La relazione con il bambino prima, durante, dopo la nascita
Per qualsiasi genitore, come per qualunque adulto motivato a diventare genitore, la relazione col bambino esiste già prima del concepimento. Ognuno infatti ha una relazione profonda col proprio “bambino interiore”, su cui modella l’immagine del figlio desiderato. Tale bambino interiore è l’insieme degli ideali, dei desideri, delle esperienze vissute nell’infanzia dall’adulto; è la parte inconscia e irrazionale delle emozioni, la dimensione vitale, gioiosa e giocosa dell’esistenza. Ogni adulto ne ha uno dentro di sé, e pochi adulti sono in contatto con questa parte di loro stessi, poiché lo norme e le aspettative sociali spesso condizionano i comportamenti al punto da impedire il contatto con la propria dimensione più vera e spontanea. Per questo, il figlio desiderato spesso è “caricato”, nell’inconscio, di tutte le qualità e le possibilità cui l’adulto ha dovuto rinunciare ma che costituiscono sempre un anelito profondo e nostalgico; una sorta di aspettativa salvifica, messianica. Non a caso, in molte culture si attende l’arrivo di un bambino in grado di salvare, portare la luce, la libertà, la pace…
Per queste ragioni, nella loro mente esistono sempre due diversi bambini con cui i genitori si relazionano. Da una parte, c’è il bambino ideale, che è la somma di desideri, esperienze, ideali e aspettative sociali dei genitori; dall’altra, il bambino reale, quello vero, spesso deludente perché vissuto come “estraneo” o inferiore alle aspettative.
Allo stesso modo, nella mente di una donna che decide di diventare madre esistono due diverse gravidanze. Da un lato, la gravidanza ideale, che avviene secondo modi, tempi e spazi perfetti, spesso idealizzata fin dalla pubertà, e comunque fin dalla giovinezza, senza che la donna ne sia completamente consapevole. Dall’altro lato c’è la gravidanza reale, spesso deludente o sorprendente, soprattutto perché impossibile da prevedere e da controllare, ma anche perché costituisce l’inevitabile confronto tra la realtà e la fantasia, dal quale il più delle volte è la realtà a risultare più difficile da accettare. Ciò che può risultare utile a una mamma in attesa, nei primi periodi di gestazione, alle prese con il confronto inconscio tra ideale e reale, è la piena consapevolezza del fatto che ogni gravidanza è unica e irripetibile. Ogni gestazione avviene infatti in un momento di vita unico e irripetibile, e consente di mettere al mondo proprio quello specifico bambino. In altre parole, è un’occasione che non si ripeterà, un privilegio che molte donne non possono avere, nonché uno dei momenti fondamentali dell’esperienza umana di ogni donna.
Allo stesso modo, giova ricordare ai genitori qualcosa che può apparire scontato, ma è invece di fondamentale importanza: ogni bambino è unico e irripetibile. Questo significa che impariamo a relazionarci col nostro bambino attraverso la relazione concreta e l’esperienza diretta; di conseguenza, l’attesa del bambino ideale deve gradualmente lasciare il posto al rapporto con l’individuo particolare che mettiamo al mondo.
La prima gravidanza è un’iniziazione per i genitori. Si tratta infatti di passare dal ruolo di figlia a quello di madre, dal ruolo di figlio a quello di padre. A livello sociale, e spesso anche familiare, non esiste grande sostegno a questo fondamentale processo. Ecco perchè tale iniziazione a volte è difficile e dolorosa: il suo esito dipende dalla storia di vita dei neo genitori, dalle figure genitoriali reali e ideali che hanno dentro di sé, e dalla relazione che hanno in quel momento coi loro genitori. Pur non essendoci alcuna regola o ricetta specifica, sarebbe importante che qualunque coppia che sceglie di avere un bambino cercasse uno spazio, prima del concepimento, per approfondire queste tematiche personali, e avere la possibilità di superare eventuali blocchi e difficoltà prima dell’inizio della gestazione. Esistono anche situazioni in cui il mancato superamento di tali problemi rende difficoltoso il concepimento stesso; purtroppo però, a fronte di un numero veramente grande di soluzioni sul piano fisico e medico, la ricerca delle cause emotive e profonde non viene proposta spesso alle coppie, che devono quindi effettuare una scelta autonoma in tal senso; che però, quando fatta, si rivela benefica non solo ai fini della gestazione stessa, ma anche del benessere emotivo profondo della coppia e dei due genitori.
