
Che cos’è una classe di esercizi di bioenergetica – Ellen Green Giammartini
Ellen Green Giammartini
Che cos’è una classe di esercizi di bioenergetica
Ovvero che cosa non è una classe di esercizi di bioenergetica.
La questione iniziale
Che cos’è una classe di esercizi bioenergetici? Spesso sembra essere di tutto per tutti. È uno spazio in cui provare metodi che pretendono di risvegliare la Kundalini dei partecipanti, oppure un gruppo per impegnarsi a fondo nelle tecniche Gestaltiche, o musicoterapia o arteterapia, o invece una classe in cui fare una dimostrazione di esercizi di Psicosintesi di Assagioli, o è la tribuna appropriata per persone che siano state in India per tre settimane o più (o meno) e che vogliono trasmettere ai loro compatrioti i segreti dell’Est? Chiraramente sto sconfinando nella sfera di ciò che gli esercizi di bioenergetica non sono, alla ricerca di una risposta alla mia questione iniziale. Tuttavia, è difficile evitare tale sconfinamento, dal momento che molte attività che vanno (o passano) sotto il titolo di “classi di esercizi di bioenergetica”, nella pratica effettiva risultano essere ciò che esse non sono.
Che cos’è una classe di esercizi bioenergetici? Spesso sembra essere di tutto per tutti. È uno spazio in cui provare metodi che pretendono di risvegliare la Kundalini dei partecipanti, oppure un gruppo per impegnarsi a fondo nelle tecniche Gestaltiche, o musicoterapia o arteterapia, o invece una classe in cui fare una dimostrazione di esercizi di Psicosintesi di Assagioli, o è la tribuna appropriata per persone che siano state in India per tre settimane o più (o meno) e che vogliono trasmettere ai loro compatrioti i segreti dell’Est? Chiraramente sto sconfinando nella sfera di ciò che gli esercizi di bioenergetica non sono, alla ricerca di una risposta alla mia questione iniziale. Tuttavia, è difficile evitare tale sconfinamento, dal momento che molte attività che vanno (o passano) sotto il titolo di “classi di esercizi di bioenergetica”, nella pratica effettiva risultano essere ciò che esse non sono.
Il presente saggio non tratta della pratica dell’analisi bioenergetica, che include l’analisi del carattere, ma della conduzione di classi di esercizi di bioenergetica, che non la implicano. L’analisi bioenergetica è discussa solo con il proposito di fare paragoni ed evidenziare contrasti. Userò l’abbreviazione EB per esercizi bioenergetici quando entrambe le parole verranno usate come aggettivi, cioè con propositi di descrizione in riferimento a una classe, come in “classe EB”, similmente userò l’abbreviazione AB per l’analisi bioenergetica, come in “terapia di gruppo AB”.
Il mio sforzo per rispondere alla domanda posta nel titolo consiste principalmente in un tentativo di chiarimento di alcune aree pratiche della bioenergetica: che cosa si sta realmente facendo. Il bisogno di questo impegno non è nato dal fatto che Alexander Lowen non sia stato chiaro in ciò che ha scritto e detto fino a oggi, bensì dal fatto che nell’avvicendarsi degli apporti delle sue scoperte e dei suoi contributi creativi, le acque della sua chiarezza si sono talvolta intorbidite. Nell’area degli esercizi di bioenergetica il testo The Way to Vibrant Health: a Manual of Bioenergetic Excercises di Alexander e Leslie Lowen (in Italia: Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica. Manuale di esercizi pratici, Astrolabio) è notevole per la chiarezza sia della parte scritta che delle illustrazioni che contiene.
Il materiale che segue è basato principalmente sulle mie esperienze in Europa, tuttavia l’evidenza suggerisce che anche negli Stati Uniti, in alcune occasioni, i professionisti cedono alla tentazione di usare la classe EB come acchiappa-tutto. Così, la questione posta nel titolo di questo articolo può essere interessante al di là dei confini europei. Anzi, come tenterò di dimostrare, è una problematica che ci porta oltre i confini delle stesse classi EB, nell’area dei principi fondamentali della pratica psicoterapeutica. Ciò ci conduce altresì a un esame di alcuni basilari precetti etici propri di questa professione.
