
Evoluzione del fenomeno di Mobbing di Monica Ghelli
Il fenomeno del Mobbing sta purtroppo divenendo sempre più spesso di difficile identificazione, anche da parte di chi ne è vittima. Per questa ragione le istituzioni, le associazioni e le forze sociali si stanno impegnando attivamente per ampliare la conoscenza del problema e per presentarne alcune soluzioni. Il termine inglese utilizzato per identificare il fenomeno è a questo proposito emblematico: il verbo to mob significa infatti ledere, aggredire, assalire. In questo lavoro, gli Autori hanno analizzato ogni aspetto del fenomeno ponendo maggior attenzione agli aspetti di tutela del benessere e della salute dei lavoratori. Nello specifico vengono chiariti i criteri di identificazione, la legislazione, l’onere probatorio, la sintomatologia, gli strumenti di indagine e la prevenzione.
Introduzione
Il mobbing è comunemente definito come una forma di molestia o violenza psicologica esercitata quasi sempre con intenzionalità lesiva (da parte del mobber), ripetuta in modo iterativo (almeno settimanalmente), con modalità polimorfe; l’azione persecutoria è intrapresa per un periodo determinato (almeno sei mesi) ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità di attuazione e dai tratti della personalità dei soggetti, con la finalità o la conseguenza dell’estromissione del soggetto (mobbizzato) da quel posto di lavoro.
A tal proposito, sembra più opportuno parlare di “soglia individuale di resistenza alla violenza psicologica” capace di indurre una condizione di mobbing, che è possibile esprimere come funzione di: intensità della violenza – tempo di esposizione – tratti della personalità (Gilioli et al.). Il termine mobbing, che da qualche tempo è divenuto di uso frequente, deriva dal verbo inglese «to mob», che significa assalire tumultuando in massa, malmenare, aggredire. Fu usato, per la prima volta, dal Konrad Lorenz, biologo inglese dell’Ottocento per indicare il comportamento di alcuni uccelli teso all’esclusione di un membro del gruppo dalla comunità.
E’ stato poi utilizzato dallo studioso tedesco Heinz Leymann, il primo e più autorevole studioso del fenomeno, per indicare tutti quei comportamenti di vero e proprio terrorismo psicologico posti in essere nell’ambiente di lavoro dai superiori (mobbing verticale) o colleghi (mobbing orizzontale) con chiari intenti discriminatori finalizzati ad emarginare progressivamente un lavoratore per indurlo alle dimissioni o facilitarne il licenziamento. In Italia il gruppo di lavoro ISPESL ha definito il mobbing come “forma intenzionale sistematica e duratura di violenza psicologica in ambiente di lavoro, volta alla estromissione del soggetto/i dal processo lavorativo o dal mondo di lavoro”.
La commissione del Ministero della Funzione Pubblica nel 2003 ha poi integrato le definizioni: “Atti e comportamenti di violenza morale o psichica, in occasione di lavoro, ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale che portano a un degrado delle condizioni di lavoro, idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore”. Nonostante manchi ancora una definizione unanime, è possibile evidenziare dei criteri che permettono di poter “classificare” il fenomeno del mobbing quali: Conflitto sul luogo di lavoro, durata della singola azione, frequenza, intensità degli attacchi, progressione temporale , intento persecutorio.
Tipologie di mobbing
A seconda del “mobber” – soggetto che mette in atto la forma di persecuzione – il mobbing si distingue in: Mobbing di tipo verticale: la violenza psicologica viene posta in essere nei confronti della vittima da uno o più superiori ed è possibile distinguerne due specifiche:
- il bossing o mobbing strategico: azione compiuta dall’azienda o dalla direzione del personale nei confronti di dipendenti divenuti scomodi. Si tratta dunque di una strategia aziendale di riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione degli organici (detto anche mobbing pianificato) o operazione di isolamento di elementi ritenuti scomodi per le politiche aziendali.
- Il bullying: comportamenti vessatori messi in atto da un singolo capo.
- Mobbing dal basso verso l’alto o botton-up (sia individuale che collettivo): è meno frequente e si verifica quando viene messa in discussione l’autorità di un superiore.
- Mobbing di tipo orizzontale o emozionale: alterazione delle relazioni interpersonali avviene quando l’azione discriminatoria è messa in atto dai colleghi nei confronti del soggetto colpito. A seconda del numero di lavoratori cui è diretta l’azione i mobbing si può avere: Mobbing individuale: quando oggetto è il singolo lavoratore. Mobbing collettivo: quando colpiti da atti discriminatori sono gruppi di lavoratori (si pensi alle ristrutturazioni aziendali, prepensionamenti, cassa integrazione etc.)
