Il corpo nella relazione
La relazione terapeutica è una realtà creata tra due individui che si definiscono e si riconoscono nel ruolo di paziente o cliente e nel ruolo di psicoterapeuta. Anche quando la terapia è puramente verbale terapeuta e cliente comunicano essenzialmente attraverso il corpo. Sono molti infatti gli approcci che riconoscono nell’essere centrati sul corpo e non solo sulla struttura della mente, una possibilità di maggior contatto ed efficacia terapeutica.
Già nel 1961 C. Rogers scriveva “Mi lascio andare nell’immediatezza della relazione in cui e’ il mio organismo totale a prendere il sopravvento ed ad essere sensibile alla relazione, non soltanto semplicemente alla mia consapevolezza”
Egli dunque riteneva che un buon clinico sta dentro e risponde dal corpo. In questo scritto si cercherà di analizzare come aver centrato il focus dell’attenzione sul corpo nel setting terapeutico abbia attuato una svolta cruciale nel mondo stesso della terapia.
Se guardiamo al fenomeno della psicoterapia stiamo trattando il mondo della sofferenza “psichica”. Sofferenza che spesso si esprime come malattia, o comunque disagio e dolore nel corpo. Credo, infatti, che ogni individuo percepisca in modo rilevante il proprio disagio quando questa sofferenza viene percepita dal corpo.
Tale sofferenza può esprimersi in un bisogno di cambiamento e in una domanda di aiuto. Ogni disagio può variare nel tempo e nella cultura, e dunque varieranno nel tempo le problematiche portate dagli individui in terapia. L’individuo, però, non può non portare se non attraverso il corpo la comunicazione del proprio disagio; ed è allora che il corpo può divenire luogo di ricerca individuale per una maggior consapevolezza e autorealizzazione.
Credo, infatti, che per scoprire realmente la natura più profonda di ogni essere umano non possiamo che rivolgere l’attenzione al corpo e alla profondità dei suoi linguaggi.
“Il corpo, inoltre, contiene e manifesta bisogni che non sono riducibili alla razionalità diretta allo scopo, e che non si misurano solo sui criteri dell’efficienza. Il corpo è poi il canale della comunicazione affettiva e permette un contatto con l’altro che ha tonalità e accenti non sempre traducibili nel linguaggio e nei riti dello scambio sociale”. (Alberto Melucci, 1984, ).
Il corpo trattato in psicoterapia non è più il corpo oggetto delle scienze naturali, ma neppure il corpo simbolo della cultura spiritualista. Ma è un corpo che esprime la globalità e l’unicità della persona partendo da un principio di identità funzionale tra psichico e corporeo già anticipata da Reich, pioniere di tutte le terapie corporee nei primi anni ’30.
Come Reich stesso racconta nei suoi scritti, egli arriverà al salto dal verbale al somatico proprio analizzando ciò che secondo lui e molti altri non funzionava nella relazione analitica ai suoi tempi. Quando, infatti, egli venne in contatto con Freud e la società psicoanalitica di Vienna, la psicoanalisi era in qualche modo impantanata in una serie di difficoltà inerenti alla tecnica analitica ed in generale al modo di condurre la psicoterapia.
Infatti, in nome del principio di non intervento dell’analista, i silenzi potevano durare anche un’intera seduta e vi era un’attesa estenuante e passiva che il paziente formulasse una qualche associazione verbale per poter impostare intorno a questa delle interpretazioni. Il processo terapeutico si svolgeva ad un ritmo estremamente lento, Reich stesso ricorda quei tempi: “Gli psicanalisti facevano di necessità virtù. Abrahm affermava che ci volevano anni per comprendere una depressione cronica, a suo avviso la tecnica passiva era l’unica possibile, i miei colleghi scherzavano spesso sulla sonnolenza che li coglieva durante le ore di analisi. Ebbi fin dall’inizio la sensazione che questo metodo era sbagliato. Provai io stesso ad applicare questa tecnica, ma non diede alcun risultato. I pazienti manifestavano un profondo senso di disagio e divenivano cocciuti”(W.Reich 1969). Reich si rese conto che questo tipo di approccio psicoanalitico puramente passivo e verbale era inadeguato sotto molti profili, in primo luogo il profilo sociale, era già chiara in lui la responsabilità sociale della psicanalisi e in generale della psicoterapia.
