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Tag: Bioenergetica

Bioenergetica

Una delle opere più importanti del grande studioso e terapista delle dinamiche psicocorporee che con la teoria e la pratica bioenergetiche ha riscosso un enorme successo nel mondo.

“La bioenergetica è una tecnica terapeutica che si propone di aiutare l’individuo a tornare a essere con il proprio corpo. Questo risalto dato al corpo comprende la sessualità, che ne è una delle funzioni fondamentali. Ma comprende anche funzioni ancor più basilari come quelle di respirare, muoversi, sentire ed esprimere se stessi. Una persona che non respira a fondo riduce la vita del corpo. Se non si muove liberamente, limita la vita del corpo. E se reprime la propria autoespressione, limita la vita del corpo”. Con queste parole Alexander Lowen definisce i criteri e gli scopi della sua disciplina terapeutica. Così, se il processo di crescita per qualche verso si blocca, la bioenergetica può diventare “l’avventura della scoperta di se stessi” che permette all’individuo di appropriarsi del suo corpo, di risolvere quei sintomi psicosomatici che potrebbero affliggergli l’esistenza e di godere la vita con pienezza. Una delle opere più importanti del grande studioso e terapista delle dinamiche psicocorporee che con la teoria e la pratica bioenergetiche ha riscosso un enorme successo nel mondo.

La fede nella vita di Alexander Lowen

Quello che segue è un breve estratto dal libro di Alexander Lowen “La depressione e il corpo” nel quale l’autore tratta “la base biologica della fede e della realtà”. E’ significativo rilevare come tale scritto sia basato sull’osservazione di casi clinici di depressione e come in tutto il testo venga evidenziata la corrispondenza tra depressione psichica e depressione della funzione respiratoria.
Alla risoluzione dello stato depressivo corrisponde Puntualmente un evidente ampliamento della respirazione, il ritorno della fiducia smarrita sulla soglia della depressione e il ritrovamento di una dimensione spirituale nuova e rivitalizzante. “La depressione e il corpo” è pubblicato dall’editore Astrolabio al quale va il nostro sentito ringraziamento.
“Il sentimento è la vita interna, l’espressione la vita esterna. Se la questione viene posta in questi semplici termini è facile vedere come una vita completa richieda una vita interiore fiorente (ricca di sentimento) e una vita esteriore libera (libertà di espressione). Nessuna delle due cose da sola può soddisfare pienamente. Prendiamo ad esempio l’amore. I1 sentimento dell’amore è un sentimento ricco, ma l’espressione dell’amore in parole o in atti è una gioia immensa.
Vi è una grande differenza tra la spiritualità dell’uomo apportatore di umano calore, di comprensione e di simpatia per il prossimo e la spiritualità dell’asceta che vive nel deserto o si confina in una cella. Una spiritualità che ha divorziato dal corpo diventa un’astrazione e un corpo cui è stata negata la spiritualità diventa un oggetto.
Quando parliamo di spiritualità e di vita interiore, non stiamo forse parlando del sentimento dell’amore che unisce l’uomo all’uomo, ad ogni forma di vita, all’universo e a Dio? Eppure molti non vedono il problema in questi termini. Sono disposti a considerare l’amore per Dio un sentimento spirituale mentre ritengono che l’amore per la donna sia un sentimento carnale. Nel primo caso il sentimento d’amore è astratto dall’oggetto, nel secondo caso è posto in relazione diretta con l’oggetto. Un amore astratto può essere amore puro perché non è contaminato da alcun desiderio carnale, ma come un’idea pura che non ha carica emotiva, non ha alcuna importanza nei confronti della vita. Quando l’amore in Dio non viene manifestato anche nell’amore per il prossimo, ivi incluso il sesso opposto, e per tutte le creature viventi, non è vero amore. E quando l’amore non viene espresso in azioni e comportamenti, non è vero amore ma un’immagine dell’amore. L’astrazione ha con la realtà il medesimo rapporto dell’immagine speculare con l’oggetto che si trova di fronte allo specchio. Sembrano simili ma non lo sono certamente al tatto.
Queste considerazioni ci obbligano a dare uno sguardo ai problemi in modo dialettico e in termini di energia. Ogni impulso può essere considerato come un’onda di eccitazione che comincia in un centro dell’organismo e scorre lungo un percorso determinato, che rappresenta la mira, verso un oggetto del mondo esterno che rappresenta il traguardo. Ma è anche vero che ogni impulso è una espressione dello spirito umano, perché è lo spirito che ci muove. Esso, tuttavia, non ci muove in una sola direzione. Gli impulsi fluiscono verso l’alto in direzione della testa e anche verso il basso in direzione della parte terminale o coda. Quando la corrente di sensazioni va in direzione della testa, il sentimento ha un carattere spirituale. Ci sentiamo sollevati ed eccitati. La corrente verso il basso ha un carattere sensuale o carnale, perché questa direzione porta la carica nel ventre e verso terra, facendosi sentire rilassati, radicati e con un senso di liberazione. La vita umana pulsa tra i suoi due poli, uno collocato all’estremità superiore del corpo o testa e l’altro all’estremità inferiore o coda. Possiamo assimilare il movimento verso l’alto al protendersi verso il cielo, e il movimento verso il basso allo scavare nella terra. Possiamo paragonare l’estremità superiore o testa con i rami e le foglie di un albero, e l’estremità inferiore o coda con le radici.
Poiché il movimento verso l’alto va in direzione della luce e quello verso il basso in direzione dell’oscurità, possiamo mettere la testa in relazione con la coscienza e la coda o la parte terminale con l’inconscio. La pulsazione e la relazione esistente tra i poli possono essere mostrate schematicamente in termini di corpo ovvero dialetticamente. Nel corpo queste due direttrici del flusso si trovano nel movimento della corrente sanguigna, che dopo aver lasciato il cuore scorre verso l’alto attraverso l’aorta e verso il basso attraverso l’aorta discendente. Normalmente la corrente di sangue nelle due direzioni è equilibrata, ma una direzione o l’altra possono predominare in certe situazioni. Conosciamo bene il fenomeno per cui il sangue va alla testa quando ci si arrabbia e il vigoroso afflusso verso il basso nell’eccitazione genitale. Sappiamo che, se un’eccessiva quantità di sangue lascia la testa, si provoca una perdita di coscienza. **Le figure 1 e 2 mostrano alcune di queste relazioni.
Se possiamo concepire il corpo come diviso nella sezione mediana da un anello di tensione nell’area diaframmatica, i due poli diverranno due campi anziché essere i due poli di un’unica pulsazione che si muove in entrambe le direzioni simultaneamente o i punti terminali di un’oscillazione che si muove tra di essi.
Ora, è un fatto che una certa misura di tensione diaframmatica esiste nella maggior parte delle persone. L’ho messo in evidenza precedente in relazione alla perdita di sensazioni e sentimenti nel ventre o hara, dovuta alla costrizione della respirazione addominale profonda. E’ anche vero che un certo grado di “scissione” è presente nella maggioranza delle persone nella società occidentale. L’effetto di questa scissione o dissociazione delle due metà del corpo è la perdita della percezione dell’unità. Le due direzioni opposte del flusso di corrente diventano due forze antagoniste. La sessualità verrà in tal caso avvertita come un pericolo nei confronti della spiritualità così come la spiritualità verrà considerata come una sorta di negazione del piacere sessuale. Alla stessa stregua, tutte le altre coppie antitetiche di funzioni sono viste in conflitto anziché in armonia tra loro. **La logica di questa analisi si fa chiara se diamo di nuovo un’occhiata ai due diagrammi introducendo un blocco per mostrare dove si verifica l’interruzione della corrente di eccitazione. Le figure 3 e 4 mostrano tali relazioni.
Ho da molti anni nel mio ufficio un cartellone che raffigura la corrente del sentire nel corpo. Un lato mostra i tipi di sentimenti che si hanno nei diversi segmenti del corpo quando la corrente di eccitazione che parte dal cuore è piena e si libera. I1 diagramma è schematico, ma è il massimo cui io possa giungere nella localizzazione di questi sentimenti. Allorché non vi sono blocchi che interrompono il flusso, i sentimenti sono di segno o di carattere positivo. Dall’altro lato del cartellone vi sono i sentimenti che si formano quando la corrente è bloccata da tensioni muscolari croniche. Non solo si interrompe il flusso, ma tra un segmento e l’altro vi è una stagnazione dell’eccitazione che dà luogo a sentimenti cattivi di segno negativo. **Per comodità e chiarezza ho mostrato questa differenza su due tabelle separate. Le linee rivolte in dentro su se stesse indicano dei moduli di trattenimento e di ristagno. Si vedano le tabelle 1 e 2.
I1 sentimento della fede è il sentimento della vita che scorre nel corpo da un capo all’altro, dal centro alla periferia e viceversa. Allorché non vi sono blocchi o costrizioni a disturbare e alterare il flusso, l’individuo si sente come una unità e come una continuità. I diversi aspetti della sua seconda personalità sono integrati, non dissociati. Non è una persona spirituale in opposizione ad una persona sessuale, e nemmeno è sessuale il sabato sera e spirituale la domenica mattina. Non parla di due linguaggi diversi. La sua sessualità e un’espressione della sua spiritualità perché è un atto d’amore. La sua spiritualità ha un sapore terreno; è lo spirito della vita che egli rispetta nel modo in cui si manifesta in tutte le creature terrestri.
Non è un essere in cui la mente domina il corpo né è un corpo senza mente. E’ una persona che pone mente al proprio corpo.
E’ altrettanto importante, però, il suo senso di continuità. Deriva dal passato, esiste nel presente ma appartiene al futuro. Quest’ultimo pensiero può sembrare strano a coloro che seguono l’attuale modo di pensare secondo cui conta soltanto il momento contingente. Ma mi è venuto dall’idea che la vita è un processo continuo, un dischiudersi continuo di possibilità e potenzialità che sono nascoste nel presente. Senza un po’ di speranza nel futuro e di coinvolgimento nell’avvenire la vita di una persona giungerebbe a un punto morto, come accade alle persone depresse.
Biologicamente, ogni organismo è legato al futuro per mezzo delle cellule germinali che reca nel suo corpo.
Il senso di continuità è anche orizzontale.
Siamo collegati energicamente e metabolicamente con tutte le cose presenti sulla terra, dai lombrichi che smuovono il terreno arieggiando agli animali che ci provvedono del cibo quotidiano. n fatto di sentire questo senso di connessione e di agire in armonia con esso è il segno dell’uomo di fede, dell’uomo che “ha fede nella vita”. La sua fede è forte quanto la sua vita perché è l’espressione della forza vitale che vi è nella persona.
Coloro che hanno una fede autentica si distinguono per una qualità che noi tutti riconosciamo.
Ed è la grazia. Una persona che ha fede e aggraziata nei suoi movimenti perché la sua forza vitale scorre con naturalezza e liberamente attraverso il corpo. E’ aggraziata nelle maniere perché non resta appesa al proprio ego e al proprio intelletto, alla propria posizione o al proprio potere. E’ un tutt’uno con il corpo e, attraverso il corpo, con la vita intera e con l’universo.
Il suo spirito è illuminato e risplende della fiamma intensa della vita che c’è in lei. Ha un posto nel proprio cuore per ogn1 bambino, poiché questi rappresenta per lei il futuro;

Ed ha rispetto per “gli anziani” perché sono la sorgente della sua esistenza e il fondamento della sua saggezza.

A cura di Luciano Marchino

La Bioenergetica di Alexander Lowen

Rara registrazione tratta dalla Conferenza dell’istituto di Analisi Bioenergetica a Pawling, NY, nella primavera del 1998, in cui il Dott. A. Lowen presenta i principi fondamentali e gli esercizi di bioenergetica.

Video di proprietà della Lowen Foundation (www.lowenfoundation.org)
Traduzione a cura di Bioenergetica Italia (www.bioenergeticaitalia.org)

Le classi di esercizi bioenergetici di Giulio Santoro

La classe di esercizi bioenergetici (EB) è costituita da un gruppo di partecipanti di numero compreso tra i 4 e i 20, condotta da un terapeuta o conduttore, in un ambiente tranquillo e in cui ci sia la possibilità di muoversi con il corpo e di poter usare la voce.

I tempi variano dai 45 ai 90 minuti per classe. Il gruppo è guidato dal conduttore nella realizzazione di esercizi.
Gli esercizi bioenergetici possono essere praticati da tutti, non solo dalle persone sane, che possono vivere le classi EB come un’occasione di crescita personale e aumento della propria consapevolezza, ma anche da persone che soffrono di malattie del corpo di origine psichica e malattie nevrotiche quali per esempio l’ansia.

Gli esercizi bioenergetici, permettendo un contatto maggiore e più profondo con se stessi e con la propria sensibilità psico-fisica, può condurre la persona a sperimentare emozioni, sensazioni e sentimenti mai provati fino a quel momento.

Chiaramente, la parola “esercizi”, in questo contesto ha un significato diverso rispetto a quello che possiamo attribuirgli normalmente, in quanto, l’esercizio in sé può diventare, nel contesto della classe, una tecnica terapeutica efficace.

Anche l’uso stesso della parola ‘esercizio’ può portare a creare qualche forma di confusione. Un esercizio all’interno di una classe può così rappresentare una tecnica terapeutica all’interno di un contesto diverso come può essere l’analisi bioenergetica. E’ importante quindi che il conduttore di classi di EB sia in grado di mantenere l’obiettivo principale dell’intervento evitando di trasformare la classe in una seduta terapeutica.

La classe EB, quindi, non va confusa con la terapia di gruppo. Per quanto possano emergere certe valenze terapeutiche, la classe non può sostituire la terapia.

La classe EB lavora sul fronte evolutivo, attraverso lo sviluppo della personalità e può essere attuata in parallelo o alla fine di un analisi personale. Ad ogni modo, anche se la classe EB non mira a sostituirsi alla terapia, la frequenza e la regolarità dell’esecuzione può aiutare in modo notevole le persone a stabilire un contatto maggiore con il proprio corpo, la sensazione di sentirsi vivi e vitali e la capacità di provare
piacere.

E’ esperienza fondamentale durante il lavoro nella classe EB che la persona si sperimenti come corpo e faccia l’esperienza di sentire e sperimentare il proprio corpo. Inoltre, la persona, entrando in maggiore contatto con il proprio corpo, avrà modo di sentire le emozioni direttamente come sensazioni corporee: la paura, la disperazione o la rabbia sono emozioni che hanno un loro corrispettivo stato di tensione corporeo.

Diventare consapevoli del corpo in questi stati emozionali è uno degli obiettivi della classe EB. Diventare consapevoli della rigidità di alcune zone del corpo in corrispondenza di uno stato emotivo quale per esempio la rabbia, e lavorare su quella tensione specifica può portare a modificare l’emozione che soggiace alla tensione stessa. Per esempio, il lavoro sulla mascella o sulle spalle, può considerarsi una via all’apertura a emozioni quali la paura che implica proprio un irrigidimento della mascella e l’assunzione di una posizione delle spalle bloccate in alto in modo da ridurre la respirazione alla parte superiore della gabbia toracica senza coinvolgere così il movimento diaframmatico e la parte inferiore del torace e l’addome e di conseguenza ridurre l’intensità dell’emozione.

Il lavoro su queste parti del corpo con lo scioglimento delle tensioni e l’apertura del respiro con movimento diaframmatici e coinvolgimento dell’addome, può indurre ad una riduzione della paura. In pratica, il lavoro sul corpo procede all’inverso, partendo dagli effetti che producono le emozioni sul corpo, e modificando queste si avvia un cambiamento nello stato emozionale dell’individuo.

Durante una classe EB, il conduttore, attento a notare sia il clima del gruppo da condurre sia la condizione fisica ed emotiva dei singoli partecipanti, propone un percorso articolato in più fasi quali il riscaldamento del corpo, una serie di esercizi a tema e una fase conclusiva che passa attraverso la posizione del bend-over e della posizione in piedi. A quest’ultima può seguire una breve fase di elaborazione e condivisione in gruppo dei vissuti personali.

Durante la Classe EB la respirazione riveste un ruolo fondamentale. Essa può avvenire tramite il naso o la bocca anche se è consigliabile la respirazione con la bocca in quanto permette il rilassamento e l’allentamento delle tensioni mandibolari e inoltre permette una respirazione addominale più profonda.

