
Mamme depresse
Quando il momento più gioioso si trasforma in un incubo. Crisi di pianto, insonnia, nervosismo, irritabilità, cambi d’umore. Per molte donne le prime settimane post parto sono difficili. Un problema sottovalutato, ma che conta 50mila casi solo in Italia
È nato e tutti si aspettano che tu sia felice e raggiante per il lieto evento. Spesso però la nascita di un figlio è accompagnata da uno stato di disagio che colpisce il 10-20 per cento delle donne nei giorni successivi il parto. Crisi di pianto, cambiamenti di umore, irritabilità generale, perdita dell’appetito, insonnia o all’opposto difficoltà a rimanere svegli, assenza di interesse nelle attività quotidiane e/o verso il neonato sono alcuni dei sintomi della depressione post-parto.
Un disturbo che colpisce sempre più neomamme e di cui nel nostro Paese si parla ancora poco, nonostante ogni anno in Italia si registrino 50mila casi. «La nostra società vive un’emergenza silenziosa, quella della madri che sperimentano la depressione post partum, il 10-15 per cento del totale nei Paesi occidentali». A lanciare l’allarme è il dr. Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale. «Eppure – osserva – un problema così diffuso passa quasi inosservato sotto gli occhi dei familiari ma anche degli stessi operatori sanitari.
Il medico di famiglia deve essere una sentinella del problema: siamo noi infatti, prima ancora degli specialisti, a possedere gli strumenti per prevedere una possibile situazione di crisi. Noi che conosciamo la paziente fin dall’adolescenza e sappiamo da quale contesto familiare proviene, possiamo con più facilità identificare i sintomi». Un problema che emerge in maniera più drammatica nelle donne che sperimentano situazioni di emarginazione o disagio, anche se può comunque colpire qualsiasi neomamma.
Chi non ricorda, ad esempio, la toccante testimonianza di Brooke Shieldsche in E poi venne la pioggia, un sincero e toccante libro autobiografico, ha raccontato lo stato d’animo tutt’altro che materno e felice che ha accompagnato la nascita della sua prima figlia, Rowan Francis. «Guardavo le finestre del mio appartamento di New York e mi veniva voglia di buttarmi giù. Non volevo più vivere. Mi ha salvato solo il pensiero che, stando al terzo piano, non sarei neppure riuscita a morire.
Un mucchio di ossa rotte, e sarebbe stato ancora peggio», si legge nel libro. Ma se questo disagio è quasi fisiologico e accompagna un po’ tutte le puerpere nelle prime settimane dopo il parto, non si può dire lo stesso per un 20 per cento di neomadri che soffrono di un disturbo più profondo. La cui corretta identificazione rappresenta il primo passo per la presa in carico del problema. La sottostima e il mancato trattamento di questa condizione psicologica ha infatti una pesantissima ricaduta sul contesto familiare.
Ma soprattutto presenta importanti conseguenze sul benessere dei bambini, particolarmente fragili a causa del mancato o compromesso sviluppo della normale interazione madre-neonato, con ricadute a livello cognitivo, emotivo e comportamentale. Identificare e curare questa patologia significa non solo aiutare le donne, ma tutelare le generazioni di domani.