmente ricordare, ma subisce degli eventi stressanti che gli impediscono di ricordare.

INTELLIGENZA

Esistono più tipi di intelligenze a seconda del modello teorico. Non è presente un solo tipo di intelligenza, ma si esprime in diverse modalità. Nell’anziano cambia l’intelligenza e si è notato che prevale l’intelligenza cristallizzata, mentre in quella giovanile prevale l’intelligenza fluida.

–         Intelligenza fluida

Si basa molto su conoscenze, informazioni, dati, notizie, logica e deduzione e utilizza un metodo scientifico. Basa molta importanza sulla elaborazione creativa dei problemi. È tipica nei matematici, fisici, chimici.

–         Intelligenza cristallizzata

Non si basa su numeri, notizie e dati, ma sulla loro rielaborazione senza utilizzare i semplici ottenuti, ma utilizzando un’ottica globale. Utilizza strategie risolutive non solo sui dati, ma anche sull’esperienza e riesce a stabilire un confronto in più ambiti. È tipica dei filosofi, letterati scrittori e psicologi.

Si è notato che l’intelligenza fluida ha maggior potenziale fino ai 30 anni, invece quella cristallizzata è più tardiva e si manifesta intorno ai 50-60 anni.

IL LINGUAGGIO

Nell’anziano rimane pressoché inalterato, ma è presente una rigidità nella scorrevolezza del linguaggio. Il loro vocabolario si riduce notevolmente, inoltre c’è la modifica della capacità fonetica (es. Pippo Baudo = Tito Paudo)

SFERA EMOTIVA – AFFETTIVA

Generalmente si accentua le caratteristiche della personalità dell’anziano (persone che in gioventù erano timide, nella vecchiaia divengono chiuse, persone che in gioventù erano potenzialmente irritabili, nella vecchiaia divengono irascibili…). Queste accentuazioni sono più evidenti nel caso di malattie (Alzheimer, Parkinson, Demenza). Può verificarsi anche un completo stravolgimento della personalità.

PERSONALITÀ

In questa fase di vita le persone anziane adottano una personalità centripeta, infatti le minori risorse (fisiche, psichiche, ecc..) portano a centrare su sé le energie residue. Facilmente tale comportamento viene frainteso con egocentrismo o egoismo, ma adottano questa strategia per salvaguardare le proprie energie necessarie alla sopravvivenza. Nell’età adulta invece si ha una personalità centrifuga che appunto non è incentrata su di sé, ma verso gli altri (lavoro, educazione dei figli…).

Tratto da www.inftube.com

L’educazione dei figli: si, no, devi

Tre parole sono responsabili di tutta l’educazione del bambino:si, no, devi.
L’educazione interviene in un’epoca in cui il bambino sta sviluppando il senso di sé, esplorando la sua psicomotricità, e frequentemente ne limita la libera espressione.
L’adulto trascura troppo spesso che educare deriva da
e-ducere, non significa mettere dentro o imporre qualcosa, ma significa tirare fuori dal bambino il meglio delle sue potenzialità, consentendogli, allo stesso tempo, l’apprendimento dei propri limiti.

Il Si dell’adulto contiene tre principali significati, a seconda che sia un:

SI IGNORATIVO (fa quello che vuoi ma non mi seccare). Il bambino sente di essere ignorato, sviluppa insicurezza, ansia, l’illusione di non avere bisogno di nessuno, ribellione per l’autorità da cui si sente ignorato.

SI PERMISSIVO (non sei capace, ma ti do il permesso proteggendoti). Il bambino impara che se fa le cose che la madre gli permette di fare, la madre si sente amata da lui e lo amerà a sua volta.

SI AFFERMATIVO (tu hai la capacità di farlo) Il fanciullo sente di poter imparare dall’esperienza, emerge la gioia di vivere, di affermazione dell’Io, il senso di libertà acquisito da una educazione gioiosa

Anche dire No, presenta tre diversi significati:

NO REALISTICO (insegna al bambino i limiti ed i pericoli). Equivale al si affermativo. Per esprimere le sue potenzialità e conoscere i suoi limiti il bambino necessita di no realistici e di si affermativi.

NON VOGLIO (esiste anche la volontà; la libertà individuale termina dove inizia quella dell’altro, che non deve essere sopraffatto. Il principio di uguaglianza.) Genitori prepotenti che dicono “non voglio” senza discutere e a sproposito, creeranno adolescenti ribelli e adulti aggressivi, oppure gregari e sottomessi, tipico della posizione masochistica. Di contro, genitori con sensi di colpa perché trascurano il loro bambino, non riescono a dire dei sani “non voglio” e creeranno adulti prepotenti.

NON E’ PERMESSO (senza dare alcuna spiegazione) Il bambino non riesce ad allenare il proprio diritto di esprimersi, non può sperimentare la giusta frustrazione, indispensabile per saper negoziare. Non può scaricare la rabbia per un divieto a lui incomprensibile, verso la persona di riferimento. Questa rabbia trattenuta sarà successivamente agita, indirettamente, contro gli altri oggetti carichi affettivamente o emotivamente (genitori, fratelli, compagni, amici, etc.); oppure contro se stesso. Se disobbedisce a questo divieto immotivato, si sentirà colpevole e/o cattivo.

Il no, può essere dato con diverse tonalità:

  • quelle in sintonizzazione coni bisogni evolutivi del bambino (tono fermo ma gentile e sempre improntato all’affetto, disponibilità alla spiegazione e al ragionamento),
  • quelle categoriche che guardano solo ai comodi del genitore,
  • quelle superegoiche (istanze censorie dell’individuo) che comunicano disgusto, durezza, rimprovero, ricatto affettivo e sono foriere di violenza e punizioni corporali

Per una crescita sana il bambino deve incontrare tanto il “Si” quanto il “No” e imparare a maneggiarli entrambi, per sperimentare e comprendere non solo i suoi diritti, ma anche i suoi doveri.

Il “DEVI” sprigiona forti emozioni evolutive, che possiamo riassumere in:

DEVI PERCHE’ E’ NECESSARIO. E’ un devi realistico, con cui il bambino si arricchisce di esperienza, comunica fare questo, per ottenere quello (devi mettere a posto i tuoi giocattoli dopo l’uso se vuoi trovarli in ordine la prossima volta,) o perché non succeda quest’altro (devi stare lontano dal forno quando è acceso se non vuoi scottarti le manine).

DEVI PERCHE’ IO VOGLIO COSI’. E’ un devi autoritario, il bambino non è in condizione di resistere o reagire; lo orienta verso una posizione passiva (una formazione reattiva nel maschio può strutturare una tendenza all’omosessualità latente); oppure scatena in lui rabbia che il genitore non potrà accettare, mentre sarebbe opportuno farlo, per evitare il blocco della rabbia, con conseguenze patologiche.

DEVI FARE QUESTO SE NO MI DISPIACCIO. E’ un devi ricattatorio, fa sentire il bambino sbagliato, deludente, cattivo e colpevole se non obbedisce. La paura di poter perdere l’affetto (ricatto emotivo) lo indurrà all’obbedienza per compiacere il genitore. La perdita della libertà nella scelta se aderire o meno alle richieste del genitore lo farà sentire imprigionato dal ricatto, umiliato e arrabbiato. Terreno fertile per strutturare il masochismo come equilibrio difensivo.

DEVI FARE QUESTO PERCHE’ IO SO CHE FA BENE PER TE. Non considerando assolutamente tutto ciò che il bambino sta esprimendo con la psicomotricità del corpo, è un doppio messaggio psicotizzante, perché il bambino pur di conservare l’amore del genitore, rinuncerà alle sue sensazioni e alle percezioni di se stesso, in favore di quelle del caregiver (figura affettiva e accudente di riferimento).

  • Il volere è il linguaggio del desiderio e degli istinti,
  • il potere è il linguaggio della volontà,
  • il dovere è il linguaggio superegoico dei divieti.

La psicomotricità sviluppatasi al servizio del Super-Io (dovere), produce incapacità di amare e di essere amato, con un blocco delle emozioni e dei sentimenti.
L’energia bloccata muscolarmente sostiene la rigida corazza muscolo-carattetteriale, mentre, sul piano mentale, la corazza si esprimerà con una rigidità di comportamento e un’eccessiva razionalizzazione, che porta ad una limitazione dell’immaginario e della capacità di condivisione e di espressione delle emozioni.

L’ipertrofia e la rigidità dell’Io e del Super-Io, allontana dal principio del piacere per obbedire al principio del dovere, evidenziato, nel corpo, dall’ipertono muscolare, la cui collocazione e distribuzione evidenzia situazioni patologiche, conseguenza delle ingiustizie sofferte.