Durante la classe è importante che gli esercizi siano accompagnati dalla respirazione, meglio se nella fase espiratoria si sonorizzi la respirazione, in quanto l’emissione di un suono, della voce o di gemiti e sospiri permettono un allentamento maggiore delle tensioni corporee, favorendo un rilassamento più profondo. Inoltre, molte emozioni inespresse possono trovare un canale di espressione proprio attraverso la gola e i suoni emessi, rendendo anche più intensa l’esperienza dell’esercizio e della respirazione.

Spesso, molte tensioni si fissano al livello della zona della mandibola, soprattutto in quelle persone che per caratteristiche della propria personalità tendono al controllo eccessivo o vivono in uno stato posturale caratterizzato dal sentimento di paura. Per cui, la mandibola e mascella risultano contratte in una posizione di chiusura eccessiva che non consente un movimento fluido e sciolto della parte. Aprire la bocca per attivare una respirazione profonda, rappresenta così un passo importante per allentare le tensioni di questa zona, favorendo una maggiore ossigenazione che conduce la persona a vivere più pienamente i propri sentimenti rimossi, lasciando che tristezza, amore, gioia, disperazione si diffondano naturalmente in tutto il corpo.

Trovarsi in contatto con sentimenti fino a quel momento repressi e mai insorti, può costituire comunque un problema per chi non ha ancora sviluppato un senso di radicamento maggiore della propria persona. Viene a mancare quindi una solida base su cui appoggiarsi per potersi sentire sicuri nell’affrontare una situazione emotiva molto intensa e chiaramente avvertita come pericolosa.

Il rifiuto di alcuni esercizi, inoltre, è un fenomeno abbastanza diffuso durante le classi EB proprio per quelle persone che vivono con paura certe idee. Un’eccessiva paura della sessualità può portare quindi una persona a non riuscire a muovere in modo sciolto e spontaneo il bacino, in quanto la persona avrà un rifiuto fisico, mentale ed emotivo per il bacino e per ciò che esso rappresenta.

La respirazione, durante lo svolgimento di EB, conduce spesso al pianto. Una maggiore ossigenazione ha come conseguenza quella di accendere per così dire le emozioni che la persona ha tenuto ‘spente’ fino a quel momento per paura di viverle appieno. Rivitalizzare le emozioni, attraverso una respirazione più intensa e profonda può condurre ad un pianto che spesso è avvertito
come liberatorio. Abbandonarsi al pianto permetterà al proprio corpo di rilassarsi e alla persona di ritrovare una pace mai provata fino a quel momento.

Anche il desiderio di gridare è un fenomeno che caratterizza le classi di EB ed è un fenomeno molto diffuso durante gli esercizi. La persona, assumendo certe posizioni che favoriscono un maggiore allentamento delle tensioni della gola, può sentire improvvisamente l’impellente bisogno di aprire la gola e lasciarsi andare in un grido che può racchiudere sentimenti ed emozioni che per troppo tempo sono stati soffocati. L’apertura della gola e il pieno e consapevole uso della voce rappresenta così uno degli obiettivi più importanti del lavoro bioenergetico.

Un altro importante aspetto del lavoro nelle classi di EB è quella cosiddetta vibrazione che si avverte durante alcuni lavoro sul corpo. La vibrazione indica che c’è un sano funzionamento muscolare ed è costituita da scariche che attraversano le fibre muscolari e danno la sensazione di un flusso continuo, dal momento in cui il blocco di alcune cinture di tensione viene aperto e la scarica può fluire con un certo ritmo attraverso il corpo. La vibrazione conduce l’attenzione della persona che svolge l’esercizio a quella parte del corpo in cui fluisce la scarica, raggiungendo una maggiore consapevolezza di quella specifica parte del corpo. Può accadere che una persona prenda consapevolezza delle proprie gambe o del proprio radicamento e del contatto dei propri piedi con la
terra solo dopo aver provato la vibrazione che fluisce in queste parti del corpo. Così, attraverso la vibrazione vi è un aumento della consapevolezza sia del proprio corpo, che viene avvertito come
più vivo e animato sia del contatto con la terra, quindi del proprio radicamento o grounding.

Questo concetto, il grounding (radicamento) è alla base di tutto il lavoro bioenergetico. Esso è un processo rappresentato dal flusso energetico che attraversa globalmente il corpo in senso verticale, dalla testa ai piedi e viceversa, accompagnato dalla respirazione che contribuisce a dargli una ritmicità e trasformando questo flusso in uno strumento capace di integrare e radicare la
persona, cioè dare alla persona un senso di continuità, di unità e nel contempo di solidità.

Gli altri obiettivi principali delle classi EB sono quelli di aumentare la padronanza di se stessi, aumentare la spontaneità e l’espressività, aumentare la consapevolezza di se stessi e il contatto con le proprie emozioni.

Questi obiettivi principali vengono perseguiti tramite una serie di altri obiettivi quali, l’aumento del senso di radicamento, una respirazione più profonda, un maggiore stato di vibrazione del corpo, lo scioglimento e l’apertura di alcune cinture e tensioni croniche nella zona del bacino, del torace e della testa.

Diventare consapevoli delle tensioni muscolari e lavorare sul movimento e sulla respirazione in modo graduale per favorirne il rilascio. Sbloccando così l’energia intrappolata nel corpo e lasciandola fluire in modo più libero ne consegue un senso più grande di vitalità che accresce la capacità di sentire piacere, la motilità ed il benessere ad un livello sia muscolare che emozionale.

Durante una classe di esercizi la persona lavora simultaneamente su due polarità energetiche distinte: carica e scarica dell’energia al fine di elevare il livello energetico, migliorare il livello di auto-espressione e ristrutturare nel corpo eventuali flussi energetici interrotti.

Gli esercizi bioenergetici, centrati sulla funzione integrante e armonizzante dell’Io, favoriscono nella persona un’autoregolazione energetico-emozionale in grado di trasformare gli stati negativi o penosi in stati positivi. Questa trasformazione, definita resilienza, permette alla persona di spostare l’orientamento dell’Io dalla ricerca del potere alla ricerca del piacere.

Stati e sentimenti quali rabbia, paura e disperazione con i quali abbiamo tutti a che fare, attraverso il lavoro sul corpo e con il corpo e il ruolo fondamentale della respirazione durante tutti gli esercizi, si aprono la strada verso un cambiamento: dalla rabbia alla spinta vitale, assertività e crescita; dalla disperazione alla gioia;
dalla paura alla fiducia.

Quando nasciamo, l’energia vitale scorre fluidamente attraverso il corpo. Durante la crescita si creano, a causa di traumi, alcuni blocchi energetici, causati da interferenze di percorso psico-corporeo, che promuovono variegati meccanismi di difesa. Questo costruisce una corazza caratteriale del tutto personale e provoca problemi del comportamento, sintomi psicologici e organici che si manifestano anche in tarda età. Questi flussi di energia, rappresentati da sentimenti quali rabbia, disperazione e paura, spesso non sono percepiti dalle persone e restano bloccati a livello di alcune cinture del corpo (bacino, torace, testa), causando quindi disturbi e malattie.

L’apertura delle zone di tensione avviene tramite gli esercizi che favoriscono un maggiore contatto con quelle parti del corpo in cui sono rimaste bloccate alcune emozioni inespresse. E’ come se il corpo rappresentasse una memoria della persona, un luogo fisico in cui la persona relega ciò di cui si vuole disfare, una specie di memoria in cui viene scaricato il rimosso.

La Classe di Esercizi Bioenergetici si colloca oggi, nella nostra cultura, secondo una prospettiva diversa, più orientata al corpo che alla mente, più al sentire che al pensare. L’attenzione è diretta ai corpi, senza una specifica indagine mentale sulle sensazioni ed emozioni. In pratica, rimettiamo come base l’istinto e il sentire, piuttosto che la testa e il pensare.

Il conduttore guiderà i partecipanti alla classe a stare più sul sentire un’emozione, a lasciarla fluire, diventare consapevoli e accettare quella sensazione o quella particolare emozione scaturita durante un particolare esercizio.

LOWEN IN/OLTRE di Luciano Marchino

“Sono trascorsi quarant’anni da quando ho sviluppato l’Analisi Bioenergetica dai concetti carattero analitici di Reich con l’intenzione di approfondire il lavoro analitico e di espandere le procedure corporee per rendere più efficace la terapia. Focalizzai l’attenzione sulla respirazione, l’espressione dei sentimenti e l’abbandono sessuale all’amore come si manifesta nel riflesso dell’orgasmo. Questo programma conteneva una grande promessa e tutti noi, coinvolti nello sviluppo di questo nuovo approccio, credemmo di poter aiutare le persone a raggiungere in tal modo il pieno appagamento.
Mi rattrista dover ammettere che l’Analisi Bioenergetica non ha esaudito tale aspettativa: come fondatore e guida mi sento responsabile di questo fallimento che è dovuto alla mia insufficiente comprensione della profondità della patologia che affligge gli esseri umani nella nostra cultura. Tale fallimento ha origine anche nella mia determinazione egoistica ad ottenere risultati. Ma per me gli ultimi quarant’anni non sono trascorsi invano. Ho affrontato l’arroganza e la impulsività della mia personalità e ho imparato ad accettare la vita e a lasciarla accadere. Ciò mi ha condotto a una comprensione del tutto nuova dei compiti terapeutici e del processo dell’Analisi Bioenergetica. Ho chiamato questa nuova comprensione
arrendersi al corpo. Il fine dell’arrendersi è l’esperienza della gioia.”
In modo quasi magico, quasi mistico, quasi artistico, come un maestro zen che tracci il suo cerchio più perfetto, Alexander Lowen chiude con queste parole un ciclo di ricerca estesosi nell’arco di quaranta intensissimi anni di fervida passione scientifica che lo hanno condotto a radicare sempre meglio la sua ricerca clinica nella realtà somatica e spirituale degli esseri umani. Con le ultime parole del suo adress ai partecipanti al dodicesimo congresso biennale di Analisi Bioenergetica nel 1994, egli ci commuove per la sua grandezza e ci sorprende per la sua modestia. Giunto all’apice della sua esperienza umana e scientifica, alla bella età di ottantacinque anni, afferma di aver mancato l’obiettivo più ambizioso e più significativo, quello di ripristinare la piena salute emozionale in coloro che si rivolgono all’A. B. in cerca di aiuto.
E’ importante ricordare quello che Lowen ritiene essere il fine della terapia : “aiutare il paziente a ritrovare la capacità di provare piacere e gioia. Questo è un fine più ampio di quello formulato da Reich e al contempo include il piacere sessuale e la soddisfazione orgastica”. Egli quindi non nega la centralità delle problematiche sessuali e riconosce anzi che “l’analisi dei conflitti sessuali è tuttora un punto focale nel lavoro terapeutico in A. B.”; ma afferma al tempo stesso che l’A. B. “non è preoccupata in modo esclusivo della sessualità quanto lo era l’approccio reichiano”. Sarà la respirazione ad assumere in A. B. la centralità attribuita da Wilhelm Reich alla sessualità. La respirazione evidenzia infatti secondo Lowen la qualità del “rapporto con l’aria”. “L’aria o la respirazione sono l’equivalente dello spirito, il pneuma delle antiche religioni, un simbolo del potere divino che dimora in Dio (padre), la figura paterna”.
Lowen sottolinea come un’insufficiente fluidità ed ampiezza respiratoria si rifletta in un disturbo del flusso delle sensazioni attraverso il corpo e quindi in un indebolimento della risposta emozionale agli eventi della vita. Ad una respirazione frammentaria farà riscontro una risposta emozionale conflittuale ed ambivalente.
Riferendoci ora a quanto sopra affermato riguardo il mancato obbiettivo, dobbiamo quindi, come altri hanno ritenuto opportuno, ignorare il messaggio di Lowen e perseverare egotisticamente e caparbiamente nell’applicazione di un metodo che ha portato il suo massimo esponente a considerazioni di tale drammaticità? O dobbiamo chiederci se non sia giunto il tempo anche per noi di aprire gli occhi e di diventare protagonisti e non solo somministratori o fruitori di un metodo che come ogni metodo scientifico degno di questo nome ha portato il suo nucleo di ricerca più avanzato, più coerente e più disincantato a cogliere i propri limiti a falsificare le proprie ipotesi di partenza, e a formulare conseguentemente un nuovo e innovativo piano di ricerca e di applicazione ?
Per rispondere a questo interrogativo credo sia necessario fare un passo indietro e inquadrare il paradigma dell’A. B. all’interno del panorama attuale delle psicoterapie sia a mediazione verbale che a mediazione somatica (queste ultime sono incentrate sulla fondamentale assunzione dell’identità funzionale tra mente e corpo, e come conseguenza orientate verso un lavoro terapeutico implicante sia il livello verbale che corporeo).
In Oltre i confini, Ken Wilber, psicologo e ricercatore tra i più accreditati nel campo della psicologia transpersonale, introduce l’ipotesi che le forme di intervento psicoterapico abbiano come mezzo e come fine l’eliminazione dei confini tra ciò che chiamiamo e ciò che chiamiamo non Sé, che ci è psicologicamente altro. Egli sottolinea come il confine più comunemente riconosciuto sia fornito dall’epidermide, dimenticando però di sottolineare un dato importante, cioè che l’epidermide e la neocorteccia cerebrale, principale sede dell’attività mentale cosciente, hanno la stessa origine embriologica e sono partecipi del medesimo senso del confine. Come vedremo in seguito, questa considerazione non è affatto secondaria.
Wilber riconosce che, come Lowen rileva più volte nei suoi scritti, il senso dell’identità è fornito agli esseri umani soprattutto dall’esperienza corporea. L’osservazione clinica dimostra infatti che il corpo fornisce la base più largamente condivisa per distinguere ciò che è me da ciò che è non me, come il mio rasoio, o il mio spazzolino da denti, o la mia automobile. Ma oltre al confine fornito dall’epidermide siamo costretti ad ammettere l’esistenza di un secondo importante confine posto tra mente e corpo, o più precisamente tra mente conscia e corpo.
E’ l’esistenza di tale confine che ci induce a fare affermazioni del tipo “Io ho un corpo sano” piuttosto che “Io sono un corpo sano”.
La differenziazione sbrigativamente etichettata come “separazione tra mente e corpo” ci deve indurre a considerare l’eventualità che all’interno del processo di evoluzione si siano create le condizioni di una differenziazione adattiva funzionale tra uno strato più periferico , e più direttamente a contatto con l’ambiente (l’ectoderma-neocorteccia-pelle) e degli strati più profondi e meno esposti alla relazione ambientale come il mesoderma e l’endoderma. Tale differenziazione adattiva, che fornirebbe il substrato biologico all’esperienza psicologica di una separazione tra mente e corpo, è alla base delle osservazioni cliniche di Wilhelm Reich sull’origine dell’armatura carattero-muscolare (secondo Reich, capostipite della Psicologia Somatica, qualsiasi conflitto emotivo o trauma subito a livello psicologico provocherebbero nell’individuo una corrispondente tensione a livello fisico, favorendo, come risultato, l’instaurarsi di una corazza muscolare. Questo sta ad evidenziare l’esistenza di un’identità funzionale tra mente e corpo), teoria pienamente assorbita nel paradigma dell’A. B. di cui costituisce uno dei pilastri principali.
Nessuna osservazione ci autorizza infatti a credere che la linea di confine tra mente e corpo sia presente (sancita oltre che predisposta) alla nascita. Una mole considerevole di dati ci costringe viceversa a rilevare come il processo di separazione dell’identità dal corpo proceda di pari passo con lo sviluppo del bambino e con la maturazione di stati dell’essere che Lowen ha associato a cinque diritti fondamentali: il diritto di esistere, di avere bisogno, di essere autonomo, di imporsi e di amare sessualmente. La negazione protratta o traumatica di tali diritti, sembra costringere il bambino a dissociarsi dall’area del proprio corpo implicata nella rivendicazione del diritto negato, serrandolo nella morsa di una tensione che appare necessaria ad impedirne l’espressione e quindi l’appagamento, perpetuando di conseguenza lo stato di bisogno e di frustrazione. In cambio del paradiso così perduto egli riceve un’illusione, l’illusione che il non sentire, cioè il dissociare il piano fisiologico dalla sensazione dal piano psicologico della percezione dotata di emozione e di significato, lo metta al sicuro da un ambiente correttamente o erroneamente percepito come minacciante.
E’ così che perdiamo la capacità di riconoscere il corpo come il modo della nostra esperienza e cominciamo a ritenerlo semplicemente un mezzo attraverso il quale entriamo in contatto col mondo.
E’ in tal modo che perdiamo la capacità di riconoscere il corpo come l’essenza e lo riduciamo alla funzione di contenitore di cui poi pretendiamo di essere il contenuto.
E non è tutto naturalmente perché, come Freud ha dimostrato e Lowen ha pienamente integrato nell’A.B., esiste all’interno del confine dell’ectoderma un ulteriore confine tra le parti di cui siamo consapevoli e che chiamiamo Io e le parti che abbiamo allontanato dalla coscienza, rimuovendole e/o proiettandole sull’ambiente esterno. Le parti che Carl Jung definì suggestivamente ombra.
Tale confine ci rimanda dunque a uno spazio più profondo e interno a ciascun essere umano: lo strato strutturale fornito dall’apparato muscoloscheletrico (mesoderma) che è l’apparato di supporto e l’agente e soggetto di ogni azione cosciente e volontaria, ma contiene al tempo stesso la somma articolata (pattern) di tutti i divieti interiorizzati dalla persona nel suo processo di autocostruzione.
E’ proprio qui, a livello della muscolatura volontaria, che l’Io sembra imbrigliare e annullare l’emergere di tutti gli affetti suscitati dal permanere della frustrazione ambientale. E’ qui che si realizza l’ulteriore confine tra parti consce, autorizzate per così dire a emergere sino al livello ectodermico, se non a esprimersi nell’ambiente, e parti inconsce, che solo nel sonno con l’allentamento delle tensioni muscolari volontarie e del controllo egoico, o nell’ atto bioenergetico, grazie all’alternanza simpatico/parasimpatico (Gellhorn [ 1967] parla di principio di “interazione reciproca” che regola le componenti simpatica e parasimpatica del SNA. Il simpatico funziona nell’azione, ovvero nei processi di dispendio di energia; la componente del parasimpatico funziona nel riposo, ovvero nei processi di recupero dell’energia.) e alla decisione volontaria di riattivare modi di funzionamento espressivo desueti, possono tornare alla luce.
Nel primo caso esse, se supereranno la soglia del ritorno allo stato di veglia, dovranno comunque sottostare al processo di decodificazione noto come analisi dei sogni, nel caso di un atto bioenergetico invece, se la carica emozionale potrà superare la barriera posta dalle difese neurotiche dell’ io adattato, trascinerà con sé la conoscenza originaria dell’evento e della situazione patologica che diede origine al blocco neurotico, portando ad un momento di autocoscienza che non richiede alcuna spiegazione, ma solo un’adeguata integrazione a livello consapevole.
Il processo dell’analisi bioenergetica però può essere visto in due modi, diametralmente opposti. Il primo che l’avvicina alla terapia dell’Io è un processo che, senza troppo allontanarsi dalla realtà, potremmo definire di manutenzione dell’armatura caratteriale e che prevede la riorganizzazione delle difese sotto l’egemonia di un Io rafforzato da una migliore sensazione di esistere (dovuta all’integrazione dei vissuti emozionali e sensoriali corporei), e quindi di potersi battere con maggior successo per i propri fini. In questa luce il terapeuta si pone al servizio dell’Io del paziente, promovendo però un intensificarsi del senso di separazione, e spesso di conflitto, tra l’organismo e l’ambiente, e rendendo il suo paziente un combattente più fiero e fiducioso ma non per questo più gioioso.
Credo che Lowen, nel suo adress ai bioenergetici, voglia proprio sottolineare come tale approccio non abbia portato i risultati sperati e come il processo dell’analisi bioenergetica sia oggi meglio descrivibile come un progressivo arrendersi al corpo e al flusso della vita, dentro e fuori di noi. Dont push the river! Non spingere il fiume della vita, arrenditi, lasciati condurre.
Ma il flusso della vita, nel processo di reintegrazione delle parti che chiamiamo psicoterapia, sembra spesso sommergerci e precipitarci in situazioni sulle quali non sentiamo di avere il controllo e che minacciano di sopraffarci. Si incontrano rapide e mulinelli e cascate improvvise, come improvviso è talvolta il crollo delle antiche illusioni, e implacabile il mulinello dei sentimenti inespressi di dolore, di collera, di desiderio o di paura a cui non riusciamo a sottrarci, e incontrollabile ci sembra l’improvviso ritorno dell’ energia quando riusciamo a praticare una breccia nella massa compatta dell’armatura.
E’ a questo punto che l’A.B. supera se stessa, e sfocia in una dimensione che va ben al di là di una terapia dell’Io, perché il processo di confronto con la paura di perdere il controllo e di impazzire, con la paura che arrendersi al corpo equivalga a morire, la pongono sul piano di una pratica di evoluzione spirituale, che travalica irreversibilmente l’angusta dimensione della psicoterapia dell’Io individuale, per riallacciarsi ad una unità sottostante che sembra accomunare la molteplicità degli esseri umani.
Questa fu probabilmente l’esperienza che Teresa D’Avila, la più grande ricercatrice spirituale della cristianità, descrisse come oscura notte dell’anima e forse fu l’esperienza che indusse Al-Ghazali, il più grande mistico dell’Islam, a porre nel suo Trattato delle sette valli la valle della morte e l’abisso del nulla prima della settima e ultima valle al centro delle altre: la valle della celebrazione, equivalente mistico della gioia. E forse da ripetute esperienze di questo tipo ha avuto origine il Bardo, il libro tibetano dei morti, minuziosissima sequenza di istruzioni per il passaggio a una vita migliore, per l’uscita dalla ruota del Karma, così simile, come abbiamo rilevato altrove, alla schiavitù dell’armatura caratteriale.
Tutti costoro, si badi bene, non cercarono Dio attraverso dotte elucubrazioni o agitando concetti fumosi; questo era ed è tuttora compito dei letterati. I mistici, al contrario, perseguivano la conoscenza di Dio attraverso ben precise pratiche esperienziali corporee.
Forse in tal modo entrarono in contatto col nucleo della loro energia pulsionale originaria che Wilhelm Reich, maestro di Lowen aveva posto al centro del proprio modello della personalità umana. Forse in tal modo assaporarono l’esperienza dell’estasi, della celebrazione, della gioia del contatto con l’origine dell’uno e del tutto. Non lo sappiamo, non possiamo saperlo, ma certamente sappiamo che, contrariamente alla dilagante o gaudente congerie del neomisticismo, che pretende di saltare pié pari l’esperienza dei vissuti corporei per sguazzare illusoriamente in un oceano cosmico pittorescamente popolato, l’A.B. si pone come il frutto raro e maturo di un processo di evoluzione e di integrazione emozionale, esperienziale, sensoriale o cognitiva che, per il solo processo di incremento sinergico della complessità che è il mezzo e il fine del suo metodo e grazie al contributo di molti ricercatori, si trova oggi al limitare di una spiritualità emergente che esita ad abbracciare, ma che non può più a lungo rinnegare.
Arrendersi al corpo, abbandonare le tensioni psicorporee difensive, fu la scelta che guidò Reich ad elaborare l’ analisi del carattere in vegetoterapia caratteroanalitica. Lowen, che dalla vegetoterapia trasse le sue prime intuizioni, torna oggi a una profonda comprensione della funzione terapeutica dell’arrendersi. Dopo essersi battuto con pieno successo per affermare il proprio metodo, egli lo perfeziona e ci avvisa: l’ultimo passo verso la gioia è imparare ad arrendersi.
Milano 23 dicembre 1995
Tratto da www.biosofia.it