Tra il dire e il fare…
Siccome non mancano principi stabiliti in modo lucido, sia per la teoria che per la prassi bioenergetica, e poiché le teorie sono chiare e illuminanti, il fatto che la pratica da parte dei nuovi praticanti sia scrupolosamente basata su questi principi e queste teorie è un presupposto che viene comprensibilmente dato per scontato. Tuttavia, lasciare totale libertà di scelta individuale relativamente all’imbarcarsi in un’attività operativa in questa o in qualsiasi altra area della nostra professione, insieme con la mancanza di supervisione dei contenuti o della sostanza di tali attività, una volta intraprese, significa permettere che molte distorsioni si insinuino o perfino prolifichino nel lavoro.
Nel campo della bioenergetica, che include sia la psicoterapia che le classi di esercizi, possiamo acquisire una grande quantità di conoscenze teoriche prima di avere maturato molta esperienza pratica e/o prima di avere sviluppato un’attitudine matura nei confronti del lavoro. Laddove manca una vasta esperienza di lavoro, una salutare cautela da parte del conduttore della classe -possiamo chiamarla modestia professionale- può costituire una salvaguardia adeguata. Però tale modestia (o umiltà) raramente si accompagna con l’immaturità. Più spesso sembra prevalere l’equazione paradossale che l’ambizione esteriore cresce in proporzione diretta con l’impreparazione interiore.
Questa situazione problematica non è attenuata dal seguente fatto, che a tutt’oggi è stato dato per scontato: mentre coloro che hanno scarsa esperienza in bioenergetica non possono praticare la terapia, nondimeno essi sono quelli a cui può essere affidata la conduzione di classi di esercizi bioenergetici. Quando ciò si verifica, allora le classi EB sembrano offrire l’irresistibile opportunità di “saltare le tappe” della crescita professionale. Se ho appena seguito un gruppo di terapia di qualsiasi scuola o approccio psicoterapeutico dove sono state usate tecniche sconosciute, le proverò sui partecipanti delle classi EB che ora conduco! Queste nuove tecniche non sono esercizi bioenergetici, né possono in molti casi essere integrate nello specifico modo di fare questi esercizi, perciò tanto meno possono essere legittimate o giustificate come parte del “mio approccio individuale” nella conduzione di una classe EB. “Non vi preoccupate, è una buona esercitazione per me come futuro terapeuta!” è la risposta implicita, anche se inespressa, del conduttore. Così la classe EB è usata come un laboratorio per la sperimentazione professionale, pagata, più convenientemente, dalle cavie stesse.
In gruppo per gli esercizi o per l’analisi
Vi sono alcuni elementi di autentica confusione circa la natura di una classe EB. Uno di questi, in pratica, concerne la differenza tra una classe EB e una terapia di gruppo AB. Vorrei chiamare in causa commenti che ho udito in passato sull’effetto di “noia” prodotto dalle classi EB, o sul fatto che “non funzionano”. Devo aggiungere che non solo i principianti, ma talvolta anche terapeuti riconosciuti, cedono alla tentazione di trasformare una “banale” classe di esercizi in una “eccitante” terapia di gruppo. Qui viene messa in gioco anche l’etica professionale, perchè non possiamo (eticamente) stabilire un contratto che ffra ai partecipanti classi di esercizi e poi procedere a coinvolgerli in una terapia di gruppo, con tutto ciò che comporta sia per la psiche che per il corpo.
Con i conduttori che non hanno idee confuse rispetto all’area dell’etica professionale esiste un problema più intrinseco. Cioè come fare in modo che la classe EB non si trasformi in un gruppo di terapia AB, il che è qualcosa che può accadere (o tende costantemente ad accadere), contrariamente alle intenzioni e ai desideri del conduttore. Qui sono necessarie tanto la capacità quanto l’integrità professionale. Ciò comporta il fatto di avere concetti chiari riguardo allo scopo e alla natura del lavoro nelle classi EB e anche la capacità di riportare il lavoro all’interno dei suoi precisi limiti. Data la “efficacia potenziale” degli esercizi bioenergetici, questo non è un compito facile. Certamente non è un compito da assegnare ai principanti nel campo della bioenergetica. Si deve mantenere il lavoro all’interno di limiti specifici, incoraggiando nello stesso tempo il fluire dell’energia (non bloccandola) e tutto questo mentre si conduce un esercizio per, diciamo, dieci persone, piuttosto che dando istruzioni semplicemente a un singolo individuo. Insieme con la chiarezza dei concetti è necessario sviluppare l’abilità di fare distinzioni, anche sottili, in relazione al lavoro: come nella scelta, sequenza, durata e “dosaggio” degli esercizi; e in relazione ai partecipanti: per esempio di fronte alle variazioni delle reazioni individuali agli esercizi e alla differenziazione dei ritmi e/o dei “fattori di tolleranza”.
