Cos’è il Counselling
di Giulio Santoro
COS’E’ IL COUNSELLING
Il Coordinamento Nazionale Counsellor Professionisti (CNCP) definisce il Counselling come “processo relazionale tra Counsellor e uno o più clienti (singoli individui, famiglie, gruppi o istituzioni) con l’obiettivo di fornire ad essi opportunità e sostegno affinché sviluppino le le loro risorse e affinché promuovano il proprio benessere come individui e come membri della società affrontando specifiche difficoltà e momenti di crisi”.
Con il termine COUNSELLING indichiamo un’attività di aiuto orientata allo sviluppo dell’autoconsapevolezza, l’accettazione delle proprie emozioni, la crescita e lo sviluppo personale. Il fine principale del Couselling è di rendere la persona capace di vivere in modo pieno e soddisfacente la vita. La relazione di counselling rappresenta un’opportunità per la persona di impegno verso il miglioramento delle capacità di utilizzare le proprie risorse ed ha come obiettivi specifici la definizione e la risoluzione di problemi, la presa di coscienza di bisogni, aspettative e desideri, aiutare la persona a superare momenti critici, aiutarla a confrontarsi con i propri conflitti interiori e migliorarne la capacità di relazionarsi con gli altri e il mondo esterno.
Sviluppatosi in Occidente a partire dagli anni ’60 in poi all’interno di politiche dei Welfare State (stato assistenziale o stato sociale), il Counselling nasce come un’attività di sostegno in ambito sociale, per trasformarsi successivamente in una professionalità autonoma e istituzionalmente riconosciuta. Il Counselling si distingue dalle tecniche psicoterapeutiche sotto vari aspetti, innanzitutto perché si pone in un contesto di prevenzione e di offerta di servizi di interesse sociale, ma altri aspetti quali la tipologia dei problemi affrontati, il tipo e la durata del trattamento e il setting in cui si svolge la relazione di aiuto, lo rendono distinguibile dalle forme di aiuto psicoterapeutico. Il Counselling, inoltre, può essere svolto non necessariamente da psicoterapeuti.
Il Counselling si occupa di problemi di natura non psicopatologica, che non siano già radicati profondamente nella persona, ma che si presentano in alcuni momenti della vita. La durata del trattamento è breve, un solo incontro o al massimo 15/20 incontri di durata variabile 30-60 minuti con cadenza settimanale. L’intervento d’aiuto, a seconda del numero di clienti coinvolti, può essere definito come counselling individuale, se vi è solo una persona coinvolta, counselling di coppia, se rivolto alla coppia, counselling familiare, se rivolto ad una famiglia, counselling di gruppo, se rivolto ad un gruppo eterogeneo e counselling istituzionale, se rivolto alle istituzioni.
Vi è inoltre una distinzione possibile fra i vari tipi di counselling tra i quali: il counselling esistenziale, il counselling di gestalt, il counselling di logoterapia, il counselling di psicosintesi, il counselling di analisi transazionale, il counselling di PNL, il counselling di ecopsicologia, il counselling integrato, il counselling di gruppo, il counselling bioenergetico e il co-counselling. Queste tipologie di counselling si distinguono per le finalità, i metodi e le tecniche utilizzati, i percorsi proposti e l’attenzione verso specifici funzionamenti e processi.
Nella definizione di Rogers possiamo dire che “un counselling efficace consiste in un rapporto flessibile, ma ben strutturato, che permette al soggetto di raggiungere un grado di autocomprensione tale da consentirgli di adottare provvedimenti positivi, alla luce di questo nuovo orientamento”. Nel modello rogersiano è possibile individuare i principi sul quale si basa il counselling. Nel suo modo di intendere questa tecnica di aiuto, Rogers definì il colloquio come non direttivo in un modello di intervento definito “centrato sul cliente”. La relazione stessa, in quest’ottica, diventa la risorsa più importante e viene dato maggiore risalto al sapere essere dell’operatore più che alle tecniche utilizzate e quindi al saper fare. Le qualità umane e la relazione diventano il fulcro sul quale ruota l’efficacia terapeutica del counselling. In base ai principi rogersiani secondo i quali la persona è essenzialmente costruttiva, sociale e possiede risorse interne per la propria crescita, il counsellor non si preoccupa di aiutare in senso stretto l’utente nella soluzione dei propri problemi, ma si pone come facilitatore di certe condizioni migliorative, in quanto fermamente convinto che il cliente abbia in sé tutte le potenzialità per crescere e migliorarsi se saputo guidare dall’esterno. Inoltre, questo atteggiamento da parte del counsellor facilita nel cliente un senso di fiducia nelle proprie capacità, piuttosto che sviluppare una qualche forma di dipendenza dal counsellor, inteso in quest’ultimo caso come colui che è capace di risolvere i problemi altrui. Ancora, questo atteggiamento favorisce una migliore sensazione di accettazione incondizionata del cliente da parte della figura di aiuto.