La Classe di Esercizi di Bioenergetica quale prevenzione e promozione della salute di M. Alborghetti

Introduzione

L’essere umano individuale e sociale ha una grande difficoltà ad integrare, nel suo stile di vita, l’abitudine giornaliera per la promozione della salute, con l’obiettivo di prevenire malattie psicofisiche e situazioni ambientali nocive.

Nel 1986 l’organizzazione mondiale per la salute (OMS) stilò “La Carta di Ottawa” per definirne un concetto internazionale: “La promozione della salute è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vita quotidiana, non è l’obiettivo del vivere. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personale e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere”.

Il documento effettua un progetto creativo in cui individuo e ambiente riescono ad integrarsi dinamicamente in un sistema ecologico, energetico collettivo. Purtroppo a tutt’oggi questa sana visione sembra essere un’utopia.

Basti pensare allo stress che accumuliamo giorno per giorno seduti in macchina o ammassati nei mezzi pubblici, ai bambini con le spalle appesantite da zaini colmi di kili di libri, seduti in banchi niente affatto ergonomici, alle contrazioni muscolari e alle posture dannose che tutto questo procura, per chiedersi:

“ma come poter promuovere la salute ?”.

Se aggiungiamo a tutto ciò l’aria inquinata, i cibi contraffatti, le comunicazioni manipolative ingannevoli, provocanti emozioni negative represse o rimosse, abbiamo a sufficienza quanto serve per sentirsi impotenti di fronte a questa triste evidenza.

Entrare nel corpo, scaricare le tensioni, catturare tra le sensazioni agglomerate in noi fin dalla vita prenatale è compito della Bioenergetica, tecnica psicocorporea che attraverso il movimento aiuta ad aumentare le difese immunitarie, uniche sane salvaguardie per non soccombere in una realtà disumana e per potersi assumere la responsabilità della propria salute.

Mobilitando voce e corpo all’unisono, considerando anche la motricità delle dita dei piedi e del volto, gli esercizi delle classi di Bioenergetica permettono di approfondire il respiro in modo naturale con l’obiettivo di:

1) entrare in contatto con le proprie emozioni per trasformarle creativamente;

2) promuovere processi energetici e metabolici quali funzioni basilari della vita;

3) scaricare le tensioni accumulate e ricaricarsi di energia positiva;

4) aumentare l’autostima;

5) sentire il senso di appartenenza al gruppo per estenderlo nel mondo;

6) sentire le contrazioni muscolari per migliorare la postura corporea e la deambulazione.

Prendendo atto che la salute psicofisica è interdipendente con le percezioni emozionali e con fattori affettivi, ambientali, nutritivi e socioculturali, il ruolo delle emozioni è il principale motivo scatenante degli squilibri organici e psicologici.

La capacità di riadattarsi continuamente all’ambiente, di modulare le emozioni, di integrarle e gestirle secondo il principio di realtà interiore ed esteriore, rende l’individuo responsabile della propria salute malgrado tutti i fattori esterni dannosi.

L’essere umano in questa ottica non è più in balia del destino, dell’ambiente e dei medici, egli è attore, produttore e regista della propria vita, del proprio benessere fisico ed emotivo.

La padronanza della propria salute richiede un continuo contatto con le proprie sensazioni e contrazioni corporee, con il proprio respiro e battito cardiaco in connessione alle emozioni e i pensieri stimolati dall’ambiente.

Sentire che ciò “che accade nella mente riflette quello che succede nel corpo e viceversa”(1) significa avere la cognizione dei propri bisogni e aspettative, del proprio respiro, del modo di camminare e della postura corporea per attuare una trasformazione creativa che rispetti i ritmi personali e collettivi.

Sono rari gli individui consapevoli che i malesseri organici e psicologici sono determinati anche dal modo di respirare, incedere e sedersi: “i piedi allargati verso l’esterno, le loro dita contratte, le ginocchia rigide, le spalle curve e il bacino retratto” fanno ridurre la respirazione ed irrigidire la mascella producendo danni alla vista, alla gola, alla colonna vertebrale, ai polmoni ed a tutti gli organi della digestione.

La restrizione del respiro in lunghi tempi provoca l’ansia e l’abbassamento delle difese immunitarie, conseguentemente gravi malattie organiche. Purtroppo i disagi posturali e respiratori si innescano fin dalla prima infanzia creando continui problemi psicofisici, comportamentali, familiari, scolastici e lavorativi.

Attraverso il movimento Bioenergetico si entra a contatto con tutte le difficoltà del proprio corpo, in una continua interazione con se stessi e con gli altri. L’energia che scaturisce si orienta spontaneamente verso un processo di crescita e di responsabilità della propria esistenza salubre e socializzante.

L’integrazione delle classi di esercizi di Bioenergetica nelle scuole, nelle università, negli uffici, nei centri anziani e nella preparazione al parto, è una vera fonte di prevenzione e promozione della salute.

L’esperienza psicocorporea Bioenergetica differisce da tutte le altre pratiche motorie, perché permette di entrare a contatto con le emozioni percettive e comportamentali esploranti il profondo senso del SE corporeo.

(1) A. e L. Lowen “Espressione ed integrazione del corpo in Bioenergetica” – Astrolabio Roma 1979.

Il concetto di radicamento (Grounding), messo a punto da A. Lowen, conduce le persone nella realtà interiore ed esteriore ampliando la possibilità di sviluppo attraverso l’autoconoscenza e il progresso delle risorse individuali rispettando i ritmi personali. Mente e corpo si integrano tra di loro esprimendo un comportamento proteso alla sintonia personale e collettiva.

La classe di esercizi Bioenergetici costituisce un investimento proficuo nel benessere familiare, lavorativo, scolastico e sociale.

Cos’è la classe di esercizi di Bioenergetica?

La classe di esercizi di Bioenergetica è un tempo ed uno spazio donato al benessere personale attraverso movimenti psicofisici che prendono in considerazione la totalità di un corpo vibrante, riduce lo stress, agevola l’ascolto delle sensazioni cenestesiche, delle emozioni, del respiro e dell’equilibrio posturale.

Gli esercizi Bioenergetici si definiscono psicofisici, poiché ogni espressione motoria studiata da Alexander Lowen prevede l’unità mente corpo.

L’essere umano è preso in considerazione nell’aspetto psicologico, nella postura corporea radicata (grounding), nella respirazione profonda, nell’anatomia del movimento di ogni segmento corporeo, scientificamente messi a punto per permettere l’armonia dei centri di energia vitale, il risveglio dei naturali potenziali di auto guarigione e l’espansione individuale.

Ogni motilità espressiva viene enfatizzata da suoni vocali spontanei che sgorgano dal proprio corpo, in sintonia con i movimenti; la voce promuove e recupera la respirazione profonda senza ricorrere alla mente che volitivamente pensa “inspiro……….espiro………….”, inoltre dà carica e significato all’azione corporea. E’ solo il corpo che muovendosi ed esprimendo vocalmente il suo sentire, ritrova il naturale respiro e il contatto con le emozioni del periodo ancestrale.

Grounding e Voce sono le caratteristiche fondamentali della Bioenergetica, le quali permettono la carica e la scarica dell’energia, nel giusto fluire della circolazione sanguigna, di tutti i flussi corporei e dell’acqua, senza provocare inversioni energetiche pericolose per l’equilibrio psicofisico personale. Il suono del corpo e la postura corporea differenziano la Bioenergetica da qualsiasi altra tecnica motoria (aerobica, yoga, balli latini americani, biodanza, talvolta denominati abusivamente come “terapie”),

Si denomina “Classe” e non “Gruppo” perché non sono le parole che raccontano e dinamizzano gli incontri attraverso rilevanti conflitti che cercano soluzioni verbali, ma è un corpo che si esprime nel movimento psicofisico, accompagnato da vocalizzi, il cui unico scopo è quello di percepire le tensioni che lentamente si sciolgono come neve al sole, di ammorbidire le asperità nel sentire le vibrazioni corporee e nel liberarsi dello stress accumulato.

Nella classe di esercizi di Bioenergetica le dinamiche intrinseche ad ogni gruppo, ora distruttive, ora creative e salutari, nello loro dualità si palesano e si risolvono solo nell’espressione motoria e vocale che all’unisono manifestano significativamente l’emozione che sgorga dal cuore con la genuina spontaneità del bambino.

La naturalezza dei movimenti e della voce non feriscono come quando si usano le parole, perché l’espressione non è il prodotto della mente razionale, ma è il libero spontaneo linguaggio del corpo che offre la catarsi giocosa di un’innocenza perduta, il cui unico scopo è quello di crescere gioiosamente vitali.

La classe di esercizi di Bioenergetica non è una psicoterapia, ma un valido aiuto, un sostegno per chi vuole liberarsi dallo stress dei giorni rutilanti; è uno spazio protetto, contenuto e adeguato.

Il bisogno psicofisico di liberarsi dalle tensioni accumulate può scaricarsi attraverso movimenti che permettono l’espressione della rabbia repressa, senza perdere i propri confini e senza sentirsi in colpa.