Le qualità necessarie al conduttore
Per un conduttore di classi EB sono necessarie altre capacità e una somma di esperienza non indifferente; deve essere in primo luogo e principalmente esperto circa la propria persona in relazione agli esercizi di bioenergetica, deve avere consapevolezza della loro potenza e una conoscenza pratica dei principi fondamentali della bioenergetica. Deve avere un’attitudine all’osservazione, estremamente allenata nel notare piuttosto che nel ricercare (cioè nel vedere il corpo piuttosto che nel guardare alla ricerca della struttura caratteriale), questa è un’altra qualità necessaria. Lo scopo è quello di condurre la classe EB in modo creativo, consentendo ai partecipanti di vivere un’esperienza ricca e in espansione pur mantenendo una specifica struttura.
In altre parole, la flessibilità all’interno di una struttura è positiva, mentre la negazione di una struttura è distruttiva. Il risultato è la distruzione di una forma: in questo modo il caos tende a sostituirsi al contenuto. Anche l’esperienza e l’attitudine all’insegnamento sono vantaggiosi.
Ottenere questa esperienza e sviluppare queste qualità è un eccellente allenamento per il futuro terapeuta. Così le classi EB hanno un posto -vorrei dire persino un posto essenziale- nei programmi di formazione, oltre al loro vantaggio complementare, importantissimo, di procurare un lavoro supplementare sul corpo per le persone in formazione. Gettando uno sguardo al di là di quest’area professionale, la classe EB è, secondo la mia opinione, uno strumento potente, sebbene trascurato, di miglioramento della società contemporanea, e potrebbe anche svolgere un ruolo importante nell’area della medicina preventiva. Questi ultimi due aspetti verranno discussi in maggior dettaglio in un saggio futuro.
L’uso corrente della parola “esercizio” in bioenergetica può portare a qualche confusione e infatti deve essere capito in modo chiaro. Perché ciò che in una classe EB è un esercizio, quando è usato in un contesto diverso e a un differente livello, in una seduta terapeutica di AB diventa una tecnica terapeutica -e una tecnica potenzialmente efficace per tale scopo. Così, in effetti, se si permette agli allievi di condurre classi precocemente nella loro formazione (classi per il pubblico non soggette alla supervisione degli insegnanti), si mettono nelle loro mani delle potenti tecniche terapeutiche, con l’incoraggiamento a usarle prima che siano qualificati a farlo. Il conduttore della classe, nell’uso degli esercizi deve operare l’equivalente della valutazione fatta dal terapeuta nei riguardi dell’utilizzazione di una tecnica potenzialmente efficace o meno e/o del limite entro cui usarla, precisamente perché gli esercizi non devono essere impiegati come tecniche terapeutiche potenti. Cioè devono essere contenuti entro certi limiti. C’è un percorso sottile (se non stretto e rettilineo) per muoversi nelle classi EB senza trasformale in ciò che non sono.
Gli esercizi di bioenergetica possono anche essere usati come esercizi per sé nelle sessioni di terapia individuale e di gruppo, per esempio per aiutare nel processo di radicamento. Li usiamo come esercizi (per sé) nel lavoro che facciamo sui nostri propri corpi per tutta la nostra vita, come psicoterapeuti praticanti, o semplicemente come esseri umani dediti a ciò che Lowen chiama “la verità del corpo” (1989). Poiché il nostro lavoro nella bioenergetica è finalizzato alla pienezza – al conseguimento della nostra totalità di esseri umani – deve sempre essere fondato su questa verità. Infatti il dottor Lowen ha sottolineato che “Ritornare alle origini (…) è un’affermazione del nostro riprendere a dedicarci a questa verità fondamentale” (ibid). Egli ha altresì affermato con una frase semplice e vivida che il “corpo è la persona” (1984).