Azioni mobbizzanti
I due studiosi Leymann ed Hege interpretarono il fenomeno Mobbing secondo la Teoria del conflitto psicosociale. Per Leymann nel processo Mobbing dovevano essere studiati sei fattori:
- organizzazione del lavoro
- direzione del lavoro
- mansioni sul lavoro
- dinamica sociale del gruppo
- teorie di personalità
- eccessiva psicologizzazione
Inoltre andavano studiati i fattori attivati dallo stesso processo, come: Comunicazione, Reputazione, Prestazioni; e le quattro fasi con cui il Mobbing si manifestava, permettendo lo sviluppo di evidenze comportamentali, cliniche e sociali.
1° fase: inizio del conflitto e dell’attacco; la vittima prova disagio.
2° fase: aumento del conflitto, le ostilità diventano più frequenti e più gravi, subentra il “terrore psicologico”.
3° fase: la gestione del personale commette errori ed irregolarità con negazione dei diritti della vittima; i superiori addossano la colpa alla vittima che si sente sempre più male.
4° fase: dequalificazione delle mansioni, trasferimenti, per cui il mobbizzato viene escluso dal mondo del lavoro e dopo un certo periodo di tempo o dà le dimissioni o viene licenziato.
Leymann elaborò un Questionario composto da 45 items in 5 sezioni:
- attacchi alla possibilità di comunicare
- attacchi alle relazioni sociale
- attacchi alla immagine sociale
- attacchi alla qualità della condizione professionale e privata
- attacchi alla salute; in cui si evidenziavano le principali caratteristiche del Mobbing:
-
- stillicidio lento di persecuzioni, attacchi, umiliazioni
- continuità delle aggressioni che perdurano nel tempo
- intensificazione progressiva degli attacchi
- forza devastante rappresentata dalla lunga durata
- sito in isolamento, emarginazione, disagio ed infine malattia.
Leymann affermò che per parlare di Mobbing “il processo del terrore” dovevano verificarsi almeno una volta la settimana per un minimo di sei mesi; inoltre sostenne l’importanza della personalità ed il temperamento sia del mobber, colui che attua il Mobbing, sia quella della vittima, ossia del mobbizzato, per una migliore comprensione delle dinamiche di scelta della vittima e delle diverse strategie provocatorie.
Leymann poté inoltre differenziare il Mobbing dai normali conflitti lavorativi responsabili anch’essi di stress ma che non potevano essere riconducibili al Mobbing; definì così alcune condizioni necessarie per l’identificazione:
- improvvise sparizioni o rotture, senza sostituzione, di strumenti di lavoro come telefoni, computer, lampadine, ecc.;
- litigi o dissidi con i colleghi sempre più frequenti;
- vicinanza ad un accanito fumatore, pur sapendo che il soggetto detesta il fumo;
- conversazioni che si interrompono quando il soggetto si trova nei pressi;
- esclusione dalle informazioni utili per il suo lavoro;
- pettegolezzi infondati sul suo conto;
- incarichi inferiori alla sua qualifica o estranei alle sue competenze;
- sorveglianza stretta (orari di entrata ed uscita, telefonate, tempo trascorso per il caffè);
- rimproveri eccessivi;
- richieste verbali e scritte ignorate;
- provocazioni;
- esclusione da attività sociali;
- deriso per aspetto fisico, patologie, vita privata o comportamenti;
- retribuzione inferiore rispetto ai pari grado; e cosi’ via.
In Italia lo psicologo H. Ege, fondatore nel 1996 dell’Associazione “Prima” per la ricerca contro il Mobbing, inizialmente adottò il modello di Leymann, che abbiamo appena visto, ma ben presto si rese conto, a seguito di una ricerca, di non poterlo utilizzare, in quanto la realtà italiana era culturalmente molto differente dal Nord Europa. Elaborò quindi un modello a sei fasi e modificò il Questionario di Leymann per le vittime di Mobbing (Leymann Inventory of Psichological Terrorism). Le 6 fasi del nuovo modello divennero quindi: Condizione zero o condizione predisponente lo sviluppo del Mobbing: il conflitto è fisiologico, accettato; il conflitto è generalizzato, vede tutti contro tutti, non esiste una vittima designata; non c’è volontà di distruggere, ma solo una spinta ad emergere sugli altri.