Una volta avvenuto il concepimento, esistono alcune conoscenze, per la verità purtroppo ancora poco diffuse e divulgate, che possono realmente favorire lo sviluppo sano ed equilibrato, a livello emotivo e psicologico, del bambino e della sua relazione con i genitori.
E’ importante in tal senso sapere che una buona relazione prenatale prepara e favorisce la nascita di una buona relazione successiva. L’incontro genitori-bambino infatti può avvenire con maggiore dolcezza e consapevolezza se si tratta di un ri-conoscimento, e il bambino in utero possiede già da subito tutte le facoltà necessarie a favorire l’instaurarsi di un rapporto con l’esterno.
L’embrione prima, il feto in seguito sviluppano infatti capacità sensoriali progressive che consentono al bambino di entrare da subito in relazione col mondo esterno: lo sviluppo dei cinque sensi avviene a partire dalla seconda settimana dal concepimento, e al termine del primo trimestre il bambino è già a tutti gli effetti un essere pienamente sociale. Il feto può essere addirittura definito come il primo attivatore della relazione, perché attraverso le proprie capacità sa inviare segnali e messaggi, prima di tutto alla madre; sa inoltre cogliere le emozioni e le atmosfere in cui si svolge la gravidanza, e sa dare risposte adeguate se adeguatamente stimolato.
L’acqua è un ambiente vivo, in grado di percepire emozioni e pensieri: gli esperimenti di Masaru Emoto, in Giappone, hanno dimostrato che le particelle d’acqua ricevono e trasmettono segnali in modo intelligente, registrano le esperienze emotive, i pensieri e gli avvenimenti che avvengono intorno a loro, ricomponendo la strutture molecolare in modo armonioso o caotico, a seconda che le esperienze vissute abbiano una connotazione positiva o negativa (ad esempio, un terremoto o una preghiera di gruppo; una frase minacciosa, detta o scritta in prossimità del contenitore d’acqua, e una amorevole). E’ evidente allora che il bambino, immerso nell’acqua, negli ormoni, nelle sensazioni materne, riceva costanti stimolazioni, sotto forma di emozioni e stati interiori che ancora non sa tradurre in parole e in significati razionali, ma sa percepire e memorizzare a livello profondo.
Noi possiamo quindi influenzare da subito la qualità di vita, e di conseguenza lo sviluppo emotivo e psicologico, del bambino in utero. La qualità delle stimolazioni che gli inviamo può influenzare positivamente il suo sviluppo e quello della relazione con lui.
E’ bene ripetere un concetto importante: il bambino in utero è sensibile in particolare alle emozioni, al significato profondo di quanto facciamo e viviamo, e di ciò che gli trasmettiamo. Per questo, le scelte di vita che i genitori compiono durante la gestazione possono influire in modo decisivo sullo sviluppo sano ed equilibrato del loro bambino. In particolare la mamma dovrebbe tutelare se stessa non solo dagli sforzi fisici e mentali eccessivi (informazione che comunemente le madri hanno), ma anche da qualunque tipo di stress emotivo, di situazione pesante o di difficile gestione a livello relazionale, da inutili discussioni e preoccupazioni. Al contrario, dovrebbe cercare di vivere il più possibile situazioni armoniose, rilassanti, piacevoli, stare a contatto con la natura, stare con le persone che ama ed scegliere di fare ciò che più le piace e la rasserena. Ovviamente, non è possibile evitare qualunque situazione stressante o difficile, ma possiamo scegliere di evitare almeno quelle superflue, e cercare le condizioni migliori ogni volta che è possibile. Ogni madre vuole il bene dei propri figli, e può scegliere da subito ciò che è bene per la crescita e la serenità del suo bambino prima ancora che nasca.