La persona compiuta è quella che è in contatto con entrambe: le sensazioni e le emozioni. Ed entrambe -emozioni e
sensazioni- sono localizzate e talvolta rinchiuse nel corpo. E lo specifico proposito degli esercizi di bioenergetica è quello di aiutare a sbloccare l’energia intrappolata o confinata all’interno del corpo e accrescere la mobilità ai livelli muscolare ed emozionale. Le classi EB condividono questa finalità con l’analisi bioenergetica, alcuni dei mezzi utilizzati sono i medesimi (vale a dire gli esercizi bioenergetici!) ma il loro uso nelle classi differisce da quello fatto in terapia. Entriamo inevitabilmente nell’arena di soma e psiche quando lavoriamo bioenergeticamente, ma come conduttori di classi EB non ci impegniamo in psicoanalisi, anche se le nostre qualifiche professionali ci abiliterebbero a farlo. Il nostro intervento nell’area psicologica è chiaramente più limitato. Al tempo stesso, come ho imparato conducendo classi EB per partecipanti che non erano in terapia, è proficuo e incoraggiante vedere in che misura le persone che vivono nella società contemporanea e che soffrono dei mali dei giorni nostri possano trarre beneficio da questa specifica modalità di lavoro bioenergetico. Perciò, ovviamente, in una genuina classe EB non possiamo sfuggire alla priorità del lavoro sul corpo.
Ogni professionista nel campo della bioenergetica sa che cosa sia un esercizio bioenergetico. Perciò, la domanda pertinente a questo punto si incentra in realtà sui suoi specifici usi nelle diverse circostanze. Qual è la modalità, la portata, l’intensità, il metodo d’impiego degli esercizi bioenergetici nei differenti contesti? Per esempio, possiamo essere consapevoli della natura degli esercizi bioenergetici e tuttavia trasformare una classe EB in qualcosa che non lo è più. Perciò adesso mi piacerebbe cambiare il rilievo nella domanda del titolo del saggio per chiedere: che cos’è una classe di esercizi di bioenergetica?
Background
Prima di condurre classi EB la mia esperienza nel campo della bioenergetica è consistita di tre anni di analisi bioenergetica con Alexander Lowen. Il mio lavoro professionale si svolgeva nell’ambito teatrale con una vasta esperienza di insegnamento.
Durante il periodo in cui fui in terapia con il dottor Lowen fondai e divenni il direttore artistico del “West Side Actors Workshop and Repertory” di New York, dove formai attori e scrissi e diressi opere per il nostro teatro stabile. Geograficamente eravamo situati Fuori-Broadway, ma la nostra collocazione in relazione alla dimensione culturale era fuori Fuori-Broadway, con tutta la libertà di sperimentazione che ciò consentiva!
L’attore è “il proprio strumento” e la sua formazione implica le azioni di “accordare”, “regolare la tensione” e “aprire” lo strumento; ciò comporta anche l’aiuto ad aumentare la propria capacità di espressione emozionale e, a tal fine, a liberarsi sia dai blocchi fisici che da quelli psicologici. Così si tratta di un tipo di insegnamento molto particolare, per molti aspetti non scollegato dalla psicoterapia, sebbene con delle differenze di grande rilievo. È significativo che anche in questo lavoro il risultato stia in sottili, ma fondamentali, distinzioni.
Il lavoro con l’attore è finalizzato ad aiutarlo ad acquisire tecniche di recitazione: l’abilità nell’arte di recitare. Il suo scopo quindi non è la psicoterapia, anche se il suo lavoro per l’acquisizione e la pratica di questa abilità è terapeutico di per sé. In modo simile, interporrò a questo punto, le classi EB non dovrebbero essere finalizzate a dare psicoterapia ai partecipanti anche se, quando siano condotte in modo corretto, le classi sono indubitabilmente (e giustamente) terapeutiche.
Negli ultimi due anni del mio lavoro a New York usai alcuni esercizi e tecniche bioenergetici con l’approvazione e
l’incoraggiamento del dottor Lowen. Nelle lezioni usammo il cavalletto bioenergetico per aiutare la respirazione. I cavalletti furono anche collocati nei camerini del nostro teatro, usati regolarmente dagli attori, non soltanto durante le prove ma anche prima e talvolta persino durante le rappresentazioni, cioè tra gli atti. Poiché la tensione è il rischio professioonale dell’attore e poiché una ricca espressività emotiva richiede una respirazione piena e profonda, l’efficacia dell’aiuto dato agli attori con tecniche bioenergetiche può essere immaginata da chiunque abbia familiarità con esse. Tuttavia, sia durante una lezione come insegnante che nel corso di una prova come direttrice, mi curai di tenere in mente la distinzione tra l’insegnare una abilità da un lato, come il lavorare con un attore sul suo ruolo in una recita usando alcune tecniche bioenergetiche per questo scopo, e l’uso di tali tecniche per dare psicoterapia dall’altro. La funzione dell’insegnante di recitazione è quella di aiutare l’attore ad acquisire un’abilità per diventare un attore indipendente. Non è quella di andare alla ricerca di gratificazioni rendendo l’attore emozionalmente e artisticamente dipendente dal suo insegnante.