Tratto da: Ezio Zucconi Mazzini, La malattia del potere, Alpes Italia, Roma, 2010

www.mediazionefamiliaremilano.it

La coerenza del cuore di Bruce Lipton & S. Bhaerman

La coerenza del cuore
Nel mondo del materialismo scientifico, il cuore è soltanto un muscolo; un muscolo molto importante, ma nient’altro che un muscolo. Tuttavia, nella medicina cinese il cuore è considerato il centro della saggezza, e nell’antica tradizione vedica esso è il mediatore tra Cielo e Terra.
L’antica filosofia ayurvedica sostiene che il corpo possiede sette chakra o centri di forza considerati punti focali per la ricezione e la trasmissione delle SUE energie vitali. Il potente chakra del cuore si trova nel centro, tra i tre chakra superiori e i tre inferiori. I chakra superiori della corona, del terzo occhio e della gola sono centri energetici di coscienza e comunicazione. I chakra inferiori del plesso solare, sacrale e radice rappresentano il dominio fisico e le emozioni corporee. Se mai esistesse un passaggio tra il sopra e il sotto, senza alcun dubbio sarebbe il chakra del cuore.
Ancora una volta la scienza moderna sta confermando l’antica saggezza, questa volta in relazione all’influente ruolo del cuore. Nel 1992 il ricercatore dello stress Doc Childre insieme a Howard Martin hanno raccolto dati da varie tecnologie di scansione moderne che rivelano che gli antichi avevano ragione quando parlavano dell’influenza del cuore sulla vita concludendo che:” L’intelligenza del cuore è l’intelligente flusso di consapevolezza che sperimentiamo quando la mente e le emozioni del corpo sono portati all’equilibrio e alla coerenza”.
Per parafrasare una vecchia canzone di Connie Frances, il nostro cuore, in realtà, ha una sua propria mente. Negli anni ’70 i fisiologi John e Beatrice Lacey hanno scoperto che il cuore possiede il proprio sistema nervoso indipendente, che hanno chiamato “il cervello del cuore”.
(…) I loro studi hanno mostrato che il cuore non ubbidisce automaticamente ai messaggi del cervello, ma di fatto interpreta i segnali neuronali e risponde basandosi sul corrente stato emotivo dell’individuo. I Lacey hanno concluso che il cuore applica una sua logica ben precisa, e che i battiti cardiaci non sono semplicemente i ritmi meccanici della vita, ma piuttosto rappresentano un linguaggio intelligente. (…)
La ricerca di Childre e Martin ha condotto a specifiche tecniche che consentono di accedere a quella che essi definiscono intelligenza coerente del cuore. Quando i soggetti focalizzano la loro attenzione sul cuore e attivano un sentimento che viene dal centro del cuore, come l’amore, l’apprezzamento o la premura amorevole, queste emozioni modificano istantaneamente il loro ritmo cardiaco in un tracciato più coerente. L’aumento della coerenza del battito cardiaco attiva a sua volta una cascata di eventi neuronali e biochimici che influiscono praticamente su tutti gli organi del corpo.
Gli studi dimostrano che la coerenza del cuore accresce l’intelligenza riducendo l’attività del sistema nervoso simpatico (il nostro meccanismo lotta o fuggi) e aumentando nel contempo l’attività promotrice di crescita del sistema nervoso parasimpatico. La risposta di rilassamento prodotta dalla coerenza cardiaca riduce la produzione dell’ormone dello stress cortisolo e dirotta i suoi precursori chimici verso la produzione dell’ormone anti-invecchiamento DHEA.
Coltivare sentimenti di amore, compassione, premura amorevole e apprezzamento influenza la nostra psicologia così da procurarci una vita più sana, più felice e più lunga. (…)
L’influenza del cuore è potenziata dalla propria attività elettromagnetica che è 5 mila volte più potente del campo elettromagnetico del cervello. L’attuale tecnologia può leggere il campo energetico del cuore fino a 3 metri di distanza dal corpo. I sentimenti come l’amore generano una coerenza quantificabile del campo del cuore, mentre le emozioni negative provocano incoerenza e disarmonia.
Il cuore diffonde le nostre emozioni nel mondo che ci circonda e, allo stesso modo, è influenzato dalle emozioni diffuse dagli altri. Quando un individuo si connette a un’altra persona attraverso il contatto fisico o semplicemente attraverso la cura amorevole, l’attività elettrica dei due cuori e cervelli in comunicazione s’intreccia, ed essi iniziano a trascinarsi a vicenda.
Questa ricerca presenta delle implicazioni ancora più profonde, collegate all’attivazione di un campo di guarigione su scala mondiale, poichè rivelano che la coerenza guaritrice dell’amore è contagiosa e può rapidamente propagarsi in tutta una popolazione.
Queste osservazioni suggeriscono che la coerenza o l’incoerenza emotiva di grandi gruppi di persone possono influenzare profondamente il campo più ampio. L’Institute of HeartMath ha recentemente lanciato un esperimento mondiale per verificare la sua ipotesi, reclutando gli sforzi di grandi numeri di partecipanti di tutto il pianeta. La loro Global Coherence Initiative è un’iniziativa scientifica volta a determinare l’influenza coordinata di milioni di persone che praticano consapevolmente quello che essi definiscono “una premura amorevole e una intenzione focalizzate dal cuore e dirette a spostare la coscienza globale dall’instabilità e dalla discordia all’equilibrio, alla cooperazione e alla pace perenne”.
Possono le nostre intenzioni cambiare deliberatamente il campo della Terra? Vi preghiamo di rimanere sintonizzati.

Come evitare l’estinzione? Rifkin e l’empatia di Laura Nuti

“Siamo una specie sociale fatta più per l’empatia che per l’autonomia”. Questo sostiene l’economista Jeremy Rifkin (l’intervista è del New Scientist) che nel suo ultimo libro La Civiltà Empatica illustra i vantaggi -anche economici- che un nuovo modo di intendere l’umanità potrebbe arrecare e mette in guardia verso i rischi che stiamo correndo – e sottovalutando.

“Quando convergono rivoluzioni in campo energetico e comunicativo nascono nuove ere economiche che portano a cambiamenti di coscienza e a un aumento di empatia.” – spiega Rifkin – “Le società agricole che crearono i primi sistemi di irrigazione su scala videro la nascita della scrittura. La coscienza mitologica delle culture orali si trasformò con la scrittura in una teologica. Nel processo l’empatia è aumentata.

Nel XIX secolo nuove energie come carbone e vapore coincisero con grandi innovazioni nel campo della comunicazione e della stampa. Questa sinergia portò alla creazione delle scuole pubbliche e l’alfabetizzazione di massa in Europa e in Nord America. Si passò dalla coscienza teologica a quella ideologica. Lo stesso cambiamento si ebbe con la seconda rivoluzione industriale nel XX secolo che portò alla nascita della coscienza psicologica.

Ogni convergenza di innovazioni nel campo dell’energia e delle tecnologie di comunicazione ha cambiato la nostra coscienza, esteso le nostre reti sociali e espanso la nostra empatia”.

Ritengo che ci troviamo al punto di svolta verso una transizione epocale a un’economia «climacica» globale e a un radicale riposizionamento della presenza dell’uomo sul pianeta. L’era della ragione sta per essere sostituita dall’era dell’empatia.

 

Tratto dal libro La civiltà dell’empatia.

Forse la domanda cruciale alla quale l’umanità deve dare una risposta è: possiamo raggiungere l’empatia globale in tempo utile per evitare il crollo della civiltà e salvare la terra?

Il riscaldamento globale è la minaccia più grande che il genere umano si sia mai trovato ad affrontare. Se vogliamo salvarci dall’estinzione dobbiamo abbracciare un nuovo modello di società basato sull’empatia. Parola dell’economista Jeremy Rifkin che nel suo ultimo libro “La Civiltà Empatica” illustra i vantaggi -anche economici- che un nuovo modo di intendere l’umanità potrebbe arrecare e mette in guardia verso i rischi che stiamo correndo – e sottovalutando. L’intervista è del New Scientist.

La fine di un’era

Per Rifkin l’età moderna sta per terminare.

Sono i fatti a parlare. Nel luglio 2008 il prezzo del petrolio ha raggiunto 147$ al barile e in 30 paesi sono scoppiate lotte per il cibo. Il contraccolpo è arrivato 60 giorni dopo con il crollo dei mercati. La civiltà del petrolio è agli sgoccioli.

La terza rivoluzione industriale

Rifkin: “Dobbiamo ripensare le politiche economiche e porre la termodinamica alla base della teoria economica. Il prezzo dell’energia influenza qualsiasi tipo di prodotto creiamo. Allo stesso tempo gli effetti dei cambiamenti climatici stanno danneggiando le economie di molti paesi attraverso drammatici eventi atmosferici che portano alla distruzione di infrastrutture agricole e interi ecosistemi. La terza rivoluzione industriale sarà guidata in parte dalla necessità di rimediare ai danni causati dalle prime due”.