Fase 1 del conflitto mirato: la vittima è individuata il conflitto generalizzato si dirige verso di essa; l’obiettivo non è solo emergere sugli altri, ma distruggere l’avversario individuato; il conflitto si allarga dal bersaglio lavoro al bersaglio “sfera privata”;
Fase 2 inizio del fenomeno Mobbing: la vittima avverte disagio e fastidio; le relazioni con i colleghi diventano difficili e si inaspriscono; la vittima comincia a porsi domande sul cambiamento;
Fase 3 dei primi sintomi psicosomatici: QUALE Psicologia, 2006, 28 23 il soggetto travagliato, incredulo, isolato comincia ad avere disturbi del sonno, d’ansia, gastroenterici, muscoloscheletrici, cardiocircolatori e sessuali, difficoltà a recarsi al lavoro; l’idea del lavoro diventa prevalente ed ossessiva; primi sintomi di depressione: astenia, svogliatezza, demotivazione, sensi di colpa per non essere capace di migliorare la situazione.
Fase 4 degli errori ed abusi dell’amministrazione del personale: assenze per malattia protratte, ritardi cronici che portano spesso a sanzioni da parte dei superiori; inizia il percorso del Mobbing.
Fase 5 fase dell’aggravamento della salute psicofisica della vittima: il soggetto entra in depressione più grave; la diagnosi di “stato ansioso depressivo” non piace alle aziende, con aggravio della posizione del mobbizzato; sviluppo di idee persecutorie; sviluppo di un possibile “Disturbo Postraumatico da Stress” o di un “Disturbo dell’adattamento” con compromissione del funzionamento sociale o lavorativo; malattie fisiche: quali asma bronchiale, ulcera duodenale, vertigini, cefalee, disturbi del comportamento alimentare e della sfera sessuale; riduzione delle difese immunitarie con maggior facilita’ ad ammalarsi.
Fase 6 esclusione dal mondo del lavoro: dimissioni volontarie; licenziamento; ricorso al prepensionamento; esiti traumatici quali suicidio, omicidio, vendetta sul mobber. In sintesi, Ege, evidenziò tre fattori nell’insorgenza del Mobbing: ambiente entro il quale avvengono i soprusi, comportamento del Mobber, comportamento del mobbizzato.
Legislazione
Attualmente in Italia ancora non esiste una Legge nazionale sull’argomento nonostante nel corso delle legislature degli ultimi anni siano stati presentati diversi progetti di legge. Con il DM del 27 aprile 2004 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha però inserito i danni da mobbing nell’elenco delle “malattie per le quali è obbligatoria la denuncia” nel Gruppo 7 – Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro: Disturbo dell’adattamento (DA) e Disturbo Post-traumatico da Stress (DPTS). L’elenco è così costituito: lista I, contenente le malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità; la lista II, le malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità; la lista III , le malattie la cui origine lavorativa è possibile. Nel corso di quest’anno si è costituito il Network Nazionale per la Prevenzione del Disagio Psicosociale in Ambito Lavorativo di cui l’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro) è promotore, con l’obiettivo di tracciare una comune linea di intervento sul disagio lavorativo. In Svezia e in altri paesi europei, quali la Germania e la Norvegia, il fenomeno è stato invece ad oggi ampiamente studiato e regolamentato. Nel 1993 L’Ente Nazionale per la Salute e la Sicurezza svedese ha emanato le disposizioni relative alle misure da adottare contro forme di persecuzioni psicologica degli ambienti di lavoro; un anno dopo il governo promulgò una legge sul mobbing con la quale, oltre che adottare misure di prevenzione, riconobbe il danno psichico come malattia professionale. In Germania è stato stipulato il «Betriebsverfassungsgesetz» (BetrVG) ovvero un accordo sul mobbing nell’area del pubblico impiego del 23 dicembre 1988. La Norvegia ha preferito invece optare per una tutela a livello legislativo del mobbing attraverso l’introduzione di una specifica previsione nella legge sulla tutela dell’ambiente di lavoro del 1977 ad opera dell’art. 12 della legge 24 giugno 1994, n. 41, che così recita: “..I lavoratori non devono essere esposti a molestie o ad altri comportamenti sconvenienti…”.