Sempre secondo Rogers, le condizioni necessarie e sufficienti perché sia possibile un processo terapeutico sono le seguenti:
- Devono esserci due persone, di cui una in stato di bisogno, in contatto psicologico tra loro;
- Il terapeuta, o figura di aiuto, è invece in uno stato di congruenza e prova sentimenti di considerazione positiva e incondizionata nei confronti del cliente;
- Il terapeuta prova una comprensione empatica nei confronti del cliente;
Durante una relazione di aiuto, il counsellor deve poter facilitare, attraverso la sua abilità di prestare attenzione, tre processi interpersonali fondamentali quali l’esplorazione, la comprensione e l’azione. L’abilità di prestare attenzione e fare sentire ascoltato il cliente è una condizione base per l’aiuto. Questa abilità comprende l’atteggiamento preparatorio all’attenzione che consiste nel preparare gli utenti informandoli, contattandoli e incoraggiandoli, preparare un contesto ambientale facilitante come la predisposizione del mobilio, degli oggetti, delle sedie o poltrone e la preparazione di se stessi, ripassando appunti, rivedendo gli obiettivi del contratto ed eventuali tecniche di rilassamento per allentare la propria ansia.
Il counsellor si occuperà di prestare attenzione alla persona attraverso la sua postura aperta e disponibile, la sua posizione nello spazio rispetto il cliente e uno contatto oculare. L’osservazione avrà come oggetto l’aspetto esteriore del cliente, la postura, eventuali elementi di trascuratezza dell’abbigliamento e dell’igiene, espressioni non verbali, caratteristiche corporee, e il livello energetico della persona, oltre gli aspetti che possono comunicare stati emotivi quali le espressioni del volto, la postura e i movimenti corporei involontari.
Importante per il counsellor, per porsi in un atteggiamento di attenzione, è identificare un proprio stile di ascolto, con un proprio modo di presentarsi, un tono di voce, una postura. Inoltre, dovranno essere sospese tutte le forme di pregiudizio, i valori personali, allontanare le distrazioni in modo da stare quanto più possibile concentrato su comportamenti interiori ed esteriori del cliente.
E’ di fondamentale importanza evitare tutte quelle tecniche di aiuto convenzionale che generalmente rappresentano delle vere e proprie barriere della comunicazione. Tecniche quali dare ordini, comandare, dirigere, moralizzare, giudicare, criticare, consigliare, minimizzare, molto diffuse nelle normali relazioni amicali, costituiscono barriere alla libera comunicazione ed espressione dei sentimenti per un cliente che si trova per la prima volta a parlare con uno sconosciuto di problemi personali. Il fine del counsellor non è quello di indagare, giudicare o rassicurare il paziente, come molti possono credere, ma quello di stargli accanto, offrendogli sostegno attraverso la sua partecipazione nel qui e ora.
E’ importante che il counsellor incoraggi al massimo la libertà di espressione dei sentimenti da parte del cliente, permettendo un processo di ricerca della chiave del malessere che ha portato la persona a richiedere un aiuto. Anche l’acquisizione di insight che Rogers definisce come il “saper vedere nuovi rapporti di causa ed effetto, acquistare migliore comprensione del significato dei sintomi comportamentali, approfondire la comprensione dei propri modelli di comportamento”, diventa un valido aiuto alla persona nel suo desiderio di comprendere i perché del proprio malessere e permette di vedere gli avvenimenti del passato sotto una nuova luce, aumentando maggiormente le ricadute in termini di sofferenza nel proprio presente.