Le domande

Rifkin: “Come è possibile che i nostri leader non siano stati capaci di anticipare e provvedere alla fine della seconda rivoluzione industriale? Perché non sono in grado di prendere provvedimenti efficaci circa i cambiamenti climatici quando gli scienziati ci ricordano che è la più grossa minaccia che la nostra specie si è trovata ad affrontare?” si chiede Jeremy Rifkin.

Le risposte

Rifkin: “I nostri leader stanno usando idee del XVIII secolo per risolvere i problemi del XXI. L’idea dominante è tuttora quella che gli umani siano esseri razionali, distaccati, che perseguono il proprio interesse e che le nazioni debbano riflettere questa visione. Ma è possibile risolvere i problemi della biosfera e di 7 miliardi di persone se siamo indifferenti, privi di passione e guidati solo dai nostri interessi personali?”

Da Homo sapiens a Homo Empathicus

Rifkin: “Molte scoperte recenti in campo biologico, neurologico e antropologico ci offrono un’immagine dell’essere umano diversa rispetto a quella in voga durante l’illuminismo. Per esempio, la scoperta dei neuroni specchio dimostra che siamo una specie sociale fatta più per l’empatia che per l’autonomia”.

L’empatia e la storia

“Quando convergono rivoluzioni in campo energetico e comunicativo nascono nuove ere economiche che portano a cambiamenti di coscienza e a un aumento di empatia.” – spiega Rifkin – “Le società agricole che crearono i primi sistemi di irrigazione su scala videro la nascita della scrittura. La coscienza mitologica delle culture orali si trasformò con la scrittura in una teologica. Nel processo l’empatia è aumentata.

Nel XIX secolo nuove energie come carbone e vapore coincisero con grandi innovazioni nel campo della comunicazione e della stampa. Questa sinergia portò alla creazione delle scuole pubbliche e l’alfabetizzazione di massa in Europa e in Nord America. Si passò dalla coscienza teologica a quella ideologica. Lo stesso cambiamento si ebbe con la seconda rivoluzione industriale nel XX secolo che portò alla nascita della coscienza psicologica.

Ogni convergenza di innovazioni nel campo dell’energia e delle tecnologie di comunicazione ha cambiato la nostra coscienza, esteso le nostre reti sociali e espanso la nostra empatia”.

Perché Copenaghen 2009 è stato un fallimento?

Rifkin: “I leader continuano a pensare in termini di geopolitica. Se ognuno pensa al profitto della propria nazione non si può trovare una soluzione. Bisognerebbe pensare in termini bio-politici per fare gli interessi della biosfera”.

Responsabilità condivisa

Il gioco di squadra sembra essere il solo modo per scampare all’estinzione secondo Rifkin.

Dobbiamo condividere la responsabilità che abbiamo nei confronti della biosfera e dell’umanità. Non basta che ognuno si prenda cura della sua parte. Il tipo di empatia necessario per far avvenire qualcosa del genere è già presente nella nostra cultura allo stato embrionale: basta pensare a quanto velocemente abbiamo empatizzato con gli studenti iraniani e con le vittime del terremoto di Haiti.

“E’ una novità – stiamo pensando come razza umana. Abbiamo ancora una buona dose di xenofobia e pregiudizi ma penso che abbiamo colto la scintilla di qualcosa di nuovo e dobbiamo agganciarci ad essa perché è in gioco la nostra sopravvivenza” -continua Rifkin.

Empatia di mercato

Rifkin: “Molti uomini d’affari sostengono che non puoi essere empatico sul mercato. Ma il mercato è un’istituzione secondaria – è un’estensione della cultura. Il mercato è fondato sulla fiducia che è il risultato di un impegno empatico. Il mercato esiste solo se le persone confidano che gli accordi presi verranno onorati. Quando questa fiducia viene meno i mercati collassano ed è quanto sta avvenendo ora. Se, come dicono gli scienziati, la nostra vera natura è quella di Homo Empathicus forse dovremmo iniziare a costruire nuove istituzioni che riflettano l’essenza della nostra natura”.

Traduzione e adattamento di Laura Nuti

tratto da www.nextme.it

Il campo energetico nell’essere umano e nella natura di John Pierrakos

Introduzione storica
L’uomo è un eterno pendolo in movimento ed in vibrazione che, durante le varie epoche, ha tentato di scoprire e di comprendere il proprio ruolo nell’Universo. Dapprima cercò di rendersi conto di sè, prendendo conoscenza dei suoi movimenti pulsatori interni e divenne così consapevole del mondo dentro di sè. Poi tentò di captare e di comprendere l’ambiente circostante attraverso le proprie percezioni; questi movimenti pulsatori, le sensazioni e le percezioni gli dettero la prova e la consapevolezza della sua persona.
Ma che cosa sono quei movimenti pulsatori interni?
Sono la componente dei processi vitali, riguardanti tutte le energie esistenti nel metabolismo vivente del suo corpo. Questo assieme di energie, all’interno del corpo, fluisce anche al suo esterno analogamente ad un’onda di colore che si espande, fuoriuscendo da un oggetto metallico incandescente. Si crea così un campo energetico, composto dalle linee di forza presenti alla periferia dell’organismo umano. Il corpo dell’uomo vive dentro questo campo energetico che si estende per diversi metri; resta chiaramente aderente al corpo stesso ma, a volte, lo si può vedere espandersi per diverse decine di metri.
Divenni consapevole di questi fenomeni, e cominciai a studiarli, circa 20 anni fa, quando fui introdotto all’orgonomia ed allo studio degli accumulatori orgonici. Da allora abbinai l’osservazione di questi fenomeni con la mia pratica, in campo fisico, che utilizzavo sia nelle diagnosi sia nel registrare la corrente energetica e la rimozione dei blocchi muscolari; inoltre usavo questo procedimento di natura fisica anche per altri usi terapeutici. Si prova una sensazione particolarmente eccitante quando si tenta di comprendere i processi vitali osservando il campo energetico dell’uomo, sia quando è malato che quando sta bene, lo stesso fenomeno si verifica negli animali, nelle piante e nei cristalli.
Questi fenomeni possono essere percepiti dalla maggior parte delle persone sia che le loro osservazioni vengano effettuate soggettivamente, sia con metodi oggettivi, come spiegheremo in seguito.
I fenomeni riguardanti il campo energetico dell’uomo si possono trovare puntualmente registrati lungo le migliaia di anni che costituiscono la storia dell’umanità. Essi furono osservati per la prima volta all’incirca verso il 3.000 a.C. dai cinesi e spiegati col principio dello Yin e dello Yang. L’Universo, nel suo duplice aspetto, fu percepito come un macrocosmo, mentre l’uomo fu ritenuto un microcosmo. La cronologia e la medicina cinese erano basate sulla comprensione dei principi bioenergetici e sulle loro attività. L’accostamento della medicina cinese risultò sia animistico che vitalistico, ma sbagliò ad incorporare nella concezione materialistica della vita quei principi, che divennero limitati e statici. Conseguentemente, a partire dal 2.000 a. C., non si verificò più alcun sviluppo di questi concetti.
Vi è uno stretto rapporto ed una consistente analogia di carattere generale tra la cosmologia dello yin e dello yang e la filosofia degli egiziani, come è indicato dalla dualità di Osiride ed Iside, dalla concezione numerica del dualismo di Pitagora e di Platone e del Chrimuz Ahriman di Zoroastro.
In uno studio sull’emigrazione dei simboli, fatto d’Avela, si riscontrò, che, a partire dal 1.300 a.C. sino al 1.100 dopo Cristo circa, vi è stato un simbolo universale che esprime l’energia solare ed il movimento. Esso si originò con gli ariani ed i greci; questo simbolo è il Gamadion ed è stato usato con delle variazioni in diverse civiltà.
Quasi certamente la sua origine costituì un simbolo riguardante la percezione del sole e dei suoi raggi. In quest’epoca si manifesta, di fatto, con la forma della svastica che rappresenta i movimenti del campo energetico, come è stato comprovato dalle mie osservazioni personali su tale processo. Nell’antica civiltà greca vi sono molti riferimenti che indicano come quei processi energetici; nella natura e nell’uomo, fossero conosciuti e venissero compresi.
Ippocrate, per esempio, nei suoi scritti, rivela una profonda fede nelle influenze cosmiche e nei cicli del clima e sulle malattie. Egli, inoltre, raccomandava di proposito che i medici non ignorassero le forze naturali all’interno dell’uomo, “è la natura che guarisce, non il medico”, e che conoscessero anche l’astronomia e la fisica.
Con la teocrazia bizantina, la medicina e l’indagine naturale furono ampiamente represse sicchè i periodi tra il terzo e, approssimativamente, il 10° secolo in Occidente, furono le Epoche Scure.
Verso il 16° secolo, nell’opera di Paracelso si trova lo studio e l’applicazione dei processi energetici naturali. Paracelso trattò l’armonia dei 4 elementi e l’esistenza di una forza naturale nell’organismo chiamata “l’archeo”, quel fenomeno antico “che guarisce le malattie”.
Nell’era moderna il primo tentativo che si conosca, per comprendere i sistemi viventi nel loro ambito naturale, fu effettuato da Newton.
Nel suo secondo scritto sulla luce e sui colori, egli riferisce di una luce elettromagnetica, “indefinibile”, oscillante, un qualcosa di elettrico e di elastico che era eccitabile e che rivelava fenomeni quali la repulsione e l’attrazione, la sensazione e il moto. I concetti di Newton anticiparono, per molti aspetti il campo elettromagnetico di Faraday e di Maxwell. Nel 1704 Mead effettuò un proprio tentativo, cercando di porre i sistemi viventi sotto le leggi dei principi newtoniani.