Ogni emozione espressa profondamente, vissuta nel corpo e nella mente, aiuta a lasciare andare il surplus di energia bloccata nelle contrazioni muscolari e nelle rigidità articolari donando sensazioni rigeneranti che aumentano il personale radicamento nella realtà esteriore ed interiore.

L’energia vitale e l’entusiasmo della vita aumentano visibilmente entrando a contatto con le percezioni sensoriali della pianta dei piedi (collassata o ben radicata), delle dita (aggrappate o rilassate), delle ginocchia (rigide o flessibili), delle anche, del bacino, del respiro (profondo o superficiale), della colonna vertebrale (contratta o flessibile), man mano con tutte le parti del corpo fino ad arrivare alla mascella, alla lingua, agli occhi ed al cuoio capelluto.

Il corpo nel far fluire in un’unica corrente continua (energia, acqua, circolazione sanguigna, flussi interstiziali, intercellulari e linfa vitale) inizia a sentire e conoscere come darsi gioia e salute.

La persona vibrante non si pensa più come immagine, ma sente l’unità, la totalità tra mente e corpo, l’intima percezione di trovare la porta per poter uscire da quella falsa percezione di se, aggrappata alle illusioni, al potere, allo status, alle opinioni precostituite, al credere che ogni accadimento appartenga al caso accidentale e mai alla partecipazione inconscia.

La comunicazione creativa tra mente e corpo, tra sensazioni e inconscio, permettono la sintonia musicale di “un’orchestrina interna” in cui la tenerezza del bambino, il gioco del fanciullo, il romanticismo dell’adolescente, l’avventura del giovane adulto e la responsabilità dell’adulto padrone degli eventi della vita, si armonizzano tra loro donando salute e bellezza interiore.

Quanto più sono chiare le percezioni del proprio corpo in tutti i suoi distretti, del contatto profondo con se stessi e con il terreno che sostiene, tanto più sono forti e profonde le radici della persona e le sue possibilità di espandersi secondo il principio di realtà personale, spazio temporale.

Quando Alexander Lowen parla di espansione sottolinea l’importanza di sentire i propri confini, quelli che riguardano, innanzi tutto, il rispetto del quantum di energie che abbiamo a disposizione, al fine di far vivere “l’orchestrina interiore” e mantenere la salute vibrante.

Solo se riconosciamo ad ogni orchestrale, interiore, il diritto di esistere nelle sue specifiche funzioni, riusciamo a mantenere il salutare equilibrio psicofisico. Se uno di essi si sente dimenticato il corpo fa sciopero, si ammala, il suo S.O.S ci fa scuotere, reclama il riconoscimento del bisogno profondo di far suonare in sintonia ogni componente “dell’orchestrina interiore”.

La musica del corpo va rispettata perché è ciò che ci offre salute e tanta energia vitale, essa può esprimersi in modo equilibrato solo se si è veramente grounding.

 

Grounding

Il primo obiettivo della Bioenergetica è il radicamento, definito da Alexander Lowen “grounding”, poiché è ciò che riesce a far sentire l’unità tra il corpo e la mente, l’integrazione tra la realtà interna e quella esterna.

Nella posizione grounding i piedi e le gambe hanno un contatto interattivo con la terra, per prendere energia, per scaricare le tensioni, per sentirsi sostenuti e mai traditi, poiché la terra è sempre lì e ovunque a nostra disposizione, poiché la terra è la realtà stabile, è la piattaforma dove si costruiscono le fondamenta della persona.

Stando in grounding l’apertura dei piedi è perpendicolare alle spalle oppure ai fianchi (se sono più larghi), gli alluci sono lievemente convergenti tra loro, per essere in linea con le ginocchia che a loro volta sono leggermente flesse, il bacino è lievemente retratto per agevolare il rilassamento della spina dorsale, la profondità del respiro, e del fluire dell’energia fino alle dita dei piedi.

Le ginocchia rigide provocano una forte contrazione dell’ano, della spina dorsale e della respirazione, non permettono il fluire dell’energia, del sangue e di tutti i flussi corporei, non danno un equilibrio stabile come contrariamente avviene quando le ginocchia sono flesse.

Il corpo, nella posizione grounding, si appropria di una postura solida e radicata nella terra e nella propria interiorità, si rende pronto all’espansione verso il cielo come i rami di un albero il cui tronco ha messo lunghe radici nel sottosuolo.

La terra offre un senso di sicurezza psicofisica stabile, il cielo dona l’energia universale di cui ci nutriamo attraverso il respiro.

Cielo e terra, padre e madre simbolici che nel dare il giusto orientamento nel mondo in cui si sta in piedi, nutrono ed aprono il varco alle percezioni sensoriali di tutte le parti del corpo.

Il principale scopo del grounding è la salute in un corpo vibrante con solide fondamenta, proprio per questo obiettivo ogni classe inizia con molti movimenti dei piedi, delle gambe, della respirazione e dell’orientamento nello spazio.

L’esercizio utile ad un buon radicamento è l’automassaggio della pianta piedi con un bastoncino cilindrico, per sentire dove sono le contrazioni corporee corrispondenti, per scioglierle e per radicarsi nella terra rilassati. Si procede poi con motilità protese a sciogliere le dita dei piedi ed a rendere forte e flessibile l’arco plantare.

Salendo verso l’alto si sciolgono le caviglie, le ginocchia, le anche e il bacino. I numerosi movimenti si alternano di volta in volta in modo creativo, tenendo sempre conto delle difficoltà e della crescita dei partecipanti.

Piccole vibrazioni che rendono le gambe e il bacino pieni di energia vitale si percepiscono e si notano dopo che i muscoli delle parti inferiori del corpo sono stati mobilitati e decontratti.

Gli esercizi per il busto, per le braccia e le mani, offrono l’opportunità di sentire l’armonia tra il basso e l’alto, tra la destra e la sinistra, tra la parte tenera del cuore e la parte dura della colonna vertebrale.

I numerosi movimenti degli arti superiori sono sempre espressi in sintonia con la parte inferiore; il grounding è continuamente presente in tutte le espressioni corporee, poiché è l’unica postura corporea, attentamente studiata da Alexander Lowen, che permette a tutte le libere espressioni motorie di mantenere i personali confini senza sovraccaricare di energia la testa.

Le espressioni motorie svolte in grounding permettono il libero fluire dei sentimenti che nascono dal cuore in una corrente continua con l’energia, il sangue e tutti i flussi corporei che scivolano fino alle dita dei piedi, nelle braccia, nel collo e nella testa, coinvolgendo labbra ed occhi. Dopo una classe la pelle del viso e gli occhi sono più luminosi, tutto il corpo estrinseca vitalità.


Voce e Respiro

La voce accompagna ogni movimento ed ogni postura in grounding per esprimere le emozioni, per approfondire la respirazione ed agevolare le vibrazioni. Respiro e vibrazioni attraversano le vertebre come dentro una canna di bambù, sciogliendo le eventuali contrazioni che man mano si rilassano per rendere la colonna vertebrale forte e flessibile.

A questo proposito voglio ricordare una paziente che era convinta di non riuscire mai a piegare in avanti la spina dorsale fino a toccare con le dita la terra, si curvò solo quando si decise a urlare forte tanti “NO” facendo flettere in su e in giù le caviglie e le ginocchia, ciò provocò in lei una lieta meraviglia tanto che esclamò “ma che miracolo!”.

Il corpo nell’esprimere ad alta voce tutti i “NO” che aveva introiettato e che non aveva mai manifestato durante tutta la sua vita, spontaneamente aveva approfondito la respirazione che ha sciolto tutte le contrazioni e i blocchi energetici, creando così spazi tra le vertebre per il libero fluire dell’energia corporea, dando luogo a piacevoli vibrazioni.


Carica, Scarica e Vibrazioni

La corrente continua dell’energia, della circolazione sanguigna, dell’acqua, di tutti i flussi corporei, interstiziali e intercellulari, nel caso descritto, hanno rilassato la colonna vertebrale promuovendo le vibrazioni e lasciando scaricare le energie stagnanti e caricare il corpo di energie positive.

Il flusso che scorre lungo la parte anteriore carica il cuore, gli occhi, le braccia e le mani dando origine all’amore ed alla creatività, il flusso che attraversa la parte posteriore carica la colonna vertebrale, le gambe, le braccia, gli occhi, dando origine alla collera.

L’incontro dei due flussi permette una sintesi positiva tra l’elemento tenero e l’elemento aggressivo che all’unisono conferiscono alla persona una espressione oculare e corporea viva, donante la capacità di raggiungere i propri obiettivi e di lasciarsi andare al piacere della vita, mantenendo sempre i propri confini.

La scarica del surplus di energia avviene verso la terra sciogliendo l’addome e tutte le contrazioni, facendo sentire la persona fiduciose di poter tenere sempre in sintonia la salute e la gioia di vivere, dando luogo a piccole vibrazioni in tutto il corpo.

Alcune persone, particolarmente rigide e congelate, per non sentire le emozioni, contraggono le vibrazioni, la carica e la scarica dell’energia, bloccando il percorso naturale dei flussi del corpo.

Il percorso della corrente continua dell’energia vitale è vissuto con molta paura, con un senso di vuoto allo stomaco, e con ansia, perciò s’irrigidiscono ancora di più autoprovocandosi dolori muscolari o contrazioni spasmodiche molto simili ad una crisi isterica, oppure il panico inconscio crea un’inversione di energia che anziché scaricarsi in terra sale verso la testa.

In questo caso interviene la preparazione scientifica del conduttore di classi di esercizi di Bioenergetica, il quale, riconoscendo le varie strutture caratteriali attraverso l’espressione corporea, farà in modo di prevenire l’eventuale disagio intervallando i movimenti con il bend-over oppure con posture adeguate all’ascolto interiore, posizione del sultano o fetale, grounding sdraiato o in piedi, con una mano sul cuore ed una mano sulla zona pelvica.

Il conduttore, durante il training, apprende come modulare l’andamento delle espressioni corporee seguendo i ritmi e le pulsazioni dei molteplici corpi che spontaneamente si muovono nello spazio.

Lentamente anche le persone più rigide e congelate sentiranno che la carica e la scarica, che i piccoli movimenti involontari creati dalle vibrazioni corporee, sono essenziali per l’organismo quanto per la psiche; che le vibrazioni non sono indice di debolezza, ma sono utili per rilassare le tensioni e per sentire la vitalità.


Bend-over

Le motilità in posizione eretta sono spesso alternate con il bend-over che si svolge flettendosi lentamente verso il basso, sentendo vertebra per vertebra fino ad appoggiarsi al suolo con tutti e 10 i polpastrelli delle mani, abbandonando il collo verso la terra e guardando dietro di se, mantenendo sempre le ginocchia flesse ed i piedi distanti paralleli ai propri fianchi e gli alluci convergenti tra loro.

Questa posizione agevola un senso di rilassamento, di auto protezione delle parti tenere ed allunga le vertebre della colonna vertebrale. La testa completamente abbandonata e l’appoggio del corpo sui piedi e sulle mani, consente un maggior flusso energetico ed un migliore radicamento tanto da agevolare piacevoli vibrazioni.

Dalla posizione bend-over si può decidere di risalire lentamente in grounding o di scendere verso la terra per eseguire esercizi in posizione seduta o sdraiata. In questo ultimo percorso dal bend-over si passa nella posizione del sultano.


Posizione del Sultano

Scendere verso la terra con le ginocchia flesse, appoggiare la fronte solo sulle dita delle mani, allargare i gomiti, rimanere a contatto con il battito cardiaco e la respirazione, per sentire il respiro che si prolunga verso i genitali e l’ano, lasciati aperti, rilassati e pulsatili, per percepire la schiena distesa, lo sterno ed il cuore completamente aperti e fiduciosi perché protetti da madre terra.

Il senso di abbandono verso il pavimento fa sentire la tenerezza e l’energia vibrante senza timore di perdersi in essa.

La posizione del sultano può essere seguita da molteplici attività motorie in posizione seduta o in ginocchio, oppure completamente sdraiati e aderenti alla terra con tutta la parte tenera del proprio corpo;

in posizione prona in ascolto del ritmo cardiaco, del respiro che nella sua profondità riesce a rilassare e sollevare il bacino passivamente; lo stomaco e gli intestini si dilatano e si restringono grazie ai movimenti involontari prodotti dall’inspirazione ed espirazione.

L’ascolto del proprio corpo in silenzio è un momento magico in cui si è soli con le intime pulsazioni che in sintonia con tutti i presenti alla classe creano un’unica energia vitale aggregante senza parole.


Colonna Vertebrale

Seguiranno esercizi supini particolarmente adatti per fortificare e rendere flessibile la colonna vertebrale quale struttura portante di tutto il corpo.

In molte persone si manifestano patologie della spina dorsale quali la scogliosi, la cifosi e la lordosi. Il danno non è soltanto estetico ma psicofisico, poiché la spina dorsale è direttamente collegata a tutti gli organi interni della testa, del collo e del tronco, coinvolgendo indirettamente occhi, mascella, braccia, mani, gambe e piedi.

Le deviazioni della colonna vertebrale producono la deformità del torace o dell’addome o entrambe con conseguenti affezioni degli organi ivi contenuti (polmoni, cuore e reni). Purtroppo queste malattie, essendo l’esito finale di forti blocchi emozionali intervenuti nei primi 5 anni di vita, sono anche l’origine di molte gravi difficoltà psicologiche.

La Bioenergetica, avendo chiara questa premessa, prende in considerazione la muscolatura del tronco, i sentimenti e le forti emozioni di dolore in esso contenuti.

Tutti gli organi interni che vivono nel busto e tutte le emozioni in essi connessi, si irradiano verso la testa, le spalle, le braccia e le mani.

Nella parte posteriore del tronco c’è la spina dorsale dove sono congelate tutte le forti emozioni di rabbia repressa dalla prima infanzia in poi, ciò ha prodotto una alterazione a livello muscolare. Il funzionamento anomalo dei muscoli paravertebrali influenza lo sviluppo della colonna, portandola ad assumere posture innaturali che influenzano negativamente la respirazione e la salute psicofisica.

In virtù di queste constatazioni, nella classe di bioenergetica si svolgono numerosi esercizi sdraiati per la colonna vertebrale, accompagnati da brevi espressioni vocali che manifestano l’antica rabbia incastonata nelle vertebre. I “NO”, i “BASTA”, i “VIA”, i “FUORI”, si sintonizzano ai movimenti, aiutano a scaricare il non espresso e il non vissuto per anni, con lo scopo di scongelare le emozioni rimosse e caricare il corpo di energia vitale.

L’energia, il sangue e tutti i flussi del corpo iniziano a fluire seguendo la corrente continua della circolazione sanguigna, la persona distesa sul materasso o sul pavimento sente il giusto sostegno dalla terra e dalla posizione grounding da sdraiati, le ginocchia sono flesse, gli alluci sono lievemente convergenti tra loro, aperti quanto la larghezza dei propri fianchi, per dare rilassatezza ai genitali, all’ano, alle vertebre e alla profondità del respiro.

Nei movimenti si pone molta attenzione alle articolazioni della cervicale e lombo sacrale poiché sono il punto d’incontro tra forze opposte: la gravità che viene dall’alto (doveri, pressioni autoritarie e sensi di colpa) e il piacere che viene dal basso (gioco, avventure e orgasmo). Il conflitto tra l’alto ed il basso, misconosciuto, rimuove la rabbia, il dolore, la paura, la vergogna e il bisogno d’amore e si converte in patologie della spina dorsale, della cervicale, del desiderio sessuale, dell’equilibrio psicologico e in molteplici malattie organiche dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’età adulta e della senilità.

Il movimento bioenergetico permette di sentire ed esprimere i propri reali disagi interiori durante la condivisione corporea nella classe.

Gli esercizi aiutano ad eliminare la scissione tra sintomo ed emozione, tra l’alto ed il basso, creando un’unità corporea dove si sente la luce del giorno dal diaframma alla testa e la luce della notte dal bacino ai piedi. Sole e luna, nella loro reciprocità altalenante appartengono all’equilibrio dell’universo che si perpetua nell’essere umano. Questo equilibrio nella sua perenne dualità manifesta l’essenza del bene, del male, della calma e della furia.