Nel Counselling si utilizza la tecnica del colloquio come strumento di lavoro. Possiamo definire il colloquio come una conversazione guidata durante la quale due o più persone scambiano idee, sentimenti, informazioni e opinioni per raggiungere obiettivi comunemente concordati. Nella definizione di conversazione guidata dobbiamo specificare che il counsellor si pone con atteggiamento propositivamente attivo senza per questo cadere nell’autoritarismo, al fine di raggiungere gli obiettivi che in fase preliminare sono stati concordati insieme con il cliente.
Si deve vedere il colloquio come un viaggio. Se immaginiamo di raggiungere un luogo, dobbiamo anche prevedere i tempi di andata, ma anche quelli di ritorno, per cui, all’interno di un colloquio è importante che il counsellor sappia guidare il proprio cliente verso una meta e poi al raggiungimento di un tempo predefinito, ci si prepari per il ritorno che sia quanto più graduale possibile in chiusura, in modo da evitare una sospensione brusca dell’incontro.
Durante il colloquio è possibile definire il problema da affrontare e se quel determinato problema possa essere preso in carico dal counsellor oppure quest’ultimo debba fare un invio verso altre figure professionali o istituzioni; si definiscono gli obiettivi comuni, la durata dell’intervento, la frequenza degli incontri, luogo, costo delle sedute e modalità di pagamento, gli obblighi reciproci rispetto al rapporto professionale e tutto quello che serve a definire la relazione di aiuto e a facilitare l’alleanza di lavoro nel rispetto reciproco tra counsellor e utente.
Sullivan indica tre fasi in cui divide il colloquio: una prima fase in cui si accoglie il cliente, chiarendo con lui le motivazioni che lo hanno portato a stabilire un contatto e invitandolo a parlare; una seconda fase di riconoscimento, in cui si raccoglieranno le notizie quali età. Lavoro e altro, ponendo sempre attenzione ai vari indizi diagnostici di ansia, depressione e vari altri disturbi e riassumendo cio che si è evidenziato. La fase finale che coincide con la fine del colloquio e riguarda le conclusioni che si trarranno dall’ascolto del cliente e le eventuali indicazioni sul trattamento da seguire.
Durante il primo colloquio è di fondamentale importanza che il counsellor faccia un’analisi della domanda del cliente, chiedendosi chi è che sta chiedendo aiuto, se la persona è stata inviata da qualcuno o si è presentata in piena libertà e autonomia, se il cliente ha una genuina motivazione al miglioramento e se necessita di una forma di aiuto più profonda come una psicoterapia.
Le caratteristiche principali di una relazione di aiuto consistono in quello che Rogers ha identificato come una triade di qualità personali quali condizioni necessarie e sufficienti a mettere in atto una forma di aiuto da parte del counsellor per l’utente. Queste tre caratteristiche corrispondono a vere e proprie condizioni facilitanti durante la relazione di aiuto e riguardano particolarmente la figura del counsellor.
L’accettazione positiva incondizionata, un modo di essere terapeutico nell’ottica dell’approccio rogersiano, può definirsi come la capacità necessaria al terapeuta di accettare il cliente sospendendo il proprio giudizio e rispettandolo come persona, senza tenere conto dei suoi comportamenti manifesti. La persona che presenta un comportamento disfunzionale utilizza quest’ultimo come una forma di difesa che per il momento non riesce ad abbandonare. Il rispetto incondizionato e senza pregiudizi della persona è dovuto proprio alla considerazione che si ha del comportamento fuorviante inteso come sintomo di un disagio più importante. Per cui l’accettazione incondizionata è riferita all’esperienza vissuta dal cliente più che al suo comportamento esplicito. Un lavoro personale, mirato ad allargare la propria autoconsapevolezza può aiutare la persona a migliorare la propria condizione esistenziale e abbandonare la sua difesa a fronte di una condizione di vita migliore.