La sua teoria sulle maree atmosferiche (che sono causate dagli effetti gravitazionali del sole e della luna e che producono periodici cambiamenti nella gravità atmosferica nell’elettricità e nella pressione è che queste maree agirono come un “aiuto esterno” alle “cause interne” già presenti nei corpi animali. Mead parlò di un “fluido nervoso di natura elettrica”. Verso quest’epoca Nollet e Frekte pubblicarono teorie ed esperimenti posti in relazione ai fluidi nervosi. Mesmer, nel 1775 chiamò quella forza: “gravitazione animale” e, in seguito, “magnetismo animale”. Egli descrisse quest’elemento come se avesse la funzione di riempire lo spazio sidereo e lo ritenne capace di influenzare direttamente il sistema nervoso delle forme animate. Nel 1783 Maidite e Bertholon pubblicarono un lavoro che comprovava l’influenza dell’elettricità atmosferica sulla vegetazione. Verso quest’epoca il famoso chimico tedesco, barone Von Reichenbach, effettuò uno studio dettagliato sul campo energetico dei cristalli e delle piante e lo definì: il fluido odylico.

L’opera di Mesmer, sebbene respinta dalla maggioranza dei medici suoi contemporanei, ebbe una profonda influenza sulla medicina europea. Questo fatto venne in prima linea con l’ipnotismo, nel 1860, quando Libaut fondò la sua clinica a Nancy; Bernheim e Charcot usarono, nelle loro rispettive scuole, l’ipnotismo e la suggestione come metodo curativo. La scoperta della mente inconscia, su cui è basata la psicanalisi di Freud, fu rivelata con le tecniche ipnotiche e Freud fu un allievo di Charcot ed un collaboratore di Bernheim. Il concetto freudiano della Libido, anche se non venne considerato come un principio del tutto energetico, era basato sul fatto che erano stati compresi i processi dell’energia vitale nell’organismo.
L’indagine fisica proseguì molto lentamente, dal 1919 al 1929, un medico londinese: Kilner, indagò oggettivamente il campo energetico, chiamato anche l’aura dell”‘atmosfera umaria” attraverso degli schermi colorati. Il suo libro è una miniera di informazioni sulle cariche e sulle variazioni del campo energetico umano e mi è stato di grande aiuto. (1)
Fu però Wilhelm Reich che, durante un periodo che copre un quarto di secolo, iniziatosi nel 1925, condusse un sistematico, dettagliato e compiuto studio sui fenomeni riguardanti il campo energetico dell’uomo e della natura. Egli definì la particolare energia dei processi vitali: Orgone.
Il suo lavoro di ricerca, nel campo psicanalitico ed in quello biologico oltre che nell’ingegneria cosmica, è risultato di importanza determinante per comprendere la posizione dell’uomo nell’Universo. Reich è un profeta di quei profondi mutamenti che si sono verificati in questa nostra società, analogamente a quelli che si verificano agli inizi del secolo.
I concetti energetici della sua terapia furono ampliati ed estesi da Alexander Lowen e da chi scrive; abbiamo infatti messo a punto particolari tecniche quando si è trattato di lavorare con il sistema energetico dell’organismo nel suo assieme, scaricando la corrente energetica delle emozioni nei piedi. Fu proprio attraverso l’applicazione di questi concetti bio-energetici sui miei pazienti che mi si è presentata la grandissima occasione di studiare i movimenti e le variazioni del campo energetico che circonda l’uomo.
Negli Stati Uniti, a partire all’incirca dal 1930, Burr e Northorp hanno condotto un accurato studio, di natura biologica, sulle energie vitali dell’organismo. I due ricercatori compresero che vi doveva essere qualche forza dietro agli organismi viventi, allorquando questi mostravano la loro capacità di organizzare e di tenere assieme le complesse intermutazioni chimiche che accompagnano i processi biologici. Essi hanno pubblicato numerosi articoli che trattano dei campi energetici negli organismi primitivi, negli alberi e negli animali.
Il loro lavoro fu facilitato dalla realizzazione di strumenti adatti a misurare le minime differenze di voltaggio al minuto. La loro attività nello studio delle malattie emozionali è stata proseguita da Leonard Ravitz. Egli condusse accurati esperimenti anche sugli stati eccitati dell’organismo, ponendoli in relazione alle nevrosi, all’ipnotismo, al sonno, ai farmaci, e dimostrando così che i cambiamenti determinanti si verificano nel campo elettromagnetico dell’uomo. In Inghilterra il lavoro di Kilner fu proseguito, indipendentemente, da George de la Warr e da Ruth Brown; il lavoro del primo era basato sull’opera di Abrams e di George Star White.
George de la Warr mise dunque a punto un’apparecchiatura particolare per studiare i processi vitali dell’uomo e delle piante, elaborando i concetti originali tendenti a dimostrare il grande effetto che i processi mentali hanno sulla materia. Necessiterebbero moltissime pagine per riferire dettagliatamente del lavoro effettuato da molti altri ricercatori in questo campo. Tuttavia molte persone in Inghilterra o negli Stati Uniti vi si sono applicate, rimanendo ai margini del mondo scientifico; costoro hanno condotto i loro esperimenti, sulle energie vitali, nei vari campi come lo strumento di raidoestesia e di fenomeni concernenti gli studi di parapsicologia.
Il lavoro di Edgar Cayce, gli studi dei “chakras”, i movimenti energetici effettuati dagli yogi ed, in seguito, i teosofi, secondo quanto è stato descritto nell’opera di Leadbeater, hanno trattato dettagliatamente del fenomeno riguardante le energie vitali nell’uomo, da un punto di vista metafisico. Si può dire che tutti questi esperimenti e questi studi sono basati su qualche manifestazione particolare dei processi vitali dell’organismo e dei processi energetici vitali.
Recentemente un lavoro sul genere di quello condotto dal Dr. Bernard Grad (dell’Università Mc Gill di Toronto) sullo sviluppo delle piante, ha dimostrato il grande effetto che una mano guaritrice potrebbe avere nel procedimento connesso allo sviluppo delle particelle di orzo, usato per questo esperimento. Negli Stati Uniti vi è un gruppo di validi scienziati che, sotto la guida del Dr. Rober Laidlaw di New York, sta realizzando un importante lavoro e sta tentando di definire il campo energetico dell’uomo, presso l’Istituto per lo studio delle Energie Vitali.
In una recente indagine scientifica, realizzata da ricercatori sovietici, è stato anche riferito che costoro erano in grado di fotografare il campo energetico attraverso una tecnica che utilizzava le correnti dell’alta frequenza.