Egli capiva l’impossibilità di accettare metodi terapeutici che esigevano anni di sforzi per curare una sola persona, mentre tutto intorno il sistema produceva nevrosi di massa. In secondo luogo, la focalizzazione sulle resistenze aveva reso Reich particolarmente sensibile al problema dell’incorporazione delle tensioni nevrotiche nella struttura caratteriale e somatica del paziente.
Di qui era in un certo senso naturale il passaggio dall’analisi del carattere all’intuizione del significato psicologico degli atteggiamenti somatici. Per la prima volta egli studiò l’insieme delle resistenze con cui l’organismo blocca gli impulsi interiori e gli stimoli esterni considerati pericolosi per il proprio equilibrio nevrotico definendoli “corazza” o armatura caratteriali.
A differenza del sintomo che l’io percepisce come un fenomeno incomprensibile, estraneo e spesso insopportabile, (ego-distonico), la corazza e il singolo tratto caratteriale vengono percepiti dall’io come omogenei, razionali e comunque morali (ego-sintonici o addirittura potremmo definirli super-egosintonici).
E’ evidente che un approccio più organico e sistematico delle resistenze comportava un’attenzione ed una posizione più attiva e critica nei confronti del paziente.
“Nessuna interpretazione dei significati psichici profondi dei sintomi”, scrive Reich in Analisi del carattere, “può essere data prima che siano interpretate le resistenze e la loro implicazione caratteriale” (W. Reich, 1973, ).
Egli, infatti, intuì che se l’interpretazione o comunque la tecnica terapeutica viene fornita senza quell’attenzione dovuta alle resistenze intese come tempi interni del paziente, questi tenderà a reagire con due modalità parimenti improduttive:
- Accettare gli interventi terapeutici per motivi di transfert, rifiutandoli poi quando si svilupperà un transfert negativo;
- Abbandonare le resistenze solo temporaneamente per poi svilupparle in un secondo tempo.
Spostando l’attenzione dal sintomo, che era stato fino ad allora l’epicentro degli sforzi psicanalitici, Reich di fatto metteva a fuoco gli aspetti nevrotici della struttura del carattere andando a studiare i sistemi di valore che determinava e si autodeterminavano in tale struttura.
Inoltre, esaminando le difese che il carattere opponeva alla terapia, Reich arrivò gradualmente ad individuare queste tensioni non solo di tipo psicologico, ma anche di tipo somatico e muscolare, giungendo a concludere che la corazza caratteriale, l’insieme delle difese psicologiche del paziente, ha una puntuale corrispondenza in una corazza muscolare.
Reich comprese questa connessione che poi definirà identità funzionale fra psichico e somatico.
Ogni tensione muscolare contiene la storia ed il significato della sua origine. La sua dissoluzione non solo libera energia, ma riporta anche alla memoria la situazione in cui la situazione ha avuto luogo (W.Reich,1969,).
Nello studio della corazza muscolare Reich arriverà successivamente all’individuazione di una serie di “blocchi” (anelli corazzanti) disposti trasversalmente lungo il corpo del paziente dalla testa al bacino, destinati a bloccare le pulsioni interne, come gli stimoli esterni in qualche modo percepiti minacciosi dal soggetto.
In quegli anni Reich comincerà parallelamente ad esplorare e sperimentare nuove tecniche di approccio corporeo alle resistenze, che consistevano quasi nel provocare mimando e ripetendo le espressioni del paziente in analisi e nell’esplorazione delle emozioni sottostanti. Egli usava dunque il contatto fisico come potente agente terapeutico arrivando a due fondamentali risultati:
- Spostare l’attenzione dal livello psichico a quello somatico, inteso però come espressione dello psichico.
- Inventare un metodo che, proprio attraverso l’imitazione, permetteva al terapeuta di identificarsi e comprendere a fondo le tensioni del paziente in una sorta di empatia corporea.
Egli, inoltre, individuando nel blocco della respirazione la principale fonte di tensione, studiò ed elaborò tutta una serie di tecniche volte a riattivare una vitalità psicocorporea che l’individuo perde nel corso della propria evoluzione psichica. Ovviamente in tutte queste innovazioni era implicita un’altra fondamentale: all’interno della relazione terapeutica: l’abbandono dell’atteggiamento impersonale e passivo dell’analista.