Il bambino in utero è predisposto alla relazione, in particolare con i genitori. Durante la gestazione è già possibile, ed è auspicabile, parlargli, col pensiero o a voce, coccolarlo, giocare con lui, cantare per lui, scegliere per lui la musica più adatta e ascoltarla insieme, leggergli fiabe, storielle, filastrocche, raccontargli le esperienze esterne, farlo sentire amato, voluto e atteso, proteggerlo dalle inevitabili sensazioni ed emozioni negative. Quest’ultimo punto è particolarmente importante: non si tratta di circondarsi con una campana di vetro, ma di comunicare col bambino, ogni volta che la madre si trova a vivere un’esperienza spiacevole, spiegandogli cosa succede e rassicurandolo. Che è quanto ogni genitore fa spontaneamente, di solito, dopo la nascita; è bene anticipare questo atteggiamento anche prima. Se consideriamo che il bambino, immerso nelle sensazioni materne, dalle quali non ha la possibilità di difendersi, riceverà comunque ogni cosa la madre viva, in bene o in male, e se prendiamo l’abitudine di considerare il feto un essere relazionale, non solo un essere in formazione, rassicurarlo e confortarlo, come pure condividere attivamente con lui le emozioni e le esperienze positive, diventano atteggiamenti scontati. Certo il bambino non comprenderà le singole parole che gli rivolgiamo, ma sarà rassicurato e gratificato dal senso di ciò che diciamo, dal fatto che ci rivolgiamo a lui, dall’atteggiamento protettivo che dimostriamo nei suoi confronti.
Anche se la relazione con la madre, in quanto fisica, è diretta e naturalmente facilitata, potremmo dire addirittura inevitabile per certi aspetti, quella con il padre riveste un’importanza solo di poco secondaria. Ad esempio, i toni gravi, propri della voce maschile, favoriscono lo sviluppo fisico della parte inferiore del corpo del bambino, mentre quelli acuti agiscono sulla parte superiore. Come se il concerto delle voci dei genitori favorisse lo sviluppo armonioso del corpo del bambino in utero. La relazione con la madre non deve quindi essere esclusiva: da una lato, il ruolo paterno è di vitale importanza, dall’altro è possibile introdurre già il bambino alle relazioni più importanti, coi nonni, gli zii, gli amici dei genitori. Alla nascita riconoscerà le voci che ha sentito in gestazione, e questo lo rassicurerà e favorirà il legame di attaccamento con le figure principali.
Il ruolo del padre, in particolare, è fondamentale. Per la madre assume la funzione che lei sta svolgendo per il loro bambino, di cura, protezione, nutrimento, sostegno, difesa dagli attacchi esterni; costituisce inoltre una parte dell’identità del bambino, e se è presente da subito egli svilupperà maggior fiducia e sicurezza.
Il ruolo di “utero” rivestito dal padre durante la gestazione è importante perché la donna gravida, soprattutto alla prima esperienza, subisce profondi mutamenti interiori. In un certo senso, la madre ri-nasce insieme al suo bambino: la gravidanza favorisce in lei un naturale e benefico processo regressivo, portandola a compiere un viaggio profondo dentro se stessa; inoltre, soprattutto nella prima gravidanza, la madre nasce al proprio ruolo insieme al suo bambino. La presenza di un compagno amorevole, pronto ad ascoltare, ma anche a stare in silenzio se serve, a fare un massaggio alla schiena, ma anche a fare i lavori di casa più pesanti, ad accogliere e contenere le emozioni sia positive che negative, le paure, le ansie, le insicurezze, le piccole “follie” di natura ormonale facilita e favorisce per lei lo svolgimento di uno dei compiti più ardui e allo stesso tempo appaganti della vita di una donna, compito al quale raramente si arriva davvero preparate.