Descrizione della natura del campo energetico

In natura vi sono diversi gruppi di organismi unicellulari, come i batteri, ma anche strutture multicellulari come funghi, flagellati, le spugne, i pesci e le lucciole che sono in grado di emettere luce e “luminescenza” quale risultato dei loro movimenti interni e dei loro processi biologici. Negli organismi superiori, si sa che i processi vitali come la mitosi delle cellule, l’ossidazione ed altri processi metabolici sono accompagnati da luminescenza. Gli organismi viventi sono in grado di emettere luce attraverso tutta la superficie dei loro corpi quando non hanno perso la propria capacità di illuminarsi. Questi fenomeni costituiscono il campo energetico o Aura che è in effetti, un riflesso delle energie insite nel processo vitale.
(L’Aura proviene dal greco Avra che significa brezza). L’Aura, o campo energetico, è una sfumatura di luce, tipica delle energie corporee.
Energia deriva dalla parola “energheia” che significa produzione di un movimento o di un lavoro. Urta definizione più logica è la seguente: “L’Energia è la forza vitale emanata dalla consapevolezza”. Quest’ultima, in precedenza, era posta in relazione all’auto-percezione, attraverso i movimenti pulsanti interni manifestatisi sulla superficie corporea come campo energetico del corpo stesso, alla sua produzione di calore, alla propria eccitazione, nell’attività e nel riposo. Inoltre questi fenomeni sono anche influenzati dalle condizioni atmosferiche, dall’umidità relativa, dalla polarità delle cariche che sono nell’aria e da molti altri fattori ancora sconosciuti. Se si potesse vedere questa manifestazione luminosa attorno al corpo, ma presente anche nello spazio che intercorre tra le persone, ci si accorgerebbe che gli esseri umani nuotano in mare di fluido che sfuma ritmicamente con colori brillanti. Questi pulsano, mentre mutano costantemente tinta e bagliore; per un essere vivente devono risultare di colore intenso, che vibrano.
I fenomeni del campo energetico appartengono, inoltre, ad un’altra dimensione; costituiscono, infatti, i fenomeni energetici che trascendono le realtà fisiche della materia.
Ora, anche se sono sicuramente connessi alla struttura e materia del corpo, tuttavia hanno proprie leggi per quanto riguarda il movimento pulsatorio e la vibrazione; fatti questi che non sono stati ancora compresi. Per giungere ad una definizione più pratica di questo fenomeno, in base alle mie osservazioni posso affermare quanto segue:
Quando una persona si staglia contro un sfondo omogeneo, sia con una luce molto intensa (cielo blu) che con una profonda oscurità (blu della mezzanotte), se siamo muniti di alcune attrezzature particolari, in modo che la luce risulti tenue ed uniforme, ed aggiungendo dei filtri colorati (blu cobalto, si può vedere chiaramente e ad occhio nudo, un fenomeno ancora più sensazionale. Dalla superficie del corpo si stacca un involucro grigio-bluastro che sembra una nube e che si espande per un’ampiezza che varia da 62 cm. ad 1 metro e 24 cm.; giunto a questa distanza, perde la sua nitidezza e si amalgama con l’atmosfera circostante. Questo involucro brilla ed illumina la superficie del corpo nell’identico modo in cui i raggi del sole nascente, espandendosi, illuminano gli orli delle montagne scure. L’involucro si dilata lentamente, per uno o due secondi, allontanandosi dal corpo, finchè forma una figura di ovale quasi perfetto con i propri confini ben delimitati.
Il terzo ed ultimo strato, quello esterno, ha un’ampiezza che varia ma, in un spazio aperto, si espande allontanandosi per diverse decine di metri. Presso la spiaggia è stato visto estendersi fino a 30 metri e mezzo dalle persone che emanano tali energie. Questo terzo strato ha un corpo interiore indefinito che inizia sul confine è trasparente e possiede un delicato colore blu cielo. Esso viene attraversato anche da raggi verticali che partono dal precedente strato intermedio.
Il movimento predominante dello strato esterno è a spirale o a vortice e sembra come se il moto delle particelle, simile a quello browniano del secondo strato, cercasse uno spazio più ampio, propagandosi in tutte le direzioni, nello stesso modo in cui le molecole dei gas compressi tendono ad espandersi in seguito all’aumento del volume del contenitore. I confini esterni del terzo strato si propagano talmente che i suoi margini si disperdono nell’aria circostante. La direzione del proprio movimento è perpendicolare alla superficie dell’organismo.
La direzione del movimento complessivo dei tre strati, finchè si possono vedere mentre si muovono simultaneamente, appare piuttosto complicata. Stando di fronte al soggetto, possiamo accorgerci chiaramente del campo energetico sul torace, sulla testa’ sulle braccia e sulle gambe.
Osserviamo poi che tale campo inizia a muoversi da terra e si dirige sulla zona interna delle gambe e delle cosce, sul torace e verso l’esterno dalle mani, degli avambracci e delle braccia, mentre le due correnti principali si fondono dirigendosi verso l’alto, dov’è il collo, sino a confluire poi sulle mani; tutto ciò costituisce una fase del movimento. Contemporaneamente se ne verifica un’altra nella parte a tergo del torace, ma che scende verso terra, il che costituisce la seconda fase. E’ interessante notare che, in ciascuna metà del corpo, vi è un movimento alternante tanto verso l’alto quanto verso il basso, ciascuna metà ha un flusso simultaneo che segue queste direzioni.
Le correnti si congiungono dove comincia il collo e proseguono sino all’altra metà della testa. La direzione alternata del movimento del campo energetico è rappresentata dal fluire alternato sulle due metà del corpo, come quando si passeggia e si corre o si cambia luogo, stando sulla superficie terrestre. Queste due fasi si fondono sulla linea mediana del corpo, longitudinalmente. Sicchè, dopo aver osservato il campo energetico mentre il soggetto rimane di profilo, constatiamo che esso pulsa nella zona mediana, e più precisamente nell’area degli organi viventi, verso la testa e verso i piedi, sia davanti che dietro il corpo, simultaneamente. Ne scaturisce il seguente assunto: si ritiene che vi debbano essere una quantità di movimenti, con un moto spiraliforme, insiti nel campo organotico, all’interno del corpo che ne è ingolfato, che fanno altrettanto con gli organi vitali, come il cuore, i polmoni, il fegato e gli intestini. Ciò è convalidato dalla f1gura di quegli organi e dal loro intreccio spontaneo, nonchè dal loro movimento avvolgente. Tuttavia se paragoniamo l’organismo umano ad un cilindro flessibile, notiamo che vi possono essere, sostanzialmente, due specie di movimenti: uno lungo il proprio asse longitudinale ed un altro lungo il suo diametro. Tutti gli altri movimenti sono forse dovuti a quelle due principali direzioni. Il movimento longitudinale, se è diretto contro la base che sostiene il cilindro lo si può muovere da un punto all’altro della superficie terrestre. Nel corpo umano, ciò si verifica quando si passeggia o ci si muove.
I1 movimento lungo il suo diametro può verificarsi sia andando verso il centro che allontanandosene è, se i movimenti sono flessibili, possono gonfiare e sgonfiare le pareti del cilindro. Questo genere di movimenti è collegato alle fasi che concernano l’espansione e la contrazione del corpo. Il movimento primordiale è di importanza determinante tanto negli organismi primitivi quanto nelle amebe. Nell’uomo, entrambi i movimenti costituiscono l’uno una manifestazione dell’altro. Il movimento longitudinale mantiene il corpo eretto, quello trasversale fa espandere e contrarre l’organismo. Questi principi sono stati descritti ne: “La Dinamica Fisica della Struttura Caratteriale” del Dr. Alexander Lowen. Quanto segue è una spiegazione di quel che costituisce il movimento del campo energetico, desunta in seguito alle mie osservazioni. Vi è un movimento longitudinale determinante, all’interno del cilindro umano che viene emanato dagli organismi vitali, non appena il campo si muove verso l’alto, in direzione della testa o andando in basso verso i piedi. Questo movimento, inoltre, permea tutti i tessuti con rapidità, espandendosi radicalmente, non ne è ostacolato dalla configurazione anatomica e raggiunge la superficie del corpo senza trovare alcun ostacolo. Si crea così la percezione visiva di quel fenomeno che è il campo energetico con i suoi tre strati. Ciò che vediamo sono in effetti, i mutamenti nell’atmosfera circostante che si verifica nello stesso modo de vapore, quando lo vediamo innalzarsi dal liquido in ebollizione; differiscono soltanto nello stato che, questo caso, è gassoso. Analogamente, i! campo energetico, visto attraverso l’involucro. che circonda l’organismo umano, costituisce una forma modificata del flusso energetico all’interno del corpo. Studiando le caratteristiche possiamo scoprire il suo autentico movimento, la sua composizione, la sua consistenza ed i movimenti che si verificano nelle condizioni patologiche o nei semplici processi vitali con tutte le variazioni. Attualmente il campo energetico è un’immagine riflessa delle moltissime energie movimento che si espandono in tutte le direzioni, una volta che sono partite dal corpo umano. Si può affermare che gli aspetti determinanti più comuni, riguardanti il tipico movimento di tale campo sono i seguenti:
1) Per quanto concerne l’organismo in posizione verticale, (dall’alto) visto in tutta la sua estensione, il suo campo energetico assume la forma di una svastica o di una figura a forma di 8.
2)’Nella figura vista di profilo il campo assume, approssimativamente, la forma di un fagiolo.
3) Vi sono movimenti spiraliformi che collegano le due metà del corpo e le due metà di ciascun organo.