Come egli stesso descrive, egli tentava in tutti i modi di liberare i pazienti da un rapporto stereotipato, da quello che lui stesso definiva una “rigidezza caratteriale”. “Dovevano considerarmi un essere non autoritario, umano” (W.Reich, 1969). Egli, infatti, proprio spostando l’attenzione dal verbale al somatico, soffermandosi su come il cliente raccontava piuttosto che su cosa raccontava e quindi sul qui e ora del momento terapeutico, riuscì a comprendere ed anticipare quanto l’effetto curativo della psicoterapia consista non tanto nella rievocazione puramente verbale dei ricordi traumatici o nell’interpretazione dei sogni o dei sintomi, quanto nella particolare qualità della relazione che si instaura fra terapeuta e paziente superando il tabù del contatto sia emotivo che fisico che sino ad allora aveva dominato l’analisi e la psicoterapia
Questa enfasi è stata determinante non solo nello sviluppo all’interno della psicanalisi per l’accento posto sulle dinamiche di transfert e contro-transfert, ma anche e soprattutto per quella vasta gamma di scuole che oggi si riconoscono nel filone umanistico-esistenziale.
Quando infatti il corpo entra in scena nel setting terapeutico, è impossibile non ricordare che la psicoterapia sia anche e soprattutto un confronto o incontro tra due persone vive e reali.
Credo, infatti, che non esista terapeuta qualunque sia il suo approccio di riferimento, che più o meno consapevolmente non dia alla corporeità un’attenzione rilevante.
Credo, inoltre, che ognuno nella propria pratica clinica dia importanza alla presenza e alle variazioni che i segnali del corpo emanano nella dinamica della evoluzione della persona. Tutti possiamo accorgerci dai segnali del corpo se il nostro cliente è interessato, coinvolto nella relazione terapeutica, se i suoi occhi esprimono contatto, affetto, e se invece esprimono paura, risentimento, ostilità. Quando non ci è possibile cogliere questi segnali è perché noi stessi siamo così sconnessi dal nostro livello percettivo da non permetterci di cogliere ciò che a qualsiasi persona radicata nella propria esperienza corporea non può che apparire ovvio.
Dopo Reich questa consapevolezza è entrata in maniera stabile nel mondo della psicoterapia. Egli ha dato vita a tutta una serie di pratiche terapeutiche che non intervenivano solo sul livello verbale del cliente, ma che si focalizzavano anche e soprattutto su aspetti corporei, quali il movimento, la respirazione, l’inspirazione, la contrazione muscolare, per ristabilire la motilità emotivo-somatica della persona.
- Reich, infatti, con le sue pagine sulla cinesi e la psicologia del gesto e del movimento del corpo, resta uno dei precursori dell’introduzione del corpo sulla scena della psicologia e della pedagogia.
Molti degli approcci di crescita del potenziale umano hanno ereditato da Reich i concetti di biofunzionalità, di energia, di corporeità. Sicuramente l’autore che maggiormente ha contribuito allo sviluppo ancora più organico completo ad uno studio e prassi corporea in terapia è stato Lowen con la sua teoria dell’analisi bioenergetica
A.Lowen ha dato un contributo fondamentale all’espansione e alla continuazione del pensiero reichiano. Egli è stato l’allievo di Reich, che se da un lato si è separato da lui, quando non ha potuto condividere le sue ipotesi sull’energia organica, né certe intemperanze caratteriali dell’ultimo Reich, dall’altro è stato anche lo studioso che ha cercato di articolare in modo più sistematico, il fondamentale approccio somatico di Reich al problema delle nevrosi.
Il lavoro di Lowen si basa su due fondamentali principi reichiani:
- il concetto di identità funzionale fra rigidità e funzione psicologica e rigidità e tensione muscolare;
- la fondamentale correlazione fra inibizione emotiva e psichica ed inibizione ed insufficienza delle funzioni respiratorie.
Rispetto a Reich, Lowen ha però sistematizzato una tipologia caratteriale più articolata e sofisticata. E lo ha fatto proprio attraverso la lettura del corpo dei suoi pazienti.
Infatti, attraverso lo studio e l’osservazione delle caratteristiche fisiche e psichiche dei suoi pazienti, Lowen ha individuato 5 caratteri principali che sono soprattutto visti e qualificati in termini energetici, partendo dalla struttura meno caricata a quella che presenta una maggiore quantità di carica, vengono determinati da Lowen il carattere schizoide, orale, psicopatico, masochista e rigido. Questi caratteri corrispondono a diverse fasi ed ai rispettivi blocchi dello sviluppo espressivo dell’individuo.