Risarcimento e Onere Probatorio
Di recente attualità assume sempre maggiore importanza la questione del risarcimento al lavoratore oggetto di mobbing: quali danni possano essere risarciti e quali prove debbano essere prodotte. L’INAIL attualmente indennizza il danno alla salute, generato dal “mobbing”, quale danno biologico. La malattia è così valutata: “lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico-legale”. Tale danno è considerato “malattia professionale non tabellata”. I possibili danni risarcibili sono: Danno morale – evento negativo penalmente rilevante 1. Danno patrimoniale – danno a beni, quali retribuzione, carriera, professionalità, ecc. 2. Danno esistenziale – danno al valore vita (viene calpestata la personalità e la dignità del lavoratore) 3. Danno biologico – lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale. I giudici chiedono una puntuale specificazione dei danni patiti soprattutto della loro reale esistenza, onere a carico del lavoratore che dovrà dimostrare la gravità dei fatti che hanno causato la dequalificazione professionale. Ovvero “quell’insieme di atti e comportamenti ostili, vessatori e di persecuzione psicologica, posti in essere da colleghi e/o dal datore di lavoro e dai superiori gerarchici, nei confronti di un dipendente”. Recentemente sono state emesse le seguenti sentenze in materia:
1) Corte di Cassazione, n° 19965 del 15/09/2006. “In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamene ne deriva –non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale- non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo”.
2) Corte di Cassazione, n° 20616 del 22/09/2006.
“Il danno da demansionamento non si pone come conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro, ma deve essere oggetto di allegazione e prova secondo i principi generali di cui all’art. 2697 del Codice Civile.
3) Tribunale di Milano, 30/09/2006. In termini di ripartizione dell’onere probatorio, incombe sempre sul lavoratore l’onere di dimostrare la sussistenza delle singole voci di danno, tanto di quello biologico, quanto di quello all’immagine professionale ed esistenziale. Le conseguenze Le conseguenze che possono insorgere sono molteplici e riguardano l’intero sistema organizzativo. Per la vittima può subire infatti: il deterioramento delle relazioni amicali, problemi di salute, perdita di autostima, separazione e divorzio, difficoltà di reinserimento professionale o contenzioso legale Per l’azienda invece: il calo di produttività all’interno dell’azienda, costi per malattia, clima intollerabile, costi per nuovo personale (annunci, selezione, procedure assunzione, formazione).
Quadro diagnostico “Sono i fattori situali correlati all’azione mobbizzante che risultano essere determinanti per lo sviluppo dell’alterazione del benessere psico-fisico del soggetto e non la personalità premorbosa che può eventualmente essere modificata come esito finale dell’azione mobbizzante” (Giglioli 2000, Hirigoyen, 2000). Nelle vittime si riscontrano spesso gravi ripercussioni sulla salute psicofisica visibili in un ben definito quadro sindromico. Vanno quindi effettuate delle accurate valutazioni cliniche riguardanti: 1. Anamnesi Familiare 2. Anamnesi Occupazionale 3. Sintomatologia4. Anamnesi Sociale (Amicizie, Tempo Libero) 5. Risorse 6. Futuro 7. Farmaci 8. Esame Neurologico 9. Esame Psichico 10. Colloquio Clinico Una volta effettuata la valutazione si procede con la valutazione psicodiagnostica per la rilevazione di alterazioni dello stato di benessere indotte dalle situazioni di Mobbing:
Alterazioni dell’equilibrio socioemotivo: Depressione – ansia – stato di preallarme – ossessioni – attacchi di panico – isolamento – anestesia reattiva – sensazione di depersonalizzazione. Alterazioni dell’equilibrio psicofisiologico: Cefalea – vertigini – disturbi gastrointestinali – senso di oppressione toracica – tachicardia – manifestazioni dermatologiche – disturbi del sonno – disturbi della sessualità.