Orrore e terrore come esperienza quotidiana Alexander Lowen

Quattordicesima Conferenza Pubblica Annuale tenuta presso la Comunity Church di New York – Settembre 1972
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Il tema dell’orrore mi si pose parecchi anni fa in relazione ad un paziente che, Miki Kronold ed io, stavamo trattando. Era un giovane molto educato, un assistente universitario ad uno dei college; il suo principale disturbo era la depressione. Fisicamente aveva un corpo ben formato, una statura di poco inferiore alla media, con segni trascurabili di un qualche più importante disturbo della personalità, se non per il fatto che talvolta la sua testa sembrava non seguire il suo corpo. Non c’era niente di insolito riguardo la sua testa, aveva lineamenti abbastanza regolari, tuttavia avevo la sensazione che testa e corpo non fossero connessi.
Eravamo in grossa difficoltà con questo paziente per il fatto che non eravamo capaci di evocare alcuna reazione emotiva. I suoni che emetteva mi ricordavano vivamente quelli di vecchi ebrei presso il muro del pianto, ma quando glielo facevo notare, ciò non causava nessun sentimento od associazione. Allo scopo di smuovere quella specie di maschera dal suo viso, gli feci pressione sulle guance ai lati del naso, mentre su mia indicazione spalancava gli occhi. Ciò rese evidente una marcata espressione di paura, ma al contempo egli non sentiva paura. In risposta a tutte le mie manovre ribatteva costantemente: “Non sento niente”.
Egli descrisse la sua infanzia come segue: era il minore di tre figli, le maggiori erano due femmine. Per quanto ricordava, sua madre e suo padre non stavano molto bene insieme. La madre strillava contro il padre, divenendo spesso completamente isterica. Suo padre era solito arrabbiarsi violentemente, spaccando ogni tanto le cose, ed occasionalmente picchiando una delle ragazze. Il mio paziente assisteva a questi fatti ma si sentiva privo di potere per intervenire. Non rammentava che il padre l’avesse picchiato. Quando argomentava riguardo il suo passato, il mio paziente parlava in maniera logica e chiara, ma senza alcuna reazione emotiva verso gli eventi da lui descritti.
Potremmo interpretare la sua mancanza di sentimenti, ipotizzando che egli avesse escluso dalla propria percezione quello che avveniva nel corpo. Egli fece questo dissociando quanto accadeva nella testa, vale a dire la funzione di percezione, dalla sua esperienza corporea. Questo era in relazione all’apparente mancanza di connessione tra il corpo e la testa. Non importava quanto il corpo venisse sovraccaricato attraverso la respirazione ed il movimento, ciò non aveva nessun effetto sulla testa. Discutendo questo caso, Miki ed io arrivammo alla conclusione che una tale situazione poteva essere solamente prodotta da un’esperienza di orrore.
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Orrore è un termine nuovo in bioenergetica. Esso non compare nella gamma di emozioni che ho presentato nel mio libro: Il Piacere. D’altra parte, il terrore, che spesso è usato come sinonimo di orrore, ricorre spesso nei miei scritti, come la punta estrema della paura. Leggendo Il Tradimento del Corpo, si vedrà che la personalità schizoide si sviluppa come reazione al terrore, non all’orrore. Qual’è la differenza tra i due ?
Il dizionario può darci una mano. Dice: Terrore implica un’intensa paura la quale è piuttosto prolungata e può riferirsi a pericoli immaginati o futuri. L’orrore implica un senso di choc di fronte ad un pericolo che è pure raccapricciante, ed è possibile che il pericolo minacci altri piuttosto che se stessi. Ci sono due importanti differenze.
Il terrore è in relazione alla paura, la quale è una reazione emotiva; nell’orrore tale connessione non è presente. Secondo, nel terrore il pericolo è diretto verso se stessi; nell’orrore il pericolo è diretto verso gli altri.
Tali differenze possono essere illustrate con pochi e semplici esempi. Se assistessimo ad un incidente automobilistico nel quale una o più persone restassero gravemente ferite, descriveremmo l’esperienza come orribile.
Tuttavia se una persona viene coinvolta in un simile incidente, la sensazione immediatamente precedente allo scontro sarebbe di terrore. Si rimane inorriditi a causa di un brutale attacco diretto ad altri, ma si è terrorizzati se l’attacco è indirizzato a noi stessi. Quindi i combattenti in una guerra parleranno del loro terrore, mentre i non combattenti riferiranno del loro orrore.
Se il terrore è un’intensa paura, l’orrore non ha tale componente.
La testimonianza ad un qualcosa di orribile non è necessariamente spaventosa. Si potrebbe anche essere impauriti temendo un qualche attacco personale, nel qual caso si sperimenterebbe un certo grado di terrore, ma questo è un elemento aggiuntivo. L’essenza dell’orrore è “il senso di choc“, sebbene non ritenga il termine molto esatto. Il terrore sfocia in un reale stato di choc. L’organismo, con il terrore, è paralizzato, come se fosse congelato. Il corpo si paralizza per sottrarre l’organismo al dolore dell’attacco. Questo è quanto accade quando un predatore assale ed uccide la sua preda. La mente, tuttavia, rimane vigile fino a quando non si perde coscienza. In uno stato di orrore il corpo è relativamente insensibile, poiché l’attacco non è diretto contro se stessi. L’effetto dell’orrore è principalmente sulla mente, la quale non è scioccata ma intontita.
L’orrore stordisce la mente. Esso paralizza le funzioni mentali, così come il terrore paralizza quelle fisiche. Una persona può distanziarsi da una scena di orrore apparentemente inalterata a livello fisico, ma incapace di pensare a nient’altro se non all’orrore stesso all’infinito.
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Questo fa sorgere un’altra domanda. Perché l’orrore stordisce la mente? Che cosa relativamente all’orrore, provoca tale effetto? Penso che l’elemento essenziale sia che l’orrore è incredibile. Non tutti gli eventi incredibili costituiscono un’esperienza di orrore, ma ciascuna esperienza di orrore è incredibile. La mente non è in grado di comprendere la logica od il significato dell’evento. Non trova un senso. Non è possibile che accada.
Presenterò un altro esempio di orrore per chiarire questo aspetto. A New York, una madre che passeggiava con il suo bambino di sei anni, fu assalita e brutalmente picchiata. Il bambino assistette con orrore. Egli non venne ferito. Nella sua mente, secondo quanto suppongo, egli riusciva solo a pensare: “No. E’ impossibile. Non è possibile che accada ciò. Perché? Non lo capisco…”
L’orrore non è la sola reazione verso un evento incomprensibile. Un’altra reazione è il timore. Un evento o una situazione che la mente non è in grado di accogliere (comprendere), sarà visto con orrore o timore, a seconda che quell’evento, per l’osservatore, abbia una connotazione negativa o positiva. L’osservare piani di volo aereo miranti a bombardare una città nemica, può incutere un riverente timore.
Per gli abitanti di quella città, tuttavia, la distruzione sarebbe orribile.
L’effetto dell’orrore sulla personalità
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Torniamo ora al paziente che ho descritto in precedenza. Vivere costantemente con una madre isterica ed un padre violento era un incubo. Questo era particolarmente vero, in quanto il mio paziente sentiva che i suoi genitori si prendevano cura uno dell’altra. Come per ogni incubo, tutto quello che si può fare è di dimenticarlo. In realtà un individuo non dimentica un incubo, lo fa svanire come se appartenesse ad un altro mondo. Si dissocia da esso. Questo è quanto fece il mio paziente. Egli si dissociò dal suo passato e da tutti i sentimenti e le emozioni che erano parte di esso. Egli si estraniò da qualsiasi desiderio di stare accanto all’uno od all’altro genitore, dai sentimenti di tristezza, rabbia, paura. Tale esclusione era così reale che era piuttosto impossibile suscitare quei sentimenti. Potrei aggiungere che essi finalmente emersero allorquando suo padre morì per un cancro. Affrontata questa tragedia la famiglia rinsavì.
Quando si affronta l’orrore c’è una tendenza a rifiutare di credere alle proprie sensazioni. Se questa tendenza si struttura nella personalità, si genera una scissione tra quello che si pensa e quello che si sente come esperienza corporea. La persona non ha fiducia nei propri sensi. Agisce solamente sulla base della logica mentale. Si comporta come se avesse dei sentimenti, che egli porta ad un profondo livello corporeo, ma non esiste un’immediata connessione tra il comportamento ed il sentimento.
I lamenti che il mio paziente emetteva, erano come quelli degli ebrei al muro del pianto, un’espressione degli orrori che aveva provato. Ma mentre gli ebrei sentivano gli orrori ai quali la loro gente era sopravvissuta, il mio paziente aveva escluso tale sentire.
Le persone che sono passate attraverso tali esperienze hanno una qualità irreale nella loro personalità. Si percepisce in loro questa qualità, nel momento in cui parlano relativamente ad un passato che fa rabbrividire l’ascoltatore, ma che è raccontato con una voce calma e distaccata. La sola importante alterazione corporea è spesso una discrepanza tra l’espressione della testa e quella del resto del corpo. La testa ed il corpo non sono in armonia. In queste persone c’è un’altra importante caratteristica che non è facile individuare. I loro occhi non sono mai in contatto con voi. Non hanno lo sguardo vuoto od assente di un individuo schizoide o schizofrenico. Essi escludono il sentire, piuttosto che ritirarsi in se stessi.
Discuterò tale aspetto del problema di nuovo.
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A questo punto è importante domandarsi quanto sia comune tale problema.