IN particolare, Lietaer identifica tre dimensioni dell’accettazione positiva incondizionata: la considerazione positiva, cioè quell’atteggiamento di affettività del counsellor nei confronti del paziente e della sua esperienza che può identificarsi con sentimenti di cura e di amore, accoglienza, calore, simpatia e accettazione. In questa dimensione prevale una componente di amore non possessivo e di sospensione di giudizio; la non-direttività intesa come possibilità di centrarsi sul cliente, considerato come persona unica avente il diritto di vivere secondo il suo punto di vista. In questa dimensione, il counsellor dovrà liberarsi dal proprio sistema di riferimento ed eliminare ogni forma di atteggiamento paternalistico secondo cui si ritiene che il paziente debba conformarsi al suo pensiero e al suo sentire; con l’incondizionalità, si estende l’accettazione positiva anche a ciò che noi consideriamo negativo. Questo vuol dire che l’accettazione del counsellor resta invariata a prescindere dagli stati emotivi o dal comportamento del cliente. In altre parole, vi è un’accettazione senza condizioni di tutte le esperienze che il cliente porta nella relazione, in quanto ogni esperienza ha un valore e un significato preciso nella storia del disagio e della sofferenza.
Questo concetto ‘idealistico e di difficile applicazione nella pratica non va considerato come un concetto assoluto, ma piuttosto, un punto di vista flessibile secondo il quale il counsellor prova per molti momenti della relazione terapeutica un atteggiamento positivo incondizionato mentre per altri momenti sperimenta una considerazione positiva condizionata o anche negativa.
Tornando a Rogers, un’altra condizione facilitante è la congruenza, cioè la capacità di essere in profondo contatto con i propri pensieri e le proprie emozioni costantemente. Si potrebbe scambiare questo concetto con quello di autenticità, ma la differenza che possiamo fare fra autenticità e congruenza sta nel fatto che l’autenticità si mette in atto nel rapporto con gli altri, mentre la congruenza nel rapporto con se stessi. Insieme i due termini indicano quel tipo di accordo fra pensieri, emozioni e vissuti interiori da una parte e comunicazione verbale e non verbale dall’altra. La congruenza, inoltre dà la possibilità di una maggiore fiducia da parte del cliente nei confronti del counsellor congruente. Il counsellor diventa un facilitatore autentico del processo quando esce dalla facciata di competenza per instaurare con il paziente un rapporto aperto, autentico, basato sulla fiducia e sul coraggio di esporsi in prima persona con le proprie debolezze e i propri sentimenti. Questo apprendimento ad essere congruente implica un’esplorazione dei propri aspetti interiori, dei propri bisogni, paure e desideri che si presentano nel setting in modo da avere quanta più fiducia in se stesso.
La congruenza e l’autenticità del counsellor rappresentano un invito per il paziente ad essere anche lui congruente e autentico. L’assioma rogersiano ci invita a riflettere sulla condizione di congruenza e autenticità che il terapeuta o figura di aiuto deve raggiungere, in quanto quest’ultimo non può in alcun caso pretendere dal paziente il coraggio di essere se stesso se nemmeno lui lo ha. Una via privilegiata di accesso ad un contatto profondo con il proprio paziente è la capacità di stare in contatto con se stessi, accettandosi per quello che si è realmente, senza preoccuparsi di fingere un ruolo.
Il terzo assioma rogersiano e condizione facilitante è l’empatia che, con le parole di Rogers, indica quel sentire il mondo personale del paziente “come se” fosse il nostro senza mai dimenticare questa qualità del “come se”. E’ la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di entrare nel suo schema di riferimento al fine di comprenderlo profondamente. Attraverso il legame empatico, il paziente ha la sensazione di essere accettato come persona, promuove l’accettazione dei propri sentimenti ed emozioni e facilita la fiducia verso la propria esperienza. Rogers sostiene che l’empatia sia uno dei più delicati ed efficaci mezzi che noi abbiamo per utilizzare noi stessi. E’ possibile che si sviluppi un grado di empatia già a partire dal secondo incontro tra counsellor e cliente e il grado di empatia che si sviluppa è in stretta relazione con con il grado di autoesplorazione del counsellor o terapeuta. Più il counsellor è esperto e più il clima empatico sarà evidente e proficuo. Un alto grado di empatia, all’interno di una relazione d’aiuto, infatti, suggerisce una buona possibilità di successo. A tal proposito, possiamo distinguere quattro tipi di empatia: emotiva, corporea, cognitiva e intuitiva.