Le espressioni motorie protese a liberare le vertebre dall’antica rabbia repressa, sono sempre seguite da stretching individuali o in coppia, per accrescere la tonicità dei muscoli, per creare stati di rilassamento e per aprire le contrazioni cocso-femorali.


Stretching

Lo stretching è indispensabile per allungare i muscoli e i tendini, al fine di lasciare spazio sufficiente tra una vertebra e l’altra, per la flessibilità articolare e per il fluire dell’energia e di tutti i flussi del corpo.

Quando si accorciano i muscoli e i tendini, le vertebre e tutte le giunture articolari non hanno spazio tra loro, sono costrette ad incastonarsi e restringersi, provocando attriti che in lunghi tempi danno luogo a patologie a carico delle ossa e degli organi ivi connessi.

Il sintomo è un S.O.S. corporeo che ci dice che stiamo facendo qualcosa di errato, va ascoltato attentamente per aiutarci a trovare la strada giusta per la nostra salute.

Lo stretching in coppia aiuta a sciogliere le tensioni, le rigidità e i blocchi energetici in modo gradevole.

Il contatto dei piedi o delle gambe o della colonna vertebrale crea uno scambio di calore corporeo e di energia che agevola senza sforzo gli allungamenti delle vertebre della colonna e delle gambe, promuove il fluire di tutti i flussi, del sangue e dell’energia.

L’aumento della comunicazione positiva tra corpi interagenti tra loro, scioglie le rigidità dove sono incastonate le antiche emozioni rimosse convertite in sintomi, rende l’organismo sano e vibrante.

Il forte stress nella zona lombo sacrale e cervicale si manifesta in seguito al conflitto rimosso, tra desiderio, che corrisponde alle regole formali del collettivo e bisogni personali; con lo stretching in coppia, la dualità tra forze inconscie trova una soluzione salutare.


Espressione della rabbia

Il lavoro corporeo Bioenergetico a differenza di altre tecniche motorie utilizza la manifestazione della rabbia e della risata col corpo e con la voce, poiché si è constatato che i disagi psicofisici che si manifestano in qualsiasi età sono la manifestazione sintetica di emozioni congelate nel corpo.

L’impoverimento delle espressioni emotive a volta può disturbare il movimento spontaneo.

Nel nostro corpo rimangono i segni delle emozioni infantili represse che hanno generato una serie di blocchi che impediscono il fluire liberamente dell’energia.

Scopo delle espressioni corporee aggressive è quello di far bloccare le stasi di energia per ristabilire il flusso della propria vitalità in armonia con se stessi e il sociale.

Le rabbie morte, le paure sepolte, le emozioni represse, attraverso espressioni motorie aggressive si manifestano stabilendo una efficace catarsi tra il passato e il presente; si sciolgono i blocchi energetici che avevano paralizzato il movimento e l’autoaffermazione, danneggiando la salute.

La rabbia rimossa nell’inconscio e nelle stasi di energia che si traduce in sintomi organici o psicologici, trova uno scarico in una situazione protetta e contenuta dal conduttore della classe e dalla postura corporea grounding (in posizione eretta o sdraiata).

Il grounding, la respirazione, la voce ed i movimenti corporei scientificamente studiati, permettono l’espressione di rabbia, di dolore o di autoaffermazione, senza perdere i personali confini, senza entrare in uno stato di isteria o di eccessiva eccitazione dovute ad una inversione di energia.

Il senso di colpa, il sovraccarico di energia nella testa e le interazioni distruttive col prossimo sono saggiamente contenute dalla postura. La posizione grounding accompagnata da una parola capace di esprimere, sinteticamente, l’emozione personale consente l’incontro tra energia posteriore (aggressiva) ed energia anteriore (tenera), aprendo così il cuore all’amore.

La combinazione tra azione fisica e parola concentrano il sentimento emozionale. I sentimenti teneri in armonia con i bisogni personali, adeguati al principio di realtà, proteggono e mantengono l’integrità psicofisica dell’organismo dove regna la pulsione di vita, di amore, rispetto e solidarietà.


Bacino

Gli esercizi per la colonna vertebrale sono alternati con quelli del bacino e della rabbia per sbloccare le stasi di energia della zona pelvica la cui immobilità è causa di difficoltà di natura sessuale, lavorativa e di gioia di vivere.

I movimenti del bacino si possono svolgere in posizione eretta, in ginocchio, in posizione supina e prona, individualmente o in coppia se si rende necessario il contrasto verbale o corporeo.

Ogni esercizio sia in posizione sdraiata che eretta tiene sempre presente le regole del grounding, la connessione tra l’alto ed il basso.

Il bacino vibrante apre le persone all’amore, alla conoscenza, al piacere della vita non solo sessuale ma nella totalità del proprio SE.

Seguono poi le attività Bioenergetiche per le braccia, mani, collo e volto.


Esercizi del volto

I movimenti della mimica facciale, pur essendo vissuti come qualcosa di ridicolo, sono d’enorme utilità per dare salute alla pelle, agli occhi, alle orecchie e ai denti, alimentano i pensieri positivi, mantengono attiva la memoria e l’intelligenza creativa, rilassano le vertebre cervicali, approfondiscono il respiro in modo naturale. Permettono di sentire come ogni atteggiamento abituale delle labbra e degli occhi, nel sorridere e nel parlare, possono aumentare o diminuire le contrazioni a carico degli occhi, del naso, della gola, delle vertebre cervicale e del respiro, provocando numerose problematiche psicologiche o gravi patologia agli organi deputati.


Massaggio e rilassamento

Ogni classe si conclude con il massaggio o con il rilassamento corporeo, per percepire in modo selettivo ogni segmento corporeo in uno stato di passività, per sentire il piacere del contatto e della reciprocità.

Gli esercizi di rilassamento quali la visualizzazione dei colori per ogni piccola parte del corpo o il training autogeno, permettono uno stato di pace con il mondo interno ed esterno in un sentimento di vicinanza con i partecipanti alla classe.


Conclusione

Sentire l’energia corporea significa migliorare la salute e fare scelte spontaneamente salubri, morali e felici, perché la persona che fa Bioenergetica quotidianamente è ben radicata nel proprio corpo e lo sente sano e vibrante, pronto a dare e ricevere sostegno in una partecipazione empatica con la propria totalità e con il mondo.

Tratto da www.bioenergeticaonline.it

Riflessioni bioenergetiche sull’obesità maschile di Leonardo Moiser

Lo scritto è suddiviso in cinque parti. Mi è sembrato importante iniziare dando una definizione di obesità, per passare ad analizzare i fattori genetici e culturali che rivestono un’importanza nell’eziopatogenesi di questo sintomo. In quanto psicologo penso che non si può comunque dimenticare che il nostro corpo risponde a delle leggi anatomo-fisiologiche ed è inserito in un contesto culturale ben preciso. Entrambi questi fattori contribuiscono alla formazione dell’essere umano. Ma, appunto, in quanto psicologo, il mio ambito d’interesse è la peculiarità della singola persona, per cui ho poi approfondito le varie teorie psicologiche sull’obesità per passare, infine, ad una lettura bioenergetica di questo sintomo e ad un tentativo di direzione della cura secondo questo approccio.

Introduzione

La prima volta che sono entrato in contatto con il concetto di obesità visto da un’ottica bioenergetica è stato nel testo dei coniugi Lowen “Espansione e integrazione del corpo in Bioenergetica” del 1977. A pagina 27 è presente l’immagine di un pancione, rappresentativo di come una costrizione alla regione pelvica possa causare una stasi energetica così evidente a livello addominale.

Rimasi molto colpito dalla figura, poiché mi ci rispecchiavo pienamente. Avevo trovato una chiave di lettura del mio sovrappeso che non fosse solo mentale. Poiché questo sintomo coinvolge palesemente la sfera del corpo mi è sembrato interessante, o meglio entusiasmante, sapere che esiste una modalità di cura che non solo interroga il soggetto sul suo corpo, ma gli dà la possibilità di esperire quelle parti di sé difficilmente accessibili con altri approcci. La difficoltà nella percezione degli stimoli corporali da parte dei soggetti sovrappeso è riconosciuta da diversi autori (Bruch, 1973; Cosenza, 2008; Recalcati e Zuccardi Merli, 2006), ma un conto è averne coscienza a livello mentale, un altro è provarlo pienamente anche con la totalità del proprio organismo.

Questa tesina, dunque, nasce da una domanda intimamente personale, che ha trovato alcune risposte in parte dai testi letti, ma soprattutto nel mio percorso personale, analitico e di vita quotidiana. Tante idee che ho qui messo per iscritto nascono proprio dal mio lavoro bioenergetico individuale e di gruppo, e rappresentano per me delle verità intime e profonde. Ho provato ad estrapolare i concetti emersi e generalizzarli, basandomi anche sulla letteratura riguardante l’obesità.

Lo scritto è suddiviso in cinque parti. Mi è sembrato importante iniziare dando una definizione di obesità, per passare ad analizzare i fattori genetici e culturali che rivestono un’importanza nell’eziopatogenesi di questo sintomo. In quanto psicologo penso che non si può comunque dimenticare che il nostro corpo risponde a delle leggi anatomo-fisiologiche ed è inserito in un contesto culturale ben preciso. Entrambi questi fattori contribuiscono alla formazione dell’essere umano. Ma, appunto, in quanto psicologo, il mio ambito d’interesse è la peculiarità della singola persona, per cui ho poi approfondito le varie teorie psicologiche sull’obesità per passare, infine, ad una lettura bioenergetica di questo sintomo e ad un tentativo di direzione della cura secondo questo approccio.
È bene leggere questo elaborato, soprattutto gli ultimi capitoli, avendo ben chiaro che si tratta di una serie di idee e congetture, tutte da verificare e approfondire.
Probabilmente il mio futuro come clinico andrà in questa direzione.

Di che cosa stiamo parlando?

L’obesità può essere banalmente definita come un eccesso di peso corporeo dovuto ad un’eccedenza di massa grassa. Percentualmente il grasso corporeo dovrebbe aggirarsi intorno al 15-18% in un uomo adulto e al 22-25% in una donna adulta. Riuscire però ad identificare un criterio obiettivo che permetta una misurazione precisa dell’adipe non è affatto semplice. Ci si rende immediatamente conto che il semplice peso corporeo non può essere un fattore affidabile. Per poter parlare di obesità, infatti, è necessario che il peso eccedente sia dovuto alla massa grassa, il tessuto adiposo, da distinguere dalla massa magra, costituita da ossa, muscoli e organi. Un elevato peso corporeo potrebbe, ad esempio, essere causato da un eccesso di massa muscolare, come accade nei body builder.

Vi sono metodi molto raffinati per determinare la distribuzione regionale del grasso corporeo: sono la Tomografia Assiale Computerizzata e la Risonanza Magnetica Nucleare. Si tratta di procedure complesse e costose, usate quasi esclusivamente per scopi di ricerca ma non applicabili nella pratica clinica corrente.
Sebbene, quindi, il peso corporeo non sia un indice sufficientemente attendibile, è però quello più semplice da poter utilizzare. Lambert Quételet ha dunque ideato l’Indice di Massa Corporea, definito come il rapporto tra il peso in kg e il quadrato dell’altezza espresso in metri (BMI=kg/m2). Oggigiorno questo valore viene universalmente accettato come un buon indicatore della corpulenza di un individuo adulto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto una tabella di classificazione degli stati ponderali.

Si può quindi parlare di obesità quando l’IMC supera il valore di 30. La poca affidabilità dell’IMC non è ascrivibile al solo fatto che non distingue fra massa grassa e massa magra, ma anche al fatto che non prende in considerazione la localizzazione corporea dell’adipe, fattore fondamentale per le complicanze metaboliche e cardiovascolari che l’obesità comporta, come ha dimostrato Jean Vague in un suo articolo del 1947 (in Bosello e Cuzzolaro, 2006, p. 21). A parità di IMC, una localizzazione del grasso corporeo di tipo viscerale, centrale (soprattutto addominale, caratterizzante l’obesità di tipo androide) si associa a maggior rischio di malattie e di morte rispetto a una localizzazione di tipo sottocutaneo, periferico (concentrata nelle regioni delle anche, delle cosce e dei glutei, come nell’obesità ginoide). Un buon indice in grado di differenziare efficacemente fra questi due tipi di obesità è il rapporto tra circonferenza della vita e dei fianchi, che non dovrebbe superare il valore di 0,95 nell’uomo e 0,80 nella donna.

Obesità tra natura e cultura

L’obesità è dovuta ad un’introduzione eccessiva di alimenti senza essere controbilanciata da un consumo equivalente: si tratta sempre di un bilancio energetico positivo.
I fattori che entrano in gioco nel permettere che l’energia in ingresso sia superiore a quella in uscita sono numerosi: abbiamo a che fare con variabili genetiche, sociali, culturali, psicologiche. Queste ultime verranno trattate più approfonditamente nei prossimi capitoli, per ora analizzerò brevemente i fattori genetici (natura) e sociali (cultura) che possono avere un ruolo importante, e a volte fondamentale, nell’obesità.

Fattori genetici

L’adiposità non è un parametro genetico interamente predeterminato, anche se è stato calcolato che il patrimonio genetico rende conto del 40% circa della varianza della massa corporea (Rigamonti e Müller, 2006, p. 51).
Il concetto centrale per poter comprendere appieno l’importanza di questi fattori è quello di metabolismo, che può essere definito come l’insieme e il ritmo dei processi attraverso i quali il corpo consuma energia per mantenere la vita. Mediamente la spesa energetica quotidiana è suddivisa tra metabolismo basale (circa il 70%), termogenesi (circa il 15%) e attività motoria (circa il 15%). L’energia consumata nel metabolismo basale è quella che più delle altre è regolata da fattori genetici. Cosa succede nelle persone che soffrono di obesità? Perché il loro metabolismo basale consuma meno energia delle persone normopeso?

Prima del 1994 già si era capito che nei soggetti obesi mancava una sostanza capace di dare un feedback al SNC sulle precise quantità di grasso accumulate nel corpo, ma fu solo in quell’anno che Friedman e coll. riuscirono a isolare una molecola capace di veicolare tale informazione, e venne chiamata leptina (Rigamonti e Müller, ivi, pp. 55-57). Questa molecola viene prodotta direttamente dal tessuto adiposo, scoperta che portò a parlare di organo adiposo più che di tessuto: le cellule grasse non sono solo depositi inerti di scorte energetiche, ma sono un vero e proprio organo con un funzionamento attivo e, in particolare, una importante produzione di ormoni. Negli anni successivi sono state individuate numerose altre molecole in grado di controllare secondo diverse modalità il peso corporeo. Si tratta di una fitta rete di segnali costituiti da ormoni e da neurotrasmettitori. Essi si articolano, si potenziano e si inibiscono in funzione delle informazioni che giungono dalla periferia sullo stato delle riserve adipose e sul fabbisogno di energia.

Negli ultimi anni l’approccio medico si è attivato in maniera considerevole nel tentativo di riuscire a individuare dei farmaci che possano controllare il peso corporeo, ma poiché questo è un complesso processo poligenico e multifattoriale, sembra assai improbabile che un singolo approccio farmacologico possa essere in grado di risolvere il problema dell’obesità.

Tuttavia, nel mondo scientifico si è ottimisti nel ritenere che presto saranno disponibili più classi di farmaci antiobesità e che sarà possibile somministrare “cocktail” di molecole preparate, su base individuale, per il paziente obeso con una specifica storia clinica (Rigamonti e Müller ivi, p. 79).

Fattori sociali

Negli ultimi decenni la prevalenza dell’obesità è aumentata in misura epidemica. In molti paesi industrializzati la sua diffusione ha superato la soglia del 15% della popolazione, il limite critico al di là del quale l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce un fenomeno epidemico ed impone interventi immediati (D’Amicis et al., 2006). Non è possibile pensare che in un lasso così breve di tempo siano avvenute mutazioni genetiche in tanti rappresentanti della nostra specie. Si è fatta strada nel pensiero scientifico l’ipotesi del gene suscettibile: le influenze genetiche sembrano esprimersi attraverso geni di suscettibilità che aumentano il rischio di sviluppare uno stato morboso ma non sono indispensabili per la sua espressione e, da soli, non sono sufficienti a spiegarlo.