Che genere di orrori abbiano sperimentato i pazienti da bambini. Mi si consenta di affermare che esso è molto più comune di quanto potremmo supporre. Ecco alcuni esempi.
Un altro giovane, che non riusciva a mettersi in contatto con i propri sentimenti, mi raccontò che sua madre era una cristiana seguace dello Scientismo e che da tempo era diventata una leader in questo movimento. Durante l’infanzia del paziente, la madre era una devota credente. In tal modo ella rispondeva a tutti i sentimenti, angosce, malattie del bambino, con la convinzione che bastasse credere in Cristo ed ogni cosa sarebbe andata bene. In lei però c’era durezza ed insensibilità. Ella non solo allontanò il ragazzo dal padre, ma non gli diede alcun calore. Per il bambino l’orrore della situazione poggiava su questa mancanza di sensibilità e calore, sulla quasi completa assenza di sentimento umano nella madre. Agli occhi del bambino era inumana e perciò mostruosa. Per questo paziente vivere sotto il suo controllo, il suo dominio e la sua volontà, dovette proprio essere stato un incubo.
Ho ascoltato una storia simile da un altro uomo, egli stesso psicologo. Suo padre se ne era andato quando lui aveva tre anni. Sua madre divenne una fanatica religiosa ed ignorò completamente il bambino. Aveva dei fratelli più grandi, ma questo bambino si sentiva come un estraneo. Egli aveva paura di sua madre e passò parecchi anni in solitaria disperazione. Qui, di nuovo, l’orrore consisteva nell’assenza di calore e sentimento umano verso un bambino che ne aveva bisogno e si aspettava questo genere di risposta. Quando vidi quest’uomo, aveva un’espressione beata sul suo viso ma nessun sentimento. In entrambi questi casi era presente la marcata discrepanza tra la testa ed il corpo.
Recentemente ho ascoltato una ragazza descrivere il suo passato come uno di orrore. Suo padre era un ambizioso dirigente di una delle più grandi società per azioni, completamente immerso nel lavoro. In casa era freddo e distaccato. Quando la ragazza era piccola sua madre aveva avuto un esaurimento nervoso. Era stata ricoverata in ospedale. Quando tornò a casa, venne trattata come un’invalida e la bambina dovette prendersi cura di lei. La madre ebbe una serie di episodi psicotici, dei quali la paziente fu testimone. Ancora una volta l’orrore risiede nell’assenza di contatto umano tra i membri della famiglia. Fui sorpreso dal fatto che la ragazza riconoscesse la qualità della sua situazione ma, tuttavia, avesse una personalità schizoide e non una personalità come se. Non aveva escluso l’orrore per sopravvivere.
In un altro caso la madre di questa paziente era un alcolizzata il cui padre trattava con evidente disprezzo ed ostilità. Allo stesso tempo egli non faceva alcun tentativo per farla smettere di bere. In questa situazione era pure coinvolto, in qualche modo, il sesso. Ho il sospetto che il bere della madre fosse per lui l’occasione per concedersi relazioni sessuali extraconiugali. Questo divenne il modello di comportamento della mia paziente che si identificò con la madre. Tuttavia la paziente non era consapevole dell’orrore in una casa dove il rispetto di sé e delle altre persone era in maniera evidente assente.
Ho ascoltato molte altre storie d’orrore dai miei pazienti. Una giovane donna raccontò di aver visto sua nonna puntarsi una pistola alla testa e minacciare di farsi saltare le cervella, se suo marito non avesse smesso di bere. Qualsiasi grave minaccia di suicidio da parte di un genitore rappresenta sempre un’esperienza di orrore per il bambino. Forse ancora più orribile è l’esperienza di vivere con una persona morente. La morte è un orrore per tutti i bambini piccoli.
Simili casi circoscritti di orrore sono meno dannosi per la personalità di quanto non lo sia una situazione di orrore continuo, caratterizzata dall’assenza di calore e sentimento umano, in una relazione in cui tali buoni sentimenti sarebbero naturali e normali. La qualità inumana di un simile rapporto interpersonale è al di là della capacità di comprensione di un bambino. Tale qualità crea un’atmosfera di irrealtà. In una simile atmosfera il bambino agisce come se fosse in un sogno, dal quale spera un giorno di svegliarsi. Quando crescerà ed uscirà dalla situazione, la sua mente considererà l’intera esperienza come un sogno – come se non fosse realmente accaduta.
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È difficile emozionarsi per qualcosa che “non è realmente accaduto”, questo spiega il motivo per cui è altrettanto arduo far emergere, durante la terapia, qualsiasi risposta emotiva in questi pazienti. Tuttavia gli effetti di tale genere d’esperienza sono ancor più insidiosi.
Quando la realtà si tinge di un’atmosfera d’irrealtà, la mente si protegge dalla confusione diffidando delle sensazioni e dei sentimenti. Nega la loro validità ed opera solo sulla base della logica e della razionalità. In verità, la logica e la razionalità presuppongono l’esistenza del sentimento, ma il comportamento non proviene direttamente dal sentimento. La persona agisce come se avesse dei sentimenti, ma quegli stessi sentimenti non sono evidenti nelle azioni. In queste persone è presente una qualità inumana o irreale ed esse, inevitabilmente, divengono dei “mostri” agli occhi di coloro i quali hanno bisogno e diritto di aspettarsi da loro una risposta emozionale. La disumanità, che da bambini ha provocato in loro orrore, genera in questi ancora disumanità la quale si trasforma in orrore per la generazione successiva.
Il trattamento di questo problema
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Generalmente, il disturbo presente in persone che sono passate attraverso il genere di esperienze descritte precedentemente, è la depressione. Esse cadono in depressione nel momento in cui crolla l’illusione di poter rimanere al di sopra dell’orrore delle proprie vite. Sfortunatamente esse non sono consapevoli dell’illusione o dell’orrore delle loro vite. Ciò rende il trattamento piuttosto difficile. Abbiamo inoltre osservato come qualsiasi tentativo di raggiungere i loro sentimenti sia fortemente respinto.
D’altro canto essi sono consapevoli che c’è qualcosa che non va e che sono depressi. Hanno bisogno del nostro aiuto e ce lo domandano. Ma come possiamo riuscire ad entrare in contatto con loro? Se l’approccio terapeutico è psicologico, essi impiegano la logica e la razionalità per bloccare una comprensione del loro problema. Se l’approccio è di tipo fisico, vale a dire lavoro corporeo, compiono i movimenti come se provassero sentimenti; e quindi negano qualsiasi sentimento o significato all’esperienza corporea. Comunque, poiché non sono disponibili altri approcci, il terapeuta deve impiegare entrambi questi approcci nel miglior modo possibile, tenendo in mente le difese in cui si imbatterà.
In realtà nessuna terapia dipende dal tipo di approccio al problema. In ogni terapia l’agente importante è il terapeuta, la capacità di comprensione che egli possiede del problema, la sua sensibilità ed il suo calore come essere umano. Tali fattori sono decisivi nel trattamento di questo problema. Il senso d’irrealtà del paziente è posto dinanzi alla realtà del sentimento umano del terapeuta e tale confronto può mettere in movimento le forze vitali presenti nel paziente.
Secondo il mio parere, il terapeuta deve rispondere alla difficile situazione del paziente con due tipi di emozioni. La prima è la solidarietà verso il dilemma del paziente, associata ad un sincero desiderio di portare aiuto. La seconda è la rabbia verso il paziente per la sua negazione del sentimento e per la sua mancanza di calore umano. La rabbia non può essere simulata, essa deve nascere in maniera spontanea. Non dovrebbe essere usata come stratagemma terapeutico; essa deve rappresentare una genuina risposta alla mostruosità del comportamento insensibile in una situazione che è potenzialmente adatta all’espressione delle emozioni. In questo caso la rabbia è la sincera espressione del terapeuta come reale essere umano, cioè un individuo che ha un sentimento vitale.
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Lo specifico blocco fisico in questo tipo di personalità risiede negli occhi. Un’espressione popolare afferma: “Vedere significa credere”. È vero pure l’opposto. Se un individuo non vede, non ha bisogno di credere. Si può evitare di vedere per non lasciare che gli occhi colgano un’espressione ed un significato. Gli occhi sono utilizzati in maniera meccanica come lenti di una telecamera. Seguono l’immagine per registrarla, ma la spogliano di qualsiasi significato emozionale. In origine ciò veniva fatto durante l’infanzia per proteggersi dalla vista dell’orrore della propria situazione. Una volta insediatosi, comunque, il blocco diviene generalizzato. Quando una persona non riesce a vedere l’orrore, di conseguenza non è in grado di vedere nemmeno la bellezza, la tristezza, la rabbia, la paura o l’amore. E, certamente, egli non può permettere a questi sentimenti di rivelarsi attraverso i suoi occhi.
Quindi è indispensabile per il terapeuta stabilire un contatto oculare con il paziente. Questo non è questo il contesto per descrivere le varie procedure e tecniche adatte a raggiungere un tale obbiettivo, ma è importante sapere che schiudendo la vista del paziente verso l’esterno, gli si rivela la sua visione interiore. Per tale personalità questo è, forse, il modo più adeguato per prendere coscienza. Posso aggiungere che per schiudere la vista del paziente verso l’esterno, devo fare in modo che egli guardi verso i miei occhi e provi ad accogliere la loro espressione.
Il blocco negli occhi è in relazione con la dissociazione della testa dal tronco.