Un lavoro sul corpo non vale l’altro
La mia formazione prima della terapia ha incluso una grande quantità di lavoro corporeo. Ho studiato danza da bambina (danza classica) e da adulta (danza moderna) e ho praticato molti sport. Questo tipo di coinvolgimento con il corpo, come ben presto imparai, nell’analisi bioenergetica può divenire ciò che ora chiamerei una “soluzione schizoide”. Il dottor Lowen ha sottolineato che molti ballerini di straordinaria abilità, che sono in grado di eseguire movimenti virtuosistici, sono completamente privi di sentimenti corporei. Cionondimeno, questo tipo di esperienza conferisce un’utile conoscenza tecnica circa il corpo e il suo allineamento, mentre è fermo o in movimento.
L’esperienza riguardo i movimenti corporei può anche essere un utile retroterra per il futuro conduttore di classi EB, come mezzo per fare e mantenere distinzioni competenti tra i movimenti corporei per sé (come nella danza, nella ginnastica e negli sport) e i movimenti corporei che vengono effettuati attraverso lo specifico approccio bioenergetico. Ciò significa che un retroterra di esperienza di danza o di ginnastica o di sport (o di tutti e tre) è ovviamente insufficiente di per se stesso, ma deve essere seguito da un vasto lavoro bioenergetico.
Può essere interessante aggiungere che la danza che studiai da adulta fu presso il “Marta Graham School of Contemporary Dance”. In quel periodo era Marta Graham stessa a insegnare. Lo specifico spunto interessante consiste nel fatto che la tecnica Graham è rinomata per il modo in cui spinge i ballerini ad avere una relazione con il terreno. Le figure di caduta della Graham sono famose per la loro bellezza e sono usate sia in coreografia che nelle lezioni tecniche. La tecnica stessa viene studiata a piedi nudi, sebbene nell’eseguirla i ballerini possano indossare calzature come parte del loro costume nei pezzi teatrali. In ogni caso, c’è una continua identificazione della realtà del suolo, “spingendo” consapevolmente e fisicamente con i piedi contro il suolo per effettuare balzi o salti, oppure correndo, o impennandosi.
La stessa Graham ebbe a sottolineare che nella danza classica lo sforzo dei ballerini non è teso semplicemente a sfidare la forza di gravità, ma a creare l’illusione che non esista. Nel suo lavoro, per contrasto, c’è una costante accettazione e affermazione della gravità e una continua relazione dei ballerini con questa realtà fisica: quando si balza via dal suolo o si cade verso di esso, quando ci si muove attraverso la superficie del terreno o si rimane semplicemente calmi. Nello stesso tempo, la tecnica Graham non coinvolge i ballerini in un “grounding” nel senso di Lowen -è lontana da ciò. L’enfasi è sullo “spingere su” con i muscoli del ventre ed è questo “spingere su” (e “dentro” come risultato) che permette lo svolgimento di figure di caduta così meravigliosamente controllate e di figure di nuova risalita ugualmente stupende. Nel lavoro di Lowen l’enfasi è sul “fare scendere” e ciò comporta il lasciare la pancia “fuori”. La modalità di ciascuno nell’usare la relazione con il suolo potrebbe essere usata come l’illustrazione di una delle molte differenze tra il teatro e la terapia.
Nel lavoro della Graham gli esecutori creano ed elargiscono un forte elemento fisico estetico-visivo, che causerà una reazione cinestesica ed emozionale negli spettatori coinvolti. Nel lavoro di Lowen è la persona stessa a essere impegnata in un movimento fisico e in un’attività muscolare che approfondisce il suo respiro e causa reazioni emozionali all’interno di se stessa. Ciò accade senza alcun coinvolgimento dovuto a elementi visivi o estetici, né per la proiezione di un’esperienza verso spettatori coinvolti.
Così, mentre è storicamente interessante che il lavoro della Graham e quello di Lowen si siano sviluppati entrambi intorno allo stesso periodo del ventesimo secolo ed entrambi abbiano un consapevole e fondamentale rapporto con la terra, essi non sono la stessa cosa.