Si deve pensare, insomma, che nella maggior parte dei casi di obesità non sia in gioco un difetto genetico particolare ma, piuttosto, un assetto genetico complessivo, molto diffuso fra gli organismi viventi, che nel corso di millenni si è sviluppato e perfezionato per far fronte, soprattutto, ai periodi di carestia. Tale profilo genetico rende la maggior parte degli esseri umani assai vulnerabili di fronte a un ambiente obesiogeno come quello attuale (Bosello e Cuzzolaro, 2006, p. 42).

Entrano in gioco, a questo punto, numerosi fattori ambientali e culturali che giocano un ruolo importante.
In primis va ricordata la grande transizione alimentare che ha caratterizzato gli ultimi decenni:  buona parte dell’umanità è passata da un’alimentazione dominata da cereali e ortaggi ad una ricca  di grassi e zuccheri semplici. Questo cambiamento di stile alimentare è stato favorito da numerosi cambiamenti sociali, quali l’aumento del reddito medio pro capite, la diminuzione dei costi di grassi e zuccheri, l’urbanizzazione, lo sviluppo da parte delle industrie alimentari di precise strategie di marketing e di tecniche pubblicitarie sempre più efficaci e aggressive.

Un secondo fattore che gioca una grande importanza è il ruolo che la sedentarietà assume nell’eziopatogenesi dell’obesità. Lo sviluppo tecnologico ha portato a una riduzione clamorosa del bisogno di muoversi a piedi e di lavorare manualmente, facendo spendere quindi meno energia.
Abbiamo visto nel capitolo precedente come la termogenesi, la capacità cioè di mantenere costante la temperatura corporea, contribuisca in modo sensibile al dispendio energetico. Il riscaldamento delle abitazioni e dei luoghi di lavoro sembra dunque contribuire all’aumento del peso corporeo.

Un fenomeno particolare che secondo vari ricercatori (Bosello e Cuzzolaro, 2006; D’Amicis et al.,2006) può aver contribuito all’aumento del sovrappeso e dell’obesità, almeno in alcuni paesi, è la riduzione della prevalenza del fumo di tabacco in seguito alle recenti campagne antifumo. Diversi studi epidemiologici hanno evidenziato come i fumatori, in media, pesino meno. Sembra che fumare e mangiare non vadano troppo d’accordo: in genere il fumo di tabacco tende ad associarsi ad un minor introito calorico giornaliero.
Il mondo scientifico è ormai concorde nel ritenere che i fattori genetici in sé non siano sufficienti a determinare in modo rigido la regolazione del peso corporeo. Chiaramente, l’adiposità non è un parametro genetico interamente predeterminato, così come i fattori sociali e culturali non agiscono inflessibilmente su ogni essere umano. Entrano qui in gioco altri fattori di tipo psicologico, che possono dare un senso al perché individui con lo stesso genoma e appartenenti al medesimo ambiente culturale non abbiano lo stesso peso. Numerosi studi citati da Rigamonti e Müller (2006, p. 51) indicano una concordanza media dell’IMC fra gemelli monozigoti del 74%. I fattori psicologici che entrano in gioco potrebbero spiegare efficacemente il 26% di discordanza.

Fattori psicologici nell’obesità

Ancora oggigiorno la comunità scientifica trova difficoltà a pensare l’obesità in termini psicologici. Ne è la riprova più lampante il fatto che il DSM-IV non la includa, e nemmeno ne accenni, tra i disturbi dell’alimentazione. Sembra che per questo sintomo godano di maggior consenso altri tipi di modello, che non quello psicologico. In particolare il modello morale, che considera i soggetti che soffrono di obesità come interamente responsabili della loro condizione, caratterizzandoli come esseri esclusivamente interessati alla ricerca del loro piacere, e il modello della malattia, che vede queste persone come aventi un’innata predisposizione all’obesità, sollevando il soggetto dalla responsabilità per il suo sintomo. Entrambi questi approcci non tengono conto delle variabili psicologiche che intervengono nell’obesità.

Questi tipi di interventi hanno trovato e trovano tutt’oggi numerosi consensi. Basti pensare alla teoria degli “esternalizzanti” di cui Weight Watchers è forse in questo campo l’esempio più significativo. Secondo questo approccio i soggetti che soffrono di obesità sono poco sensibili ai segnali interni e molto sensibili a quelli che provengono dall’ambiente circostante. Il programma di cura si declina, dunque, secondo una regolazione alimentare ottenuta con la padronanza dell’ambiente (Apfeldorfer, 1994)
A mio avviso, teorie che prendano in esame la responsabilità del soggetto coinvolto nei confronti del proprio sintomo possono spiegare in modo più profondo e preciso il problema dell’obesità. Farò dunque riferimento a tre importanti filoni teorici: il primo che, sulla falsariga degli studi di Karl Abraham, vede l’obesità come una patologia dell’oralità; un secondo approccio esemplificato dal lavoro di Hilde Bruch; un terzo che si situa nell’ambito del lavoro di Lacan ed ha inaugurato una clinica orientata alla comprensione delle Nuove Forme del Sintomo.

Il paradigma evolutivo-stadiale della pulsione

Karl Abraham, allievo di Freud, ha approfondito il modello di sviluppo psico-sessuale stadiale concettualizzato dalla psicoanalisi. L’idea di base è che l’essere umano evolve per diverse fasi, caratterizzate da una differente localizzazione dell’energia libidica. Per poter passare al livello successivo è necessario che la libido non sia invischiata ma possa fluire liberamente alla fase seguente. Si passerebbe dunque da un’iniziale momento di oralità ad una fase anale ed infine genitale. All’interno di questa complessa costruzione dottrinaria, il posto dei disturbi alimentari è inquadrato in un arresto dello sviluppo libidico allo stadio sadico-orale, contraddistinto da una relazione cannibalesca con l’oggetto.

Abraham (1916) arriva a queste conclusioni osservando il rifiuto del cibo tipico dei soggetti melanconici. Il paziente depresso, afferma l’autore, nel suo inconscio volge sul suo oggetto sessuale il desiderio d’incorporazione. Nel profondo del suo inconscio si trova la tendenza ad inghiottire l’oggetto, ad annientarlo.
Il melanconico si addossa pesanti autoaccuse per tenere fuori dalla coscienza i desideri cannibalici che sarebbero rivolti all’annientamento dell’oggetto d’amore e, dunque, intollerabili. Il rifiuto del cibo lo preserva da questa pulsione. L’individuo orale, infatti, è dominato da un intenso bisogno di incorporazione e divoramento. Il suo funzionamento mentale è caratterizzato dall’avidità, dall’incapacità di aspettare, dai comportamenti eccessivi, dalle reazioni su una modalità binaria, dalla grande versatilità dei sentimenti: gioia, tristezza, angoscia o collera si alternano senza sfumature.

Avendo difficoltà a distinguere tra sé e non-sé, l’individuo orale vive ogni relazione in modo fusionale, passivo e dipendente dall’altro, alternando l’avidità affettiva e il rigetto brutale. Il mangiare ingordo della persona che soffre di obesità diventa dunque un tentativo sadico di incorporare dentro di sé l’oggetto d’amore.

Il paradigma di Hilde Bruch

Hilde Bruch si colloca nel filone psicoanalitico, pur discostandosene parzialmente. La sua formazione dinamica si evince immediatamente dalle prime pagine di “patologia del comportamento alimentare” (1973), testo di riferimento negli studi sui disturbi dell’alimentazione. L’autrice afferma infatti che

l’obesità, pur rappresentando un difetto dell’adattamento, può servire da protezione contro una malattia più grande e rappresenta uno sforzo per restare sani o esser meno malati. Questi individui, indipendentemente dal loro peso corporeo, che può essere eccessivo o meno, non possono vivere una vita normale, a meno che i problemi che sono alla base della loro anomalia vengano chiariti e risolti. La perdita di peso è per loro una questione secondaria. (Bruch, 1973, p. 14)

Il sintomo come metafora di un conflitto inconscio, dunque. L’autrice si discosta però immediatamente dall’idea psicoanalitica di doverne svelare il significato attraverso l’interpretazione. La sua pratica clinica le mostra, infatti, che non è questa la strada più idonea per trattare questo sintomo. Per lei il disturbo fondamentale consiste in una cattiva discriminazione tra differenti sensazioni fisiche, bisogni corporali ed emozioni, fame, sazietà, angoscia o collera, che restano amalgamati.

Questi disturbi sarebbero la conseguenza di un cattivo apprendimento dell’infanzia, in cui la madre ha imposto i propri bisogni e desideri al bambino. Se alle sue necessità e desideri, inizialmente poco differenziati, sono mancati conferma e rafforzamento o se le risposte sono state contraddittorie e confuse, il bambino cresce pieno di perplessità ogni qualvolta tenti di distinguere i suoi disturbi nel campo biologico dalle esperienze emotive. Sarà così un individuo privo del senso del suo essere una creatura a sé stante, avrà difficoltà a crearsi dei confini e si sentirà in continua balia di forze esterne.

Se la madre offre cibo in risposta a segnali indicanti il bisogno di nutrimento, il bambino svilupperà gradualmente l’engramma di “fame”, quale sensazione diversa da altri stati di tensione o di bisogno. D’altro canto, se la reazione materna è sempre incongrua – a prescindere dal suo carattere di negligenza o di eccessiva sollecitudine, di costrizione o di permissività indiscriminata – il risultato per il bambino sarà una confusione che lo renderà sempre perplesso. Quando sarà più grande non saprà distinguere tra l’aver fame e l’essere sazio, tra il bisogno di mangiare e qualche altro stato di disagio o di tensione. (Bruch, 1973, p. 79).

La cura di questo sintomo, come precedentemente accennato, non può, a detta della Bruch, andare nella direzione classicamente psicoanalitica dell’interpretazione, che può rappresentare per il paziente la ripetizione catastrofica dell’esperienza che qualcuno sa meglio di lui quello che sente e prova, confermandogli il suo senso di inadeguatezza. Diventa importante, per l’autrice, permettere al paziente di parlare delle proprie emozioni senza che il terapeuta si posizioni come “soggetto supposto sapere”, per dirla con Lacan, permettendo al paziente di esaminare i vissuti che il problema del cibo maschera. Il paziente che soffre di obesità, infatti, tende ad incolpare il suo sovrappeso per tutti i problemi relazionali ed intrapersonali che ha. Crede fermamente che, una volta dimagrito, anche tutti i suoi problemi svaniranno. Ma la realtà clinica mostra che non è affatto così. Diventa importante, dunque, che la dieta dimagrante inizi quando il paziente è veramente pronto, quando può essere considerata come un compito razionale al fine di ridurre il peso corporeo e non come una forma di magia, atta a risolvere i problemi esistenziali.

Il paradigma delle Nuove Forme del Sintomo

Questo approccio viene introdotto con particolare riferimento alla clinica delle tossicomanie e mette in opera una lettura dell’Altro contemporaneo e delle nuove forme del disagio nella civiltà alla luce delle teorie e della clinica dell’ultimo Lacan. (Cosenza, 2008). Gli autori appartenenti a questa corrente riconoscono un’importante fattore sociale nell’eziopatogenesi dell’obesità. Essi affermano che l’imperativo sociale del dovere che caratterizzava l’epoca freudiana si è sostituito, nella società attuale, al godimento come dovere.

L’attuale programma della civiltà non esige affatto la rinuncia al soddisfacimento immediato, ma lo incentiva, lo comanda, lo richiede (Recalcati e Zuccardi Merli, 2006, p. 14).

Inoltre la nostra epoca si caratterizza per la metamorfosi della mancanza in vuoto: la mancanza strutturale che costituisce l’essere umano in quanto tale viene trasformata in un vuoto localizzato, come un contenitore che può e deve essere sempre riempito. È l’esempio che ci fornisce l’obesità, la quale in effetti riduce la mancanza dell’esistenza al vuoto anatomico dello stomaco che esige costantemente di essere riempito. Non esiste più, per questi soggetti, la possibilità di esperire il vuoto. Qui sta il paradosso: il paziente che soffre di obesità si sente vuoto anche se è pieno e viene imprigionato nel suo corpo, che diventa come un’armatura, una difesa paradossale dall’incontro inquietante col desiderio dell’Altro. Il corpo troppo pieno si difende dall’angoscia del vuoto, ma finisce per generare un’angoscia ancora più terribile: l’angoscia di un pieno che soffoca e cancella il soggetto (Recalcati, 2008).
Chi soffre delle nuove forme del sintomo palesa il rifiuto dell’Altro, si richiude autisticamente attorno alla sostanza di godimento, che nel caso dell’obesità, è il cibo. L’esperienza clinica lo mostra chiaramente su due versanti. Innanzitutto le abitudini alimentari, in particolare la tendenza a consumare il cibo in solitudine, ci mostrano un soggetto che non coinvolge l’Altro nel suo disagio. In secondo luogo il sintomo obeso si configura già come un tentativo di risposta ad un rapporto insostenibile con l’Altro, innanzitutto con l’Altro materno (Recalcati, 1997).
Il disturbo alimentare non si struttura come metafora del ritorno del rimosso, ma diventa qualcosa che per il suo forte potere denotativo sembra avere sostituito addirittura il nome del soggetto. Il paziente obeso non si presenta portando un sintomo, ma identificandosi con esso. “Sono obeso”, non “soffro di obesità”. Questa forte identificazione con il sintomo fa scomparire il soggetto, rendendo anonima la sua domanda. Sostenere di essere obesi è come operare una specie di desoggetivizzazione e di psichiatrizzazione del sintomo. In questa nominazione anonima il soggetto non esiste più, se non come obeso. Senza una separazione del soggetto dall’identificazione al sintomo non è possibile che prenda avvio nessuna domanda di cura.
L’analista non deve concentrare le sue attenzioni sul problema alimentare in sé. Si tratta di allentare con il tempo il legame con un godimento chiuso in se stesso, limitato al circuito del cibo, per riallacciare la persona a un legame sociale possibile. Attraverso il transfert, l’inconscio del paziente è messo al lavoro, spostando l’attenzione dal cibo alla soggettività. Questo non significa però che il sintomo venga lasciato nel suo stadio attuale, perché implica un danno che blocca la vita e la progettualità: guarire significa fare in modo di aumentare la consapevolezza sul suo senso, di renderlo meno invalidante per chi ne soffre, promuovendo la capacità di farne a meno, secondo modi e tempi assolutamente individuali e non prefissati in anticipo. Il problema del cibo solitamente è l’ultima cosa che va a posto. Esso si pacifica solo quando il soggetto entra in contatto col suo desiderio, quando lo rende più frequentabile. Per questo uno dei segni più indicativi della buona strada della cura è un improvviso innamoramento, che slega il soggetto dal circolo autistico fra sé e il suo sintomo (Recalcati e Zuccardi Merli, 2006).

4. L’approccio bioenergetico all’obesità

Durante il mio percorso analitico mi è capitato di lavorare sul problema della mia obesità. Ricordo ancora con chiarezza quando, dopo un esercizio di radicamento, ho percepito la mia pancia piena di energia pronta a scoppiare. Ho avuto un’immagine, forse Helferich (2001) la chiamerebbe visione terapeutica anche se non si è trattato di un episodio regressivo, in cui ho visto il mio addome come un palloncino eccessivamente dilatato che non trovava un modo per sgonfiarsi. Ho sentito che le contrazioni del diaframma e del bacino imprigionavano questa energia e così la mia pancia, per non scoppiare, aveva dovuto allargare i propri confini, proprio come fa un palloncino quando lo si gonfia. Questo è stato il primo momento in cui ho iniziato ad interrogarmi veramente sul mio sovrappeso.
Ciò che mi ripropongo in questo capitolo, dunque, è di condividere le mie riflessioni, sensazioni, impressioni riguardanti questo tema, parlando del significato simbolico della pancia secondo diversi autori psico-corporei e di come esistano dei tratti di ogni carattere loweniano che possono sovrapporsi ad alcune caratteristiche del soggetto che soffre di obesità.

La pancia

L’obesità maschile, a differenza di quella femminile, è caratterizzata da un accumulo adiposo nella regione del ventre, soprattutto quando insorge in età adulta (la cosiddetta pancetta di mezz’età). Per questo ritengo sia importante soffermarsi sul significato che questa zona simbolizza all’interno del corpo umano.
Innanzitutto vi è da fare una considerazione puramente anatomica: la cavità addominale è la zona meno protetta del nostro corpo. Essa contiene diversi organi vitali, ma nonostante ciò non ha strutture dure che la possano difendere. Se ci muovessimo ancora a quattro zampe sarebbe salvaguardata posteriormente dalla schiena, lateralmente dai fianchi e dagli arti e inferiormente dalla terra. Ma con l’assunzione della postura eretta l’essere umano ha finito per esporre il proprio ventre delicato al mondo (Dychtwald, 1977).