Le tensioni alla base del cranio e nella parte posteriore della testa, servono entrambe per dissociare la testa dal resto del corpo e per bloccare il flusso di energia verso gli occhi. È stato fatto un lavoro sperimentale considerevole su queste tensioni allo scopo di ristabilire il flusso energetico dal corpo entro gli occhi ed i centri percettivi della parte frontale del cervello. Allo stesso tempo è stato compiuto un consistente lavoro teorico riguardo tutti gli aspetti della terapia sia a livello analitico che fisico.

L’orrore culturale

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L’orrore che si riscontra nelle famiglie è un riflesso di un più esteso, analogo orrore presente nella società. Per comprendere questa affermazione bisogna tenere presente che l’orrore è direttamente proporzionale alla mancanza di sentimento umano nelle relazioni interpersonali. Questo aspetto dell’orrore è più importante della violenza dilagante nelle nostre città. È più importante perché riguarda chiunque e dà origine alla violenza. Quest’ultima almeno è reale per colui che compie la violenza. Può darsi che essa rappresenti la sua unica modalità per spezzare l’incantesimo dell’irrealtà che attanaglia una metropoli come New York.
Sono nato e cresciuto a New York, di conseguenza la città mi è familiare. Tuttavia a quei tempi essa non aveva il carattere impersonale che possiede oggi. Vivevo in un quartiere dove ci si conosceva tutti personalmente. Grazie alla semplicità dei rapporti eravamo intimi amici del minuto negoziante che ci serviva. Un controllore incassava i nichelini ad ogni fermata. Chiunque poteva dirgli “Buon giorno”.
Un gelataio consegnava gelati ogni giorno. Non avevamo molte possibilità, ma avevamo molti contatti umani. Ed avevamo tempo. Ricordo una tempesta di neve che bloccò per quattro giorni tutti gli affari, in città. Nessuno se ne lagnò. Ci godevamo la neve. Oggi giorno, se questo accadesse per un solo giorno, sarebbe una calamità. La macchina degli affari deve essere tenuta in movimento continuo e il sentimento umano non conta.
Camminando oggi nella stessa città, non la riconosco più. L’alluminio e i grattacieli di vetro possiedono, ai miei occhi, una qualità irreale. I rifiuti e la sporcizia danno la sensazione che la città si stia deteriorando, ed in effetti è proprio così. Il ritmo frenetico, l’incessante attività, il traffico posseggono una qualità d’incubo. La gente si sente isolata. Vivono in dormitori, parlando raramente tra loro. Nessuno si fida dell’altro. Ciascun individuo vive in mondo proprio, come fa la gente ricoverata in un manicomio.
Ma non è solamente l’aspetto impersonale ad essere orribile; è la perdita di valori umani. L’unico valore che conta, a New York, è il denaro. Quanto denaro realizzi e quanto ne spendi? Non è la povertà ad essere disumana, sono la sozzura e l’indifferenza. È la distruzione della dignità personale. Sono la volgarità, la pornografia, l’oscenità. Ma ciò non interessa a nessuno, perché occuparsene è futile.
Esiste qualche incantesimo per cui l’orrore che è fuori riesce a penetrare anche nelle case? Non possediamo alcuna modalità per tenerlo fuori. Radio e televisione introducono le loro brutture all’interno delle nostre stanze private. E non vediamo l’orrore di questo, perché se lo vedessimo, andremmo immediatamente fuori di senno. Ma siamo storditi e lo dimostrano i volti inespressivi, la mancanza di canti e di risate, il movimento da robot, come se non avessimo sentimenti.
Non c’è molto di meglio fuori dalla città, come ben sanno coloro che vivono alla periferia. Il traffico non si ferma mai, i negozi che rimangono aperti 24 ore su 24,ed interminabili aggeggi che promettono di migliorare la vita, ma che invece ci costringono a vivere come dettagli senza valore. Non penso che vi sia alcun automobilista che negherebbe il fatto che guidare in città o in autostrada sia un incubo.
Eppure noi dobbiamo agire come se questo fosse reale, come se tutto ciò rappresentasse il significato della vita. Oh, sì, è reale, così come è reale qualsiasi orrore, ma è una realtà che è incongruente con la natura umana. Se accettiamo tale realtà, dobbiamo negare la realtà del corpo ed i suoi sentimenti. Questo è quanto avevano fatto i miei pazienti ed erano turbati. Se neghiamo la realtà di questo tipo di vita, il nostro equilibrio mentale diviene discutibile. Siamo in trappola, ed anche questo, per lo spirito umano, rappresenta un genere d’orrore.
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Come se non bastasse, c’è l’orrore delle droghe. Per qualsiasi ragione la gente fa uso di droghe, ed alcuni la impiegano per sfuggire all’orrore delle loro vite, ma la droga crea un orrore peggiore di quello da cui stanno tentando di sottrarsi. Il drogato diviene un essere inumano. Egli perde quei sentimenti che noi identifichiamo come umani. Egli sembra irreale. Sono sicuro che egli non percepisca l’orrore della sua condizione, poiché la droga lo rende cieco, tuttavia aumenta l’orrore intorno a noi.
In realtà l’orrore inizia al momento in cui nasciamo in un moderno ospedale. Se avete visto una moderna sala parto, potete realizzare quanto in sommo grado rassomigli alla camera dell’orrore di uno scienziato pazzo, così come abbiamo visto al cinema. Nella sala parto non esiste una finestra, per paura che, se fosse lasciata aperta, il nuovo nato potrebbe essere contaminato da un soffio d’aria fresca.
Il tavolo da parto, il tipo d’illuminazione e gli strumenti potrebbero essere usati in una stanza delle torture. Come medico, ho trascorso la mia parte di tempo in una sala da parto e perciò so di cosa sto parlando.
L’effetto dell’orrore è di rendere inumana una persona nel momento in cui vi è stata esposta per molto tempo. E una volta che ha perso la sua umanità, non riesce più a vedere l’orrore. Impara a vivere in esso come se fosse reale e significativo. Non è in grado di fare ciò con sentimento, ma soltanto con il suo intelletto. E di conseguenza impara a vivere nella sua testa. Non si ritira in sé come uno schizofrenico che vive in un mondo di fantasia. Diviene un computer che si occupa dei numeri come se i numeri fossero la vera essenza, mentre tratta il sangue, la carne ed i sentimenti, come se fossero oggetti privi di significato da manipolare nella partita del monopoli a cui tutti noi giochiamo.
La mente è affascinata dall’orrore perché esso rappresenta l’incomprensibile. Come tale si beffa della logica e dell’ordine dei nostri pensieri. Sfida la superbia della mente umana che deve spiegare e ricondurre tutte le forze a proporzioni umane. Poiché eliminiamo i misteri, non rimane nulla di cui avere timore. Facciamo lo stesso con l’orrore. Applichiamo una legge di causa ed effetto che privi l’orrore della sua forza d’impatto sui nostri sensi, e così alla fine non riusciamo più a vedere alcun orrore.
Mi sono spesso domandato per quale motivo i bambini siano affascinati dai film dell’orrore. Suppongo lo siano pure gli adulti. Ho pensato che ciò rappresenti il loro bisogno di sconfiggere il senso dell’orrore quanto basta per essere in grado di agire in un mondo che ne contiene molto.

Tuttavia l’introduzione dell’orrore attraverso i film non ci aiuta a fronteggiare l’orrore. Al contrario, ci impedisce di vederlo, facendoci supporre che esso sia una parte naturale della vita. Impariamo ad accettare l’orrore, non a respingerlo. In questo modo ne diveniamo vittime.

Riferimenti

Lowen A. Il Piacere, Roma, Astrolabio, 1984.

Lowen A. Il tradimento del corpo, Roma, Mediterranee, 1982.

Traduzione di Andrea Monteduro, a cura di Luciano Marchino e Marta Pozzi.

Tratto da www.biosofia.it
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