Quando studiavo e lavoravo a New York, avevo notato che la gente usava seguire poche lezioni con uno dei grandi tra gli insegnanti di recitazione, come Lee Strasberg o Gene Frankel, e poi abbandonava le proprie ambizioni di attore e decideva di aprire la propria scuola privata di recitazione. Erano degli insegnanti auto-riconosciuti con un’insufficiente esperienza di lavoro come di vita. Normalmente avevano una qualche conoscenza della psicoanalisi, se non per esperienza personale almeno a livello teorico. Nelle loro lezioni, gli esercizi di “apertura” venivano usati in modo tale (per inesperienza o con intenzione) da rendere l’apprendista un attore emotivamente dipendente dal suo insegnante mentre, come ho asserito, il loro uso pienamente adeguato all’interno di un autentico metodo di insegnamento è quello di rendere capace l’attore di diventare un artigiano indipendente.
Già a quei tempi, lavorando in campo teatrale, la capacità di fare distinzioni o piuttosto la mancanza di questa abilità, che osservai dovunque, era la mia forma di “fissazione”, che abbastanza stranamente doveva applicarsi più tardi, nel campo dell’analisi bioenergetica, relativamente (per esempio) alla differenza tra le classi EB e le terapie di gruppo AB. Credo che questo retroterra m’aiutò a offrire la prima classe EB a Roma (prima che il manuale di esercizi di bioenergetica di Alexander e Leslie Lowen venisse scritto) in modo tale da far sì che questa distinzione essenziale fosse fatta e mantenuta.
La mia esperienza è stata quella di aver condotto lezioni senza mai averne prese come partecipante, poichè le classi EB non esistevano a New York prima che io la lasciassi. Perciò potei non prendere nulla per scontato, e condurre i partecipanti in ciascuna lezione fu in qualche misura un’avventura nell’ignoto. Questo mi spinse a riflettere, in ogni fase delle classi, sia a un livello teorico che sul piano concreto. Ed è questo aspetto, credo, che rende utile un racconto particolareggiato dell’esperienza. Ecco una descrizione dei partecipanti e del modo in cui condussi queste prime classi.
La prima classe EB a Roma negli anni Settanta
Le persone che a Roma diedero inizio al progetto di classi EB erano intellettualmente vive, come viene evidenziato dai loro studi dedicati al lavoro di Wilhelm Reich, che in alternativa li avevano portati logicamente verso il lavoro di Alexander Lowen. Mi sembrò infatti che il loro interesse per gli esercizi bioenergetici avesse una componente intellettuale così ampia da rivelare un possibile tranello. La mia impressione era che si aspettassero che io condividessi qualsiasi conoscenza possedessi circa questi esercizi, per parlarne insieme, teorizzare della loro efficacia e gioire pienamente a un livello intellettuale. Perciò all’esordio evitai di parlare degli esercizi, mentre mi dichiarai pronta a farli con il gruppo. Così iniziò la prima classe di esercizi di bioenergetica a Roma. Alcuni dei partecipanti erano in vegetoterapia reichiana, altri no. L’analisi bioenergetica non era ancora praticata in Italia.
Quale fu l’approccio che usai? Condussi le classi massimizzando l’azione e minimizzando la discussione. Le spiegazioni furono date a piccole dosi. Le istruzioni verbali per gli esercizi potevano includere brevi spiegazioni del loro campo d’azione e del loro scopo, spesso unite con indicazioni attraverso il contatto: una leggera pressione esercitata con la mia mano in modo tale da aggiustare la posizione o la postura di qualcuno era più eloquente e di maggiore aiuto di una profusione di spiegazioni. Con questo particolare gruppo mi sembrò che fosse particolarmente importante operare il più possibile a un livello non verbale.
Infatti, in questo gruppo a un estremo si trovava l’approccio intellettuale agli esercizi, mentre all’altro c’era un interesse primario sul come questi potessero condurre all’espressione emozionale, o specificamente all'”esplosione” emozionale. Procedendo spiegai alla classe, nel suo insieme, che durante il lavoro fisico (gli esercizi stessi) la nostra attenzione era diretta ai nostri corpi, senza che ci fosse una ricerca mentale di risultati a qualsiasi livello. Lasciarsi andare alle lacrime era un fenomeno positivo, risultante dall’approfondimento della respirazione e dall’allentamento delle tensioni muscolari, tensioni che probabilmente si erano create originariamente allo scopo di trattenere le lacrime. Tuttavia, allora non stavamo ricercando quello specifico allentamento. Stavamo semplicemente facendo gli esercizi in un modo specifico -la modalità bioenergetica- mentre il risultato accadeva.