Diversi autori concordano nel ritenere che in questa zona hanno origine le nostre sensazioni. È un deposito di sentimenti, immagini, idee, desideri e intenzioni, spesso inespressi e non riconosciuti, tanto che Totton ed Edmondson (1988) l’hanno definito l’inconscio del corpo-mente. Qui sono presenti i sentimenti viscerali, la nostra parte più istintiva e primordiale. Gli stessi coniugi Lowen (1977) affermano che spesso le persone tengono la pancia in dentro per combattere la propria natura animale fondamentale, situata proprio in questa parte del corpo.
Brown, fondatore della psicologia organismica, asserisce che

il nucleo della condizione umana è costituito da quattro regioni del corpo che consentono distinte modalità di contatto emotivo-cognitivo tra soggetto e mondo: il torace, l’addome, la parte superiore e inferiore del corpo. […] La regione dell’addome è predisposta a rivolgersi all’interno, verso l’ampiezza e la profondità del mondo interiore dell’anima e del corpo. Gli organi addominali ci forniscono quei messaggi propriocettivi che comunicano momento per momento il vero modo di essere della nostra anima incarnata. Tali messaggi, originariamente trasmessi dalle ossa e dai muscoli, vengono poi filtrati internamente attraverso i visceri. La regione addominale media la compenetrazione del nostro essere e la percezione di una profonda armonia interna, veicolando un profondo amore ed accettazione di sé, attimo per attimo. Infine, quando si raggiunge una totale fusione tra psiche e anima essa rappresenta la sorgente del processo primario da cui scaturisce la serenità interiore (Brown, 1990, pp. 59-60)

Tra gli autori psico-corporei che si sono interessati a questa importante zona Gerda Boyesen occupa sicuramente un posto a parte. Questa autrice, nata nel 1922 a Bergen, in Norvegia, oltre alla fisioterapia ha studiato psicologia all’Università di Oslo e vegetoterapia con Ola Raknes; in seguito è stata vegetoterapeuta all’Istituto Bülow-Hansen e psicologa clinica in diversi ospedali psichiatrici norvegesi. A lei si deve la scoperta del significato psicologico delle peristalsi intestinali. Rifacendosi ad un articolo del 1964 del professor Johannes Setekleiv (in Boyesen, 1990) l’autrice inizia a concettualizzare la nozione di psicoperistalsi: le energie in eccesso trovano una via di scarica nei movimenti peristaltici dell’intestino. La Boyesen, infatti, asseriva che esistono quattro vie di scarica dell’energia, due ascendenti e due discendenti. Le vie superiori sono le urla (via forte) e la verbalizzazione (via debole), mentre quelle inferiori sono la diarrea (via forte) e la psicoperistalsi (via debole). Mi sembra interessante riportare di seguito un breve stralcio di come la Boyesen sia arrivata a questa teoria.

Continuavo a massaggiare i pazienti agendo unicamente sulle membrane cariche di fluido energetico. Riducevo la pressione di tale fluido e allora udivo i gorgoglii peristaltici. In questo modo, assistetti alla progressiva scomparsa dei sintomi e potei rendermi conto di cosa fosse la scarica vegetativa dolce che cercavo: una notte, ero sveglia e udii il rumore peristaltico nel ventre di mio marito. Compresi che si trattava della risposta del mio interrogativo: qual è la via dolce della scarica vegetativa? Ormai mi sembrava evidente che non era necessaria la diarrea per eliminare le tensioni nervose dell’organismo, dato che questo aveva i suoi meccanismi di regolazione delle tensioni da eliminare: la psicoperistalsi. Il canale istintuale ed emotivo, il canale dell”Es’, è anche la via della dissoluzione, della ‘fusione’ dell’energia emotiva (Boyesen, 1990, pp. 65-66).

La comprensione simbolica di questa zona corporea può dare significati nuovi all’obesità, visti secondo una luce bioenergetica. L’adipe accumulato nella pancia verrebbe ad essere una difesa del soggetto dal sentire, dall’essere vivo e luminoso, dall’essere carico ed energico. Si tratta di un vero e proprio scudo che il soggetto erige per non entrare in contatto con Hara, con la parte pulsionale di se stesso. Già la Bruch (1973) aveva notato come sia caratteristico di questi soggetti la difficoltà di contattare i propri desideri e le proprie pulsioni. Anche Lidell (1984) riconosce che un ventre obeso e pesante può soffocare le sensazioni sottostanti. Isolato dal suo centro vitale, un simile individuo può essere incapace di riconoscere e soddisfare le proprie esigenze.

Tratti caratteriali nell’obesità

Riflettendo sull’obesità in termini di strutture caratteriali bioenergetiche mi sono reso conto di come questo sintomo presenti delle caratteristiche ascrivibili a tutti e cinque i caratteri loweniani, dallo schizoide al rigido.
In questo capitolo mi ripropongo di analizzare uno per uno i cinque fondamentali caratteri per focalizzarmi sulle caratteristiche del sintomo obeso presenti in ciascuno di essi. Non mi soffermerò nella descrizione delle varie strutture, rimandando eventualmente a Lowen (1958, 1875), Johnson (1994) e Marchino e Mizrahil (2004) per un eventuale approfondimento.

Carattere schizoide

I punti che questo carattere si trova ad avere in comune con il sintomo obeso sono principalmente due: la negazione del corpo e la difficoltà ad avere dei confini ben strutturati.
Il primo punto è talmente caratterizzante lo schizoide che Lowen (1967) utilizza buona parte de “Il tradimento del corpo” per parlare della difficoltà di percepire sensazioni corporee tipica di questa tipologia caratteriale.

Si abbandona il corpo quando diventa fonte di dolore e umiliazione invece che di piacere e orgoglio. Si rifiuta allora di accettarlo o di identificarsi con esso. Ci si rivolta contro di lui. (Lowen, 1967, p. 223).

Lo schizoide è riuscito a rendere tollerabile il terrore di essere annientato semplicemente perché esiste annullando le sensazioni corporee.
Anche se le motivazioni di base possono essere differenti, il sintomo obeso si struttura in maniera simile. L’adipe in eccesso serve ad ovattare i bisogni emotivi ed affettivi perché intollerabili. Ciò che il soggetto che soffre di obesità ha dovuto compiere è annullare il corpo per non sentire i propri desideri. Hilde Bruch (1973) ha elaborato la sua clinica sulla difficoltà di questi pazienti ad ascoltare le sensazioni corporee.
Se, con Anzieau (1985), vogliamo leggere il significato simbolico della pelle come membrana che delimita i confini fra mondo interno e mondo esterno, ci si rende subito conto che nel carattere schizoide questo punto racchiude intense problematicità. L’energia è tutta congelata al centro e non è disponibile nelle parti periferiche. La pelle di questi soggetti è spesso fredda, scarica energeticamente e non ha la possibilità di adempiere alle principali funzioni che Anzieau (ibidem) le ha riconosciuto: superficie che delimita il dentro dal fuori e, di conseguenza, barriera che protegge dall’aggressività esterna.
Le persone che soffrono di obesità hanno tendenzialmente dei confini molto poco marcati. Ciò è ben visibile nella classica camminata ciondolante che li caratterizza. Il loro continuo dondolamento, più o meno visibile ma spesso presente, potrebbe significare una difficoltà a restare dentro dei limiti direzionali ben precisi, rappresentati dalla traiettoria in cui il corpo si muove. Il corpo enorme di questi pazienti può essere anche letto come un bisogno di estendere i propri limiti fisici, come se essi stessi non fossero in grado di percepire fin dove i loro confini arrivino.

Carattere orale

Il carattere orale, insieme a quello masochista, è quello che più profondamente incontra il sintomo obeso.
Il corpo del carattere orale è tendenzialmente molto sottile a causa delle forti deprivazioni di nutrimento affettivo. Accade però, talvolta, che dei caratteri orali abbiano compensato questo stato di denutrizione aumentando il loro stato corporeo fino all’obesità. Abbiamo già visto come la prima psicoanalisi, con Abraham (1916) in particolare, punti notevolmente sull’interpreta-zione dell’obesità come sadismo orale.
Il punto a mio avviso più pregnante che il carattere orale ha in comune con il sintomo obeso è la difficoltà ad incontrare e a reggere la propria mancanza. Questo soggetto, intimamente segnato dal bisogno d’amore negatogli all’inizio della sua vita, sviluppa un desiderio intenso di relazione con l’altro, ma con la paura concomitante di essere nuovamente abbandonato. Il carattere orale, dunque, tende, una volta instaurata una relazione, ad aggrapparsi al partner.

Quando non è ben difeso, o quando le sue difese non funzionano, l’orale si perde nell’amore. Quando la speranza di trovare il paradiso perduto si riaccende, la persona si perde nella simbiosi (Johnson, 1994, p. 138).

Le stesse dinamiche sono ravvisabili nel soggetto che soffre di obesità. La difficoltà a stare da solo lo possono portare a cercare delle relazioni affettive anche con partner non adeguati. La modalità privilegiata che questi soggetti utilizzano, però, è utilizzare il cibo come riempitivo del senso di solitudine che attanaglia loro l’anima.
Energeticamente c’è un aspetto che accomuna in maniera marcata il carattere orale e il soggetto che soffre di obesità. Nell’orale

l’energia scorre verso l’alto, non verso il basso. Le gambe sono insufficientemente caricate, e non si mantiene il contatto con il terreno. Non c’è aumento dell’eccitazione genitale. A causa di questa mancanza di contatto con il suolo, che è la controparte della mancanza psicologica di contatto con la realtà, si sente che questi individui sono “tra le nuvole”, “fluttuano nello spazio”, e con loro i contatti non si stabiliscono (Lowen, 1958, p. 157).

Una difficoltà riscontrata nel soggetto che soffre di obesità è l’impossibilità per l’energia di fluire verso il basso. La contrazione pelvica è talmente marcata che l’energia non può scaricarsi a terra e ristagna nel ventre. Con l’andare del tempo i muscoli superiori dell’addome si possono indebolire, trasformando la pancetta in pancione (Lowen e Lowen, 1977). Questa tensione cronica a livello pelvico serve a non percepire il desiderio sessuale ed è tipico anche del carattere orale.

Carattere psicopatico

Il carattere psicopatico potrebbe apparire quello che meno ha caratteristiche psicologiche, energetiche e relazionali in comune con il sintomo obeso. Il falso sé dello psicopatico basato sull’idea di essere il migliore sembra avere poco in comune con il senso di nullità con cui si percepisce il paziente che soffre di obesità. In realtà questo stile caratteriale può essere letto attraverso la polarità grandiosità-indegnità. Johnson  (1994, p. 193) afferma che

anche se la maggior parte delle descrizioni della personalità narcisistica si incentra sull’aspetto di compensazione di questa polarità (mancanza di umiltà, incapacità di accettare il fallimento, paura di essere impotenti, manipolazione, lotta per il potere e enfatizzazione della volontà), molti individui narcisistici evidenziano, spesso nella prima seduta di psicoterapia, la polarità opposta. Possono confessare il loro profondo senso di indegnità, il petulante rammarico di non essere o non avere mai abbastanza, il bisogno di procurarsi un valore provvisorio e la profonda invidia per chi percepiscono sano e di successo. All’interno di questa confessione c’è spesso l’ammissione di ingannare gli altri attraverso lo sfoggio di forza, competenza e felicità.

I conflitti di base dello psicopatico e del soggetto che soffre di obesità sono dunque simili. Quest’ultimo vive costantemente nell’idea di essere inferiore a chiunque altro, di non avere alcun valore per nessuno. Lo psicopatico ha messo però in atto una difesa che lo caratterizza profondamente, la formazione reattiva, con lo scopo di allontanare dalla sua coscienza la percezione dei suoi vissuti di inettitudine. Questo stile difensivo, infatti, consiste nel tenere lontano un desiderio od impulso inaccettabile adottando un tratto di carattere diametralmente opposto. Il paziente che soffre di obesità, invece, non ha fatto proprio questo stile difensivo, identificandosi pienamente con i suoi vissuti di inidoneità.
Queste similitudini sono riscontrabili anche negli stili d’attaccamento simili: sia lo psicopatico che il soggetto che soffre di obesità sono caratterizzati da un caregiver che sapeva meglio di loro qual era il loro bene. La Bruch (1973) analizza a fondo le famiglie dei suoi pazienti, osservando che sono per la maggior parte caratterizzate da madri che imponevano ai figli i propri desideri, seducendoli e facendo loro credere che questi desideri fossero loro. Lowen (1975), parlando del carattere psicopatico, sottolinea come il fattore più importante nell’eziologia di questa condizione sia la seduzione coperta del genitore nei confronti del bambino al fine di soddisfare i propri bisogni narcisistici. In questa condizione il bambino si trova costretto a fare propri questi desideri, in quanto le sue percezioni ed emozioni non vengono riconosciute e sostenute dal mondo esterno.

Carattere masochista

Come già anticipato questo carattere è quello, insieme all’orale, che ha più affinità con il sintomo obeso.
Innanzitutto a livello di tensioni energetiche ci sono delle similitudini evidenti: il blocco tra la bocca dello stomaco e l’ano li caratterizza entrambi. Marchino e Mizrahil (2004) parlano di questa energia compressa paragonandola al vapore di una pentola a pressione. Anche nel soggetto che soffre di obesità è presente una pressione talmente forte che il ventre, non trovando un modo per sfogarla, si deve espandere a livello addominale per mantenere la tensione energetica a livelli accettabili. I due autori continuano parlando del carattere masochista, affermando che

il suo diaframma, proprio come fosse il coperchio di una pentola a pressione, si irrigidisce, impedendogli di espirare in modo completo. Se espirasse si svuoterebbe, entrando in contatto con la propria vulnerabilità, ma il masochista non sopporta di percepire la sua fragilità. Ama invece sentirsi pieno e forte, e la sua energia compressa gli dà un senso di solidità (Marchino e Mizrahil, ibidem, p. 134).

Il soggetto che soffre di obesità sembra incarnare facilmente la maschera della vittima tipica del masochista. Questi pazienti tendono a pensare che tutti i loro problemi siano dovuti al loro eccesso di peso, lamentandosene spesso. Sanno di essere responsabili, con le loro alterate abitudini alimentari, della loro obesità, ma si sentono in balia di forze potenti che non permettono loro di esercitare alcun controllo sull’ingestione del cibo. Johnson, parlando del carattere masochista, sembra delineare uno spaccato preciso del soggetto che soffre di obesità.

L’essenza della soggettività masochistica è l’impotente sensazione di essere intrappolati in un circolo vizioso di sforzi che terminano sempre nella frustrazione. Questo stallo vitale cronico e stremante genera impotenza, pessimismo, disperazione, profonda sfiducia riguardo al futuro. Questa cronica sofferenza per una realtà sempre uguale viene di solito affrontata solo sopportandola e condividendola con chiunque sia disposto ad ascoltare (Johnson, 1994, p. 243)

Eziologicamente il carattere masochista ha delle caratteristiche comuni al soggetto che soffre di obesità. Ad entrambi viene negato il diritto di imporsi con i propri desideri, colpevolizzando ogni movimento spontaneo. L’atteggiamento intrusivo materno emerge chiaramente nel campo dell’alimentazione. Il bambino che diventerà masochista viene forzato a mangiare anche quando è pieno, facendo propri questi desideri di cibo, pena la colpevolizzazione da parte del genitore. Tipica è la frase: “mangia la pappa che ti ho preparato con tanto amore, altrimenti mi fai diventare triste”. Il bambino deve dunque imparare a tenere giù il cibo, a mangiare anche quando è pieno. Questo comportamento gli permette di non contattare la rabbia che può provare nei confronti della madre che lo obbliga a mangiare, poiché probabilmente sarebbe insostenibile. Da qui nasce il senso di colpa che caratterizza le vita emotiva del masochista: il costante giudizio negativo della madre fa emergere la profonda sensazione nel bambino che in lui ci sia qualcosa di sbagliato. Questa emozione caratterizza fortemente anche la vita emotiva del soggetto che soffre di obesità, che si sente spesso in colpa per le sue azioni, soprattutto per quel che riguarda il cibo.