A questo punto possiamo aprire una parentesi su quella che è definita come Finestra di Johary che costituisce un modello teorico da tenere sempre in considerazione in quanto ci permette di comprendere le dinamiche relazionali e sociali. La Finestra di Johary consiste in quattro aree che rappresentano le quattro parti in cui si pone la persona durante una relazione. L’interesse per questa finestra è giustificato dal fatto che questa rappresenta uno strumento per riflettere su come ognuno di noi si pone nei confronti degli altri e ci aiuta a leggere meglio le relazioni interpersonali e di gruppo. Le aree della finestra sono le seguenti: Area Aperta: ciò che io so di me e ciò che gli altri sanno di me; Area Nascosta: ciò che io so di me, ma che gli altri non sanno di me; Area Cieca: ciò che io non so di me ma gli altri sanno di me; Area Sconosciuta: area sconosciuta a me e agli altri.
Tornando agli strumenti di cui si avvale il counsellor abbiamo l’ascolto passivo quali il silenzio, i cenni di attenzione partecipe e i cenni di conferma e l’ascolto attivo attraverso cui osserva, ascolta, fa ipotesi, comunica le proprie impressioni e attende una conferma dal cliente.
Una delle tecniche maggiormente utilizzate durante un colloquio e che rappresenta una tecnica base dl processo di counselling è la riformulazione che consiste nel dire con altre parole, e spesso in modo chiaro e sintetico, ciò che il cliente ha detto, al fine di ottenere un consenso da parte di quest’ultimo su ciò che si è compreso. La riformulazione ha moltissimi vantaggi tra i quali il fatto di far sentire maggiormente compreso il cliente, la sicurezza di non introdurre elementi estranei o interpretativi, la sicurezza, per il counsellor, di avere ascoltato e compreso bene ciò che è stato riferito e l’accettazione e comprensione del punto di vista del cliente. Secondo i principi base del concetto di riformulazione, il paziente o soggetto, è l’unico a conoscere meglio di tutti il suo problema, quindi attraverso la riformulazione è data massima fiducia alle capacità autoesplorative del soggetto nel rispetto del suo modo di vivere la situazione in cui si trova. Attraverso la riformulazione, il paziente ha la possibilità di confrontarsi con un “riflesso” che gli viene restituito dal counsellor, che gli dà un’opportunità di prendere maggiormente coscienza di sé. La riformulazione deve contenere le idee e il pensiero del cliente che dev’essergli ripresentato in modo da essere riconosciuto come qualcosa di non estraneo e di appartenente al suo mondo, con il quale confrontarsi.
Con Rogers e Kinget possiamo fare una distinzione di tre tipi di riformulazione: la reiterazione o riflesso semplice, utilizzato per lo più in situazioni di racconto descrittivo, che consiste in un semplice riflettere il contenuto espresso dal cliente in una breve risposta che riassume la comunicazione mettendone in risalto l’aspetto più saliente o ancora come ripetizione delle ultime parole del cliente per stabilire quel tipo di sensazione di accoglimento e ascolto da parte del counsellor; rispetto alla reiterazione, il riflesso del sentimento ha un carattere più dinamico in quanto tenta di estrapolare un’idea, un atteggiamento o un sentimento dalle parole del cliente. In altre parole, potremmo dire che questo tipo di riflesso tende a mettere in risalto lo sfondo emotivo sul quale si muovono i pensieri del cliente; la dilucidazione (o chiarificazione) va oltre il riflesso del sentimento in quanto tenta di cogliere gli aspetti che il cliente tenta di eclissare ponendo l’attenzione su altri elementi. La dilucidazione, quindi pone l’attenzione su quel non detto che comunque influenza il discorso e che traspare e può essere dedotto attraverso un’attenta analisi del contesto in cui si pone il discorso del paziente.
La metafora figura-sfondo, presa a prestito dalla Teoria della Gestalt, può aiutarci nella comprensione di ciò che accade durante un processo terapeutico, in cui è possibile introdurre un cambiamento nella persona attraverso un continuo cambiamento della percezione tra figura e sfondo, tra ciò che è detto e ciò che non può essere detto. Nel processo di risposta-riflesso si ha la possibilità di restituire al paziente le sottolineature e i contrasti tra le figure delle proprie idee e pensieri e lo sfondo emozionale attraverso il quale queste figure si articolano, mettendo in evidenza ora la figura ora lo sfondo, in un gioco di contrasti e rovesciamenti.
Giulio Santoro