Con questo tipo di approccio stavamo anche imparando a permettere al risultato di venire.
Il mio lavoro consistette in ampia misura nel dirigere l’attenzione di ogni partecipante verso il proprio corpo. Scoprii anche che l’abilità del conduttore consiste meramente nel dirigere l’attenzione senza dire ai partecipanti che cosa dovrebbero sentire, ma semplicemente aiutandoli ad arrivare al sentire, qualsiasi siano i sentimenti e le sensazioni nel loro corpo. Dove una persona sente tensione o sforzo un’altra può sperimentare sensazioni fluenti.
Dove un esercizio originariamente causa dolore può, con le ripetizioni e l’allentamento della tensione, procurare piacere.
Una preziosa esperienza
È soprattutto qui che la mia esperienza nell’insegnamento agli attori è stata di inestimabile aiuto. Poichè, sebbene la sensibilità sia la vera e propria sostanza -la materia prima- dell’arte dell’attore, egli non lavora mai direttamente sulle emozioni (Stanislavsky). Quando in una classe EB i giocatori di ruolo (Role Players) dell’esistenza iniziano a prendere contatto con i propri corpi, attraverso gli esercizi che stanno facendo, stanno cominciando a entrare in contatto con la realtà (con ciò che sentono realmente) e dunque stanno facendo i primi passi verso l’essere.
In questa prima classe EB a Roma tutti i miei commenti e le mie spiegazioni erano distribuiti lungo l’arco del tempo e sempre dati congiuntamente con il lavoro fisico che veniva fatto. Dissi ai partecipanti che l’effetto degli esercizi come dell’uso regolare del cavalletto era cumulativo e non poteva essere istantaneo. Ciascun partecipante avrebbe progredito -o iniziato un suo processo- con i propri ritmi e la propria velocità. Un lavoro fisico introduttivo potrebbe essere (ad esempio) semplicemente quello di chiedere ai partecipanti di stare con i piedi paralleli e separati, le ginocchia piegate (o “sbloccate”) e di lasciare il proprio peso andare giù giù giù…
Quando, in seguito all’approfondimento della respirazione, si verificava spontaneamente una reazione emozionale durante un esercizio, ciò spesso causava paura o perfino sensazioni di panico nei partecipanti. Per chi era in terapia tale allarme era meno acuto e, vorrei sottolineare, l’insieme dell’esperienza poteva essere rinviata al terapeuta alla seduta successiva. Tuttavia, se un partecipante non in terapia mostrava segni di avere tali difficoltà, andavo da lui immediatamente, suggerendogli di interrompere l’esercizio e di raggomitolarsi nella posizione intrauterina. Di solito mantenevo un contatto fisico con lui, posandogli la mano sulla spalla o sul braccio, se tale contatto era gradito e di conforto.
Mentre il resto del gruppo continuava a lavorare, io passavo quindi a spiegare alla persona in questione, in termini generali e principalmente fisici, in che cosa credevo consistesse la difficoltà. Per esempio: la respirazione si era ampliata troppo e troppo rapidamente; era a un volume tale che il partecipante non poteva ancora contenere.
La cosa più importante che dicevo era che avremmo fatto bene a procedere molto lentamente e che la sua capacità di respirare in modo più profondo e di sostenere certi esercizi sarebbe cresciuta gradualmente , come la sua capacità di lasciarsi andare alle lacrime. Dicevo in modo del tutto franco che non faceva parte dei miei scopi entrare nel merito (cioè analizzare) degli specifici contenuti emozionali dei problemi che causavano le sue difficoltà presenti. Queste conversazioni a tu per tu si svolgevano nel modo meno drammatico possibile. Anche questo faceva parte del mio sforzo di mantenere la distinzione tra le classi, dove ci incontravamo regolarmente per fare esercizi bioenergetici, e la situazione di terapia di gruppo.