Per Lowen l’influenza ambientale, incluse quelle dei genitori frustrano i tentativi dell’individuo di realizzarsi, le problematiche dunque riscontrate nei tipi caratteriali corrispondono al “blocco” in una particolare fase dello sviluppo ove l’individuo non riceve i “diritti” fondamentali che ad essa corrispondono. La negazione esterna di questi diritti determinerà nell’individuo una stratificazione difensiva. I 5 diritti fondamentali individuati da Lowen sono:
diritto di esistere – nella problematica schizoide;
diritto di aver bisogno – nella problematica orale;
diritto di avere sostegno – nella problematica psicopatica;
diritto di esse libero – nella problematica masochista;
diritto a essere sessuale – nella problematica rigida.
A livello somatico, dunque, l’inibizione di questi fondamentali bisogni, viene espressa dalla tensione e la contrazione muscolare.
Mentre, a livello psichico, per compensare questa problematica, l’individuo costruisce e vive l’illusione di un “Io ideale”, in cui le stesse problematiche vengono negate.
Ciò che è innovativo in Lowen, è proprio una sistematizzazione, una chiave di lettura dei messaggi, che le singole parti del corpo possono rivelare circa le problematiche dello sviluppo emozionale nell’individuo (Lowen, 1978).
Mentre Reich aveva visto come obiettivo finale della terapia la capacità del carattere genitale di raggiungere una completa capacità di abbandono nell’esperienza sessuale (riflesso dell’orgasmo), Lowen non accetta una così netta distinzione fra carattere genitale e carattere nevrotico.
Lowen, inoltre, non riconosce nel “riflesso dell’orgasmo” l’espressione di un’avvenuta guarigione, ma piuttosto identifica questa in una capacità più generale ed ampia di provare piacere, che verrà espressa da un senso di accresciuta vitalità e gioia di vivere nell’organismo.
Obiettivo fondamentale nella terapia bioenergetica è, come in quella reichiana, il rimettere l’individuo in contatto con il proprio nucleo centrale positivo (core), vi è , però, in Lowen una maggiore focalizzazione sulla necessità di un ripristino, di un miglior contatto ed adattamento dell’individuo con la propria realtà sia interna che esterna.
In relazione a questo aspetto, egli ha sentito il bisogno di sviluppare tecniche terapeutiche indirizzate allo sviluppo delle funzioni dell’io, che rappresenta appunto la struttura della personalità che agisce sulla realtà e la manipola.
Nell’accezione loweniana vi è però l’assunto che solo una completa capacità di soddisfazione genitale può determinare un io realmente maturo ed un reale essere centrati nella propria realtà psicofisica.
L’obiettivo terapeutico è posto dunque sull’integrare l’io con il corpo al fine di un soddisfacente raggiungimento del piacere sessuale.
Nell’analisi bioenergetica vengono integrati l’approccio corporeo e l’analisi verbale dei vissuti del paziente (sono dunque da Lowen riprese ed ampliate le intuizioni teoriche del primo Reich, ancora legate alla pratica psicoanalitica).
Nella sua elaborazione Lowen ha però sviluppato una griglia di lettura delle contrazioni muscolari e comportamentali dell’individuo, articolata e ricca di intuizioni che proprio attraverso il linguaggio del corpo ci fa comprendere la struttura caratteriale e i sistemi motivazionali dell’individuo permettendo di poter così approfondire la comprensione sia dei bisogni individuali vissuti dall’individuo nella sua esperienza evolutiva, ma anche e soprattutto delle ripercussioni che questi ultimi hanno nel comportamento attuale.
Nella tradizione bioenergetica il corpo ha un’importanza fondamentale. La forma, il movimento dell’espressione corporea rivelano la natura stessa dell’esistenza dell’individuo. Ogni individuo è il suo corpo, citando Keleman:
“Io non sono un corpo qualsiasi, ma un certo corpo” (nel testo “I am not a body, I am some body”) e ancora, il corpo che hai è il corpo che vivi. Sensazioni ed emozioni modellano la nostra vita. Formiamo il nostro io corporeo così come modelliamo la nostra personale realtà. La nostra vita corporea modella la nostra esistenza (Keleman, 1979).
Poiché, infatti, se il nostro corpo oltre ad essere un miscuglio di sentimenti ed emozioni è l’espressione di una funzione evolutiva, “formativa”, allora non può non essere che il principale “attore” della scena terapeutica.