Carattere rigido

Questo carattere è quello che, a mio avviso, ha meno caratteristiche comuni con il sintomo obeso. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che l’eziologia dell’obesità è in parte caratterizzata da traumi in fasi precoci della vita del bambino. Il carattere rigido, invece, situa la sua eziologia nella fase edipica, dopo i tre anni, ed è contraddistinto dalla mancanza di esperienze particolarmente nocive con il caregiver nel periodo di vita precedente. La tipologia rigida che ha dei punti in comune con il sintomo obeso è quella dell’ossessivo-compulsivo, che Lowen (1958, p. 260) definisce come

la forma estrema di rigidità a livello psicologico,

quindi la meno evoluta. Le ossessioni possono essere definite come pensieri egodistonici ricorrenti, mentre le compulsioni sono delle azioni ritualizzate che devono essere fatte per alleviare l’ansia. Nel paziente che soffre di obesità si ritrova tutto questo: l’ossessione per il cibo  e il ricorso compulsivo ad esso per non entrare in contatto con l’ansia che potrebbe scaturire dal sentire la propria mancanza.

Una possibile direzione bioenergetica della cura

Si tratta di una malattia dell’amore e non dell’appetito
Recalcati e Zaccardi Merli, Anoressia, bulimia e obesità

Questo ultimo capitolo vuole essere una trattazione succinta dei principali punti di orientamento nella cura del soggetto che soffre di obesità dalla prospettiva dell’analisi bioenergetica.
Nella cura del sintomo obeso penso sia necessario concentrarsi inizialmente sull’analisi della domanda portata dal paziente. Questo, infatti, tendenzialmente sarà propenso a chiedere un aiuto nel dimagrire, convinto che in questo modo tutti i suoi problemi svaniranno automaticamente. È invece importante che l’analista non colluda con questa sua fantasia e chiarisca adeguatamente sin dall’inizio che l’analisi non porterà necessariamente ad un calo ponderale, ma che in questo spazio si possono valutare, analizzare e contattare le emozioni, i desideri, le aspettative che questo sintomo porta con sé. Probabilmente questa posizione dell’analista attiverà delle difese nel paziente. Il compito del terapeuta è quello di trasformare la domanda iniziale di aiuto nella ricerca, all’interno della relazione transferale, delle cause della genesi della malattia, ricordando gli eventi salienti della sua vita e il modo in cui li ha vissuti, affinché il sapere che elabora durante questo percorso lo spinga a modificare le scelte che ha fatto e i vantaggi paradossali che ottiene dal suo disagio.

Si tratta di allentare con il tempo il legame con un godimento chiuso in se stesso, limitato al circuito del cibo […] per riallacciare la persona a un legame sociale possibile. […] Attraverso il tranfert, unico vero motore della cura, l’inconscio della paziente è messo al lavoro, spostando l’attenzione dal cibo alla soggettività, dall’ossessione per il corpo all’essere della persona (Recalcati, Zuccardi Merli, 2006, p. 108).

A livello corporeo penso sia necessario lavorare su diversi fronti.
Innanzitutto sono convinto dell’importanza per questi soggetti di frequentare costantemente delle classi di esercizi. Le tensioni che li caratterizzano, infatti, hanno bisogno di un lavoro duraturo e persistente. I punti su cui lavorare sono principalmente due: l’autopercezione corporea e la scarica a terra.
Il primo fattore è una condizione necessaria a qualunque possibile cambiamento. Il soggetto che soffre di obesità, come abbiamo infatti visto con la Bruch (1973), si caratterizza per una difficoltà nel riconoscere sensazioni e movimenti interni. Dargli la possibilità di iniziare a differenziare questi stati perennemente mischiati tra loro può permettere a questi pazienti di riconoscere l’utilizzo smodato del cibo come riempitivo slegato dal circuito della fame: l’ansia può iniziare ad essere percepita come ansia e la fame come fame, senza confusione. Un lavoro corporeo basato sull’attenzione costante alla verità del proprio corpo, al respiro, alla percezione delle tensioni è, dunque, un’indispensabile base da cui poter protrarre il lavoro bioenergetico con questi pazienti.

Un’importanza rilevante assume anche la possibilità di scaricare a terra l’energia in eccesso, anche se probabilmente si tratta di un passaggio da attuare in un secondo tempo nel percorso analitico. Come abbiamo visto precedentemente, infatti, la tensione al bacino non permette all’energia di scendere. Un lavoro costante sul radicamento è necessario per attivare il processo vibratorio di scarica. Questo, infatti, a mio avviso, è la scarica dolce che invece la Boyesen (1990) ha individuato nella psicoperistalsi. La caratteristica di attività che contraddistingue la vibrazione, a differenza della passività dei processi peristaltici, può aiutare il soggetto a ritrovare una forma di capacità di controllo sul proprio corpo. Tutti quegli esercizi che attivano la vibrazione, dunque, sono i più indicati con questi pazienti. Piegare le gambe nell’inspirazione e risalire nell’espirazione, in particolare, è l’attività che più si addice a questo compito. Penso, infatti,  che tutti quegli esercizi di scarica forte, come lo scalciare da sdraiati, rendano difficoltosa la percezione fine dei propri movimenti interni, che dovrebbe invece caratterizzare il lavoro con questi pazienti.
Penso possa essere utile, inoltre, l’utilizzo di massaggi relazionali, come il massaggio a farfalla di Eva Reich. Questo tipo di contatto, infatti, è molto utile nel lavoro sui confini corporei (Reich, Zornànsky, 1997). Applicando il principio dello stimolo minimo si permette al paziente di esperirsi in modo dolce, senza toccare dei nuclei eccessivamente dolorosi che potrebbero ulteriormente irrigidire la corazza del paziente.

Conclusioni

Mentre scrivevo questo elaborato mi è più volte sorto il dubbio di aver trattato poco la parte prettamente bioenergetica. Riflettendoci sono però arrivato alla conclusione che questo lavoro riunisce in sé due aspetti fondamentali dell’analisi bioenergetica: il lavoro mentale ed il lavoro corporeo. Spesso sono portato a credere che possa essere definito bioenergetico solo il lavoro corporeo, dimenticando l’origine psicoanalitica di questo approccio. Mi trovo invece d’accordo con Downing (1995) quando afferma che nelle terapie corporee è importante il lavoro corporeo, ma lo è altrettanto il lavoro analitico verbale. Un buon approccio terapeutico, quindi, penso non possa prescindere da una conoscenza non solo dei processi energetici, ma anche delle motivazioni inconsce che il sintomo nasconde. Rileggendo la tesina una volta terminata mi sembra che tenga debitamente in considerazione entrambi questi aspetti.
Per tutto l’elaborato ho deliberatamente deciso di non parlare mai di soggetto obeso, ma di soggetto che soffre di obesità. Questo per non colludere con l’aspetto identificatorio che fa del peso di questi pazienti l’unico aspetto in cui si possono riconoscere.

Ho inoltre sempre parlato di obesità come sintomo: sono infatti convinto che non si tratti di un semplice quadro nosografico, come la linea seguita dal DSM IV potrebbe proporre, ma sia il risultato di un processo di costruzione inconscia in cui il soggetto che ne patisce ne è implicato, anche se può non saperlo e rifiutare di riconoscerlo.
Come accennato nell’introduzione, questa tesina nasce dal bisogno e dal desiderio di fermarmi a riflettere su questo sintomo che il mio inconscio ha scelto per me. Durante la stesura ho scoperto varie cose di cui non ero consapevole e vari spunti da poter portare nel mio lavoro analitico.
Grazie a tutti coloro che mi hanno dato la possibilità di avvicinarmi un po’ di più a me stesso.

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“Riflessioni bioenergetiche sull’obesità maschile”, tratto in data 01-12-2008 da Obiettivo Psicologia. Formazione, lavoro e aggiornamento per psicologi

Corporeità e Cultura: essere grounded nella storia e nel presente di Livia Geloso

L’Analisi Bioenergetica, dal punto di vista della storia delle idee e delle pratiche sociali, non è un fenomeno a sé stante, ma appartiene a un variegato ed ampio movimento che può essere denominato “filone culturale corporeo. Questo “filone” attraversa come un fil rouge la modernità occidentale, dalle sue origini nel XVI° secolo ai giorni nostri, costituendone la figura dell’antagonista, dell’Altro rispetto al “filone culturale mentale“, nella contrapposizione fondativa tra razionalità e irrazionalità, tra mente e corpo, tra ragione e istinto, tra cultura e natura, tra uomo e donna, ecc. Da alcuni anni, mi sto dedicando alla definizione e alla diffusione della storia di questo “filone” con una particolare attenzione alla posizione che l’Analisi Bioenergetica ricopre all’interno di tale contesto storico e socio-culturale.

Da notare che alla definizione dell’insostenibilità di un modello universale e unitario della ragione umana ha dato e continua a dare un particolare contributo il fatto che l’antropologia culturale si sia riconvertita da disciplina al servizio del colonialismo a ponte tra il nostro mondo occidentale e modalità diverse di pensare, di sentire e di comportamentarsi, insegnandoci a guardare a noi stessi/e con altri occhi.

Anche i fautori a oltranza dell’assoluta superiorità assiologica (superiorità relativamente alla definizione dei valori) dell’atteggiamento razionale – così com’è definito nel pensiero occidentale moderno – rispetto agli altri possibili atteggiamenti, ammettono che il limite di demarcazione tra razionale e irrazionale non sia più così certo e sicuro. E non dimentichiamo che sotto l’etichetta di irrazionale erano stati posti il corpo e le emozioni!

Se, come ci ricorda Lowen, “impariamo studiando il passato” e “una persona può crescere solo rafforzando le proprie radici nel suo stesso passato” (“Bioenergetica”, Feltrinelli, 1991, p. 27), allora, credo sia arrivato il momento di sviluppare il nostro “grounding storico” come comunità non solo di lavoro ma anche di ricerca e di studio quale siamo. Anche perché appare sempre più chiaro come la psicologia e la psicoterapia mostrino evidenti e dannose carenze dal punto di vista della capacità di riflettere sulla propria storia all’interno della storia dell’epoca moderna, mentre intorno a noi, come reazione alle trasformazioni globali in atto, si viene manifestando un rinnovato interesse storiografico e sociologico, oltre che filosofico, in particolare intorno ai concetti di “società”, di “modernità” e di “ragione strumentale”.

Intanto, da parte delle neuroscienze e di diversi indirizzi psicoterapeutici, fino a ieri indifferenti e/o svalutanti verso l’approccio corporeo, arrivano manifestazioni di interesse per la dimensione corporea dell’esperienza terapeutica, manifestazioni che, data la quasi totale assenza di riferimenti al lavoro di Reich e di Lowen, sembrano considerare terra vergine il territorio che abbiamo contribuito a coltivare e che esiste dagli anni ’30 del secolo passato. Alla luce di tutte le riflessioni qui riportate in grande sintesi, il momento presente, a mio avviso, dispiega delle opportunità imperdibili per il “filone culturale corporeo”, per l’approccio corporeo in psicoterapia e, quindi, per l’Analisi Bioenergetica, ed è mio desiderio contribuire a far sì che tali opportunità vengano colte nel modo più grounded e significativo possibile.

Tratto dal blog Vita bioenergetica

Il Carattere di Cosimo Aruta

Il carattere

Dal greco karasso, che letteralmente significa incidere, è l’insieme delle caratteristiche individuali e delle disposizioni psichiche che distinguono un individuo. Può essere definito il modo costante e abituale di interagire di ognuno, la sintesi delle tendenze affettive che dirigono le reazioni del soggetto verso le condizioni dell’ambiente in cui vive.
Il carattere si costituisce come la risultante fra le disposizioni innate (temperamento) e l’effetto su di queste esercitato dall’ambiente, inteso come ambiente fisico, affettivo, sociale, educativo e culturale. Il concetto di carattere è, quindi, più ampio di quello di temperamento e più ristretto di quello di personalità. La personalità può essere definita la più o meno stabile e durevole organizzazione del carattere, del temperamento, dell’intelletto e del corpo di una persona: organizzazione che determina il suo adattamento totale all’ambiente.

Nell’ambito della letteratura psichiatrica e psicologica, si ritrovano trattazioni sul carattere in diversi autori.
Il fenomenologo Karl Theodor Jaspers, nella sua Psicopatologia generale (1913), afferma che il carattere è l’aspetto comprensibile del nucleo incomprensibile in cui è racchiusa l’essenza di ogni individuo.
Sigmund Freud, nella trattazione delle varie fasi dello sviluppo libidico nel bambino, associa a ciascuna di esse un insieme di caratteristiche, presenti anche più tardi nello sviluppo dell’uomo, che definisce carattere. Pertanto, il carattere orale è contraddistinto dalla fissazione alla fase orale e dunque alla gratificazione o meno delle prime necessità del bambino (nutrimento) che influenzerà la modalità ottimistica o pessimistica, fiduciosa o meno, di affrontare il mondo; il carattere anale, correlato al periodo di apprendimento del controllo sfinterico, è correlato con i tratti di ostinazione, parsimonia e ordine; il carattere fallico è contraddistinto da una sicurezza di sé correlata alle componenti narcisistiche e a una sessualità orientata alla dimostrazione di potenza; il carattere genitale viene introdotto da Freud per completare uno schema, quale termine ideale raggiunto con il superamento delle dipendenze infantili e l’acquisizione della capacità di soddisfare le proprie esigenze tenendo conto di quelle degli altri.
Ancora Freud parla di carattere isterico, riferendosi a un quadro psicopatologico caratterizzato da un’importante labilità emotiva, forte suggestionabilità, comportamenti poco controllati; e ancora di carattere ossessivo, quando l’individuo è estremamente controllato, guardingo, sospettoso, costantemente rigido. Secondo Melanie Klein possiamo ritrovare, nel carattere adulto, nuclei delle posizioni schizoparanoide e depressiva che caratterizzano la prima infanzia.
Alfred Adler ritiene che il carattere risulti dal conflitto tra volontà di potenza, forza motrice che opera a livello conscio e inconscio per l’affermazione individuale e sentimento sociale, caratterizzato dal bisogno di cooperazione.
L’ambiente socioculturale, le circostanze della vita e l’utilizzo dei meccanismi di difesa contribuiscono ulteriormente a delineare il carattere dell’individuo.
Wilhelm Reich attribuisce la formazione del carattere all’interazione di due principi, uno endogeno, l’energia sessuale o libido, matrice vitale dell’organismo vivente; l’altro esogeno, derivante dall’ordinamento sociale, cioè dall’educazione, dalla morale e dalle regole che, in ultima analisi, derivano dalla struttura economica della nostra società e dalle esigenze a questa correlate. Il carattere dipende dalle modalità adottate dall’individuo per risolvere il conflitto tra i due principi: avremo così:

  • il tipo isterico, nervoso, incostante, apprensivo;
  • il tipo coatto, inibito, tendente alla depressione;
  • il tipo fallico-narcisista, sicuro di sé, arrogante, elastico, vigoroso;
  • e il tipo masochista, che percepisce come piacere ciò che l’individuo normale considera dispiacere.

Erich Fromm, considerando il carattere come il risultato di un conflitto tra ricerca di sicurezza e bisogno di libertà, presentate come istanze antitetiche, identifica cinque tipi di carattere:

  • il parassita o sfruttatore che segue la legge del più forte, dimostrando tratti ostili e manipolativi;
  • il possessivo, che ritiene di essere ciò che arriva a possedere;
  • il mercantile, che dà importanza al ruolo sociale e alla sua commerciabilità;
  • il produttivo, meta ultima dello sviluppo storico dell’uomo che, dopo essere passato dal feudalesimo (carattere parassita), al capitalismo (possessivo) e alla borghesia calvinista-puritana (mercantile) tende idealmente a un progresso che comporti un certo grado di sicurezza coesistente con la libertà individuale.

La libertà umana é limitata dal nostro io, dai possessi e dalle opere; la libertà come condizione per la creatività comporta non avere legami che impediscono la propria autorealizzazione (Erich Fromm, Avere o Essere?, Mondadori, Milano 1977, pag.92).

Per l’analisi bioenergetica di Alexander Lowen, la struttura del carattere definisce il modo in cui un individuo tratta il proprio bisogno di amare, la sua ricerca di intimità e il suo desiderio di piacere. (Alexander Lowen, Bioenergetica, Feltrinelli, Milano, 2004, cap. V° – pag. 148).

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