La diade genitoriale, o coppia, diventa una triade già a partire dal concepimento. Questo perché il bambino è già presente e concreto nella mente dei genitori, sin dal primo desiderio di concepimento, e per certi aspetti, come detto all’inizio, anche prima. La relazione nella coppia si modifica, e si modifica anche il modo di vivere la sessualità. Difficile prevedere l’esito di tali cambiamenti, dipende dalla storia di vita delle due persone e di quella particolare coppia, ma certo le cose cambiano, e si diventa tre da subito.
Da quel momento, la sfida relazionale consiste nell’abilità di restare due, anche se si è tre, cioè nella capacità di restare coppia comunque, accettando e integrando i cambiamenti affettivi, emotivi e sessuali che naturalmente avverranno. La gestazione è un’ottima occasione per prepararsi ed esercitarsi in tal senso, prima che la nascita del bambino, con tutti gli sconvolgimenti fisici e quotidiani che comporta, renda la situazione ancora più difficile da gestire.
Parlando di relazione di coppia, e di relazione in cambiamento profondo, è bene ricordare che la comunicazione è la base della relazione; questo vale non solo nella coppia, ma anche con se stessi e col bambino. Inoltre la qualità dell’ascolto determina la qualità della relazione. Ascolto se sono aperto all’altro reale, non all’idea che ho di lui; ascolto se non giudico e lascio che l’altro comunichi la sua verità; ascolto se rispondo ai veri bisogni dell’altro, non a ciò che mi aspetto o che vorrei. Anche in tal senso, la gestazione permette di “fare allenamento” per una buona comunicazione, per imparare a stare in ascolto, ad accettare che non tutto è secondo le aspettative, per imparare a esprimere sensazioni, bisogni, frustrazioni e emozioni, e ovviamente per imparare ad accettare che anche gli altri le esprimano.
Embrione, feto, neonato possono essere visti anche come tre stadi di sviluppo progressivo della relazione, che, se esiste da subito, rende la nascita un semplice passaggio, non un trauma, sia per il bambino che per i suoi genitori.
Il parto è un evento atteso per nove mesi, sul quale si è detto e scritto di tutto, e che costituisce per le madri gestanti il principale argomento di conversazione con le madri più esperte, nonché una delle più importanti fonti di ansia e insicurezza. Se ne parla moltissimo sul piano fisico e pratico, ma ben poco si dice sul significato profondo di tale momento.
Il parto, dal punto di vista psicologico, costituisce un punto di partenza e di arrivo contemporaneamente: per mamma e papà è il termine della gravidanza e l’inizio dell’esperienza di genitore; per il neonato è la fine della vita nell’utero e l’inizio dell’esperienza umana e sociale. Allo stesso tempo, esso è anche il punto di incontro tra endo-gestazione e eso-gestazione, una specie di crocevia obbligatorio per la crescita fisica, emotiva e cognitiva del bambino, che vive nove mesi dentro la pancia della mamma, per acquisire tutti i sensi, il corpo fisico e i suoi organi, la struttura da sviluppare, e poi nove mesi fuori dalla pancia della mamma, per preparare il terreno al raggiungimento dell’autonomia. L’essere umano è infatti l’unico mammifero che, a causa delle notevoli dimensioni del cervello, e della posizione eretta della madre, è costretto a nascere molto prima di aver completato il cammino verso l’autonomia: camminare, magiare da solo, riconoscere i pericoli…
Ecco perché tra il prima, il durante, il dopo, non c’è separazione ma continuità. Il bambino desiderato diventa il bambino atteso, che alla nascita diventa il bambino reale, lo stesso che c’era nell’utero, e che ancora deve completare gran parte del proprio sviluppo.
I bisogni del bambino alla nascita, esattamente come succedeva prima, non sono solo fisici. Sono anche emotivi, cognitivi e relazionali. E’ di fatto un essere umano, con tutta la complessità che la definizione comporta, ma non ancora pronto per affrontare da solo la vita sociale con i suoi simili.