Citando Lowen: “Le illusioni sono le difese dell’io contro la realtà e se possono risparmiano a qualcuno la sofferenza di una realtà spaventosa. Tuttavia, ci rendono prigionieri dell’irrealtà, la salute emotiva è la capacità di accettare la realtà, di non sottrarsi ad essa. La nostra realtà di base è il nostro corpo, il nostro se non è un’immagine prodotta dal nostro cervello, ma un organismo reale, vivo, pulsante. La perdita di una parte del nostro corpo è una perdita del sé “ (A.Lowen, 1994).
La consapevolezza del sé è il primo stadio del processo terapeutico, ma tale consapevolezza non può prescindere dalla percezione del corpo, poiché ogni parte del corpo contribuisce al nostro senso di sé.
Lavorando con il corpo attraverso tecniche che ristabiliscono una motilità psico-fisica possiamo aiutare i nostri clienti a riscoprire un contatto più reale con la loro realtà interiore, una più piena espressione di sé, ed una maggiore padronanza che dà all’individuo una responsabilità diversa del suo cammino, dei suoi arresti e del suo malessere, e delle possibilità di uscirne. Dunque una maggiore motivazione al processo terapeutico, dove i segnali del corpo possono rappresentare una mappa per disegnare la dinamica dell’evoluzione della persona attraverso il riconoscimento dei suoi bisogni più profondi.
Affinché tutto questo possa accadere è importante però che “l’individuo si arrenda al corpo e ai suoi sentimenti”.
E’ importante sottolineare che quando andiamo a trattare sentimenti ed emozioni imprigionati nel corpo, il percorso terapeutico deve necessariamente rispettare e riconoscere i ritmi interni del cliente poiché come ricorda Lowen si tratta di un viaggio doloroso, giacché risveglia ricordi orribili ed evoca sentimenti penosi (Lowen, 1994).
Il viaggio alla scoperta di sé che costituisce il processo terapeutico non può essere intrapreso da soli né tantomeno accompagnati da una persona che non ha vissuto lo stesso dilemma che il cliente si trova a vivere.
Nel processo terapeutico il terapeuta deve necessariamente aver già compiuto un viaggio analogo alla scoperta di sé attraverso il proprio inferno (A.Lowen, 1994).
Per l’analisi bioenergetica il terapeuta deve aver conclusa la propria analisi ed avere una “buona” consapevolezza di sé e quindi della propria realtà corporea. Che sia in grado, dunque di accogliere il cliente non solo su un piano verbale, ma anche e soprattutto su un piano non verbale e che quindi sia in grado di aprire totalmente se stesso all’esperienza dell’altra persona.
Ma per far ciò è necessario che egli sia disposto ad accettare la propria esperienza e il proprio corpo che di essa è il tramite.
Mi sembra importante concludere con ciò che Lowen scrive in Arrendersi al corpo: “Per il paziente in terapia l’inferno è l’inconscio rimosso, il mondo sotterraneo, nel quale sono sepolti i terrori del passato: disperazione, tormento, mania. Se il paziente scende in questo mondo oscuro, sperimenterà la sofferenza del proprio passato sepolto, rivivrà i conflitti che non aveva potuto gestire e scoprirà una forza che aveva sognato ma non aveva creduto di possedere.
Inizialmente la forza proviene dalla guida, dal sostegno e dall’incoraggiamento del terapeuta, ma diventa la forza del paziente non appena questi scopre che i propri errori erano paure infantili che un adulto può affrontare. L’inferno esiste solo nell’oscurità della notte e della morte. Alla luce del giorno e cioè nella piena coscienza non è in vista nessun mostro reale. Cattive matrigne si rivelano madri arrabbiate che terrorizzavano il bambino. Sentimenti che erano ritenuti vergognosi, pericolosi e inaccettabili si rivelano reazioni naturali a situazioni anormali. Lentamente il paziente riprende possesso del proprio corpo e insieme della propria anima e del proprio sé”:
BIBLIOGRAFIA
Keleman, S. Il corpo è lo specchio della mente. Celuc libri, Milano, 1980.
Lowen, A. Il linguaggio del corpo, Milano, Feltrinelli, 1978.
Lowen, A. Arrendersi al corpo, Roma, Astrolabio, 1994.
LOWEN,A. La depressione del corpo, Astrolabio,1980.
MELUCCI,A. Corpi estranei, Ghedini,1984.
Reich, W. La funzione dell’orgasmo, Milano, 1969.
Reich, W. Analisi del carattere, Milano, 1973.
Rogers, C. On becoming a person, Houghton Mifflin Company, Boston
Rogers, C. La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970.
Rogers, C. Psicoterapia e relazioni umane, Boringhieri, Torino, 1970.
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