Disturbi del comportamento: Disturbi alimentari (anoressia – bulimia); abuso di alcool – fumo – farmaci; reazioni autoaggressive o eteroaggressive; totale passività. Tenendo conto della sistematizzazione nosografica del DSM-IV, le conseguenze sulla salute che possono derivare da una condizione di mobbing dovrebbero essere comprese nell’insieme definito “Reazioni ad Eventi”. Tali reazioni includono il Disturbo dell’Adattamento (DA), il Disturbo Acuto da Stress (DAS) e il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS). Nonostante la gravità del quadro psicologico che se ne ricava, bisogna tener presente che in ambito lavorativo esiste un vasto insieme di disturbi psichiatrici classificabili come “reazioni ad eventi”, identificabili, per nesso eziologico, come malattie professionali o malattie correlate al lavoro (work-related), che nulla hanno a che vedere con la condizione di mobbing. Risulta infatti che in Italia solo il 4% dei disturbi stress correlati denunciati siano riconducibili al fenomeno (Gilioli et al., 2000). Circa un terzo della casistica totale è, infine, costituito da casi di patologia psichiatrica comune o di patologia fittizia. In ogni caso, comunque, la diagnosi avviene in seno al lavoro di una équipe multidisciplinare di specialisti che operano in parallelo e coordinati tra loro (Giglioli et al., 2000):
- Medico del Lavoro anamnesi e analisi dell’organizzazione del lavoro
- Psicologo del Lavoro, analisi e valutazione dei fattori di rischio trasversali
- Medico Psichiatra, determinazione della tipologia della reazione ad evento determinatasi e diagnosi psichiatrica (DDA, DAS e DPTS)
- Psicologo Clinico, l’analisi e valutazione delle manifestazioni psicopatologiche attuali e/o pregresse, somministrazione di batterie di test mirati
- Medico Legale, valutazione analitica della sussistenza di un nesso di causalità e individuazione di un eventuale danno biologico.
Strumenti di rilevamento soggettivo
Gli strumenti diagnostici che vengono utilizzati solitamente dai Centri Clinici adibiti alla diagnosi e trattamento sono molteplici, si sta cercando però di definire un’unica batteria di test affinché il potenziale mobbizzato possa avere in sede di giudizio un’interpretazione unanime. I test attualmente in uso sono:
- Questionario per la rilevazione del fenomeno “Mobbing” – CDL
- Questionario sullo stress da lavoro – OSQ
- Questionario di personalità – MMPI (o/e 16 PF di Catell, CBA)
- Test di dinamismo mentale – Matrici progressive di Rave
- Test proiettivo – il reattivo di disegno di Wartegg (se è necessario anche TAT)
- Questionario dei disturbi soggettivi – SSQ
- Questionario del tono del umore – Mood Scale
La prevenzione Il maggior impegno da assumere è quello di affrontare il mobbing in una logica di prevenzione, prima ancora che di sanzione, ripensare al modo di gestire il capitale umano ponendo attenzione al benessere organizzativo generale incidendo così in maniera positiva sulla motivazione e sulla produttività. Possiamo distinguere tre tipi di prevenzione: primaria, secondaria e terziaria. Secondo una definizione classica la prevenzione primaria è quella che agisce in assenza di sintomi ed è centrata sulle cause del fenomeno da prevenire e mira principalmente ad aumentare le competenze dei soggetti attraverso una vera e propria Promozione della Salute; la prevenzione secondaria è quella che interviene dopo la comparsa dei primi sintomi e lavora soprattutto su questi attraverso una corretta diagnosi precoce e intervento del fenomeno; la prevenzione terziaria interviene dopo la diffusione e reiterazione di un fenomeno, e punta alla riduzione della progressione delle patologie correlate.
Conclusioni Le proposte che avanziamo riguardano principalmente tre aspetti, prima di tutto il miglioramento delle condizioni psicosociali dell’ambiente di lavoro, attraverso checkup organizzativi e monitoraggio continuo. In un secondo momento l’intervento deve orientarsi verso lo sviluppo di una cultura organizzativa i cui standard e valori siano contro il mobbing, anche sviluppando e definendo una legge specifica a cui poter far riferimento. In fine l’interesse dovrebbe focalizzarsi verso la formulazione di una politica contenente orientamenti chiari per interazioni sociali positive, la formazione continua manageriale in questa fase è uno degli strumenti più efficaci che l’organizzazione può utilizzare. Per le organizzazioni in cui ormai il fenomeno si è sviluppato sono previsti interventi a posteriori a supporto dei dipendenti colpiti: • Centri di ascolto (che solitamente rappresentano il primo contatto tra vittima e istituzione). • Gruppi di auto aiuto (per permettere la condivisione del malessere e rompere l’isolamento) • Terapia individuale (necessaria per il sostegno e il ripristino dell’equilibrio emotivo del soggetto). Naturalmente l’obiettivo successivo che ci proponiamo di raggiungere, in un non lontano futuro, è quello di un’organizzazione sana che sia attenta alle esigenze del singolo e della comunità.
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