Per questo, è possibile affermare che la prima fase di vita del bambino è simbiotica. Odori, sapori, suoni che il neonato ricerca sono quelli della madre, che lo rassicurano, gli comunicano un senso di continuità tra “prima” e “poi”. Allo stesso tempo, il tatto e la vista sono le nuove possibilità che possiede. Perché il tatto gli ricordi l’ambiente uterino, il neonato ha bisogno di essere manipolato, abbracciato, accarezzato; la vista invece gli permette una nuova qualità di relazione, e aumenta le possibilità di apprendimento e di scoperta.
Per un neonato i vizi non esistono. Essi esistono solo nella mente degli adulti; per i bambini alla nascita esistono bisogni e desideri, espressi in modo chiaro attraverso il pianto, l’unico canale verbale possibile al momento. E’ necessario trovare il miglior compromesso possibile tra le esigenze del bambino e quelle dei genitori, rispondendo ai bisogni del neonato, che non sono solo fisici, e al contempo mantenendo uno spazio per se stessi, come persone e come coppia.
Gli adulti devono sapere che educare un bambino spesso mette profondamente in discussione. Il bambino infatti fa da specchio all’adulto, “muovendo” nei genitori gli aspetti che è ancora necessario smussare e migliorare in loro. In una sana relazione col bambino quindi anche i genitori crescono e imparano, ma questo non significa che sia giusto o positivo concedere al bambino tutto ciò che desidera, nel momento in cui lo vuole. Anche la frustrazione infatti aiuta a crescere, purché sia sensata e motivata al bambino, abituato fin dalla gestazione ad essere rassicurato dalle emozioni espresse quando gli si parla, non dal senso delle parole.
Anche dopo la nascita, il ruolo paterno è fondamentale. Il padre protegge e nutre la coppia madre-bambino, come faceva in gravidanza consentendo alla madre di prendersi il tempo e lo spazio necessari a riorganizzare il proprio equilibrio, che ora deve necessariamente sempre tenere conto della presenza di un altro essere, totalmente dipendente da lei; il padre inoltre difende la triade dagli attacchi esterni, dai tentativi di destabilizzazione del nuovo e spesso precario equilibrio costruito in casa; e riporta la compagna alla realtà, fuori dalla simbiosi esclusiva col bambino, ricordandole il suo contemporaneo ruolo di compagna, sociale e sessuale.
Può essere utile ricordare ai neo genitori di fare attenzione alle intrusioni esterne, che si manifestano sotto forma di consigli, aneddoti personali, induzione di ansie e insicurezze, o anche banalmente “furti” degli scarsi spazi di tempo libero faticosamente strappati alle poppate, ai pannolini, alle passeggiate e ai bagnetti.
Prima di tutto, è bene ricordare che ogni relazione genitore-bambino è unica e irripetibile: pertanto, nessuno al mondo può avere la verità sul nostro bambino, perché noi stessi la apprendiamo dall’esperienza diretta con lui. Inoltre, che ogni madre (e ogni padre) ha in sé la piena potenzialità per crescere il bambino, se riesce a credere in se stessa quel tanto che basta spegnere l’ansia e dare retta all’istinto; per finire, che si può distinguere tra interventi costruttivi e distruttivi, accettando e facendo propri i primi, rifiutando gentilmente i secondi. Quando l’aiuto esterno è accettabile, perché genuino e motivato in modo sincero, è saggio accettarlo: potersi rilassare un paio d’ore, andando al cinema, evitando la cesta dei panni da stirare, o semplicemente dormendo, è un privilegio che non ha prezzo, quando si sta crescendo un bambino.
In conclusione, ogni esperienza genitoriale è un viaggio. Come in ogni viaggio importante, è necessario prepararsi adeguatamente, non è possibile prevedere tutto, e alcune volte proprio l’imprevisto è la parte migliore. Di conseguenza… buon viaggio a tutti!
(Serena Bassi)