Se uno dei partecipanti stava gridando e non semplicemente esprimendo le sue sensazioni di disagio in una forma verbale, io gestivo la situazione esattamente nello stesso modo. Mi sto riferendo all’urlare inteso come esperienza di un fenomeno spaventoso, non come una naturale liberazione spontanea. All’inizio uno o più dei partecipanti alla classe che avevano avuto esperienze di terapia di gruppo venivano a toccare e parlare o tenere il partecipante che stava gridando. Non incoraggiavo questo comportamento. In effetti, senza offendere i sentimenti di coloro che volevano dare conforto, tendevo a scoraggiarlo attivamente. La ragione era, precisamente, che volevo mantenere la distinzione menzionata sopra. Il supporto attivo, il conforto e la solidarietà degli altri membri del gruppo sono un elemento essenziale delle sessioni di terapia di gruppo, come quei partecipanti che avevano più esperienza e buone intenzioni sapevano. Tuttavia io non stavo lavorando per il tipo di sblocco emozionale o per il tipo di esperienza che sono lo scopo della terapia di gruppo. Così sentivo che era meglio gestire questi eventi quietamente, da me stessa, sulla base di un rapporto uno-a-uno, mentre ciascun altro continuava il lavoro sul proprio corpo nello specifico esercizio che era in corso in quel momento. In effetti, non volevo che le regole o le atmosfere di una seduta di terapia di gruppo si insinuassero nella classe di esercizi. Una terapia di gruppo è una delle cose che la classe EB non è, anche se una classe EB è terapeutica. Si può esprimere lo stesso pensiero nella forma di una domanda: se una classe EB è una terapia di gruppo AB, allora perchè viene distinta con una denominazione differente? Questa questione non diventò pressante fino a qualche anno fa, ma probabilmente la formulai nella mia mente per la prima volta per via del comportamento dei partecipanti (con esperienza di terapia di gruppo) nella prima classe EB data in Italia.
Direzione: dentro di sé
Durante questi interludi uno-a-uno trovai che era abbastanza possibile dirigere la mia attenzione sulla classe come un tutto, seguire il suo lavoro e perfino dare occasionali istruzioni verbali senza disturbare indebitamente il confortevole contatto con il membro della classe che non stava partecipando agli esercizi in quel momento. Difatti, come dichiarato dall’inizio, avevo incoraggiato tutti i partecipanti a concentrarsi su ciò che stava accadendo e su quello che stavano sentendo all’interno del loro proprio corpo, a entrare e a vivere nel proprio corpo, lasciando cadere il controllo e altri tipi di attività mentale per quanto possibile, durante la sessione di esercizi.
C’erano delle eccezioni a questo totale auto-assorbimento (o assorbimento nel proprio corpo), riguardo certi esercizi intrapresi insieme con altri partecipanti, ma era nondimeno una regola -guida generale e principale alla quale incoraggiai ciascuno ad aderire.
La mia scelta di comunicare con tutta la classe o su una base uno-a-uno era fatta semplicemente in accordo con ciò che sembrava più idoneo in ogni specifico momento del contesto della classe. Sentivo che il processo in evoluzione dei membri della classe, ciascuno coinvolto nella propria esperienza corporea, non doveva essere bloccato o interrotto, né doveva esserne cambiata la qualità a beneficio di un altro partecipante. Inoltre, notai che se il processo della classe era in pieno ritmo, in questo modo (cioè evitando di interromperlo per l’emergenza di un singolo) il partecipante singolo non era imbarazzato per qualsiasi difficoltà stesse incontrando e si sentiva più libero di prendersi il tempo necessario per occuparsene. In tale contesto la comunicazione uno-a-uno era più appropriata.
Diventò sempre più chiaro che il conduttore poteva avere bisogno di scegliere la comunicazione uno-a-uno in qualsiasi momento durante la classe e non soltanto in occasione dell’emergenza di picchi emozionali. Talvolta semplicemente guardando il corpo di una persona appare evidente che ha bisogno di un extra di spiegazioni verbali (o tocchi), che potrebbero non essere necessariamente di aiuto (e potrebbero perfino essere causa di distrazione) per gli altri membri della classe.
Per quanto riguarda gli esercizi “chiassosi”, per alcuni partecipanti l’urlare, il gridare e lo strillare degli altri membri della classe era stato emotivamente disturbante e aveva risvegliato sensazioni di angoscia prima che essi stessi avessero colto l’opportunità di protestare vocalmente. In questi casi spiegavo, ancora su una base uno-a-uno, che tale reazione era probabilmente dovuta ai propri impulsi a gridare (o “aggredire”) inibiti, insieme con un grande bisogno di darvi sfogo. La situazione collettiva aiuta qui grandemente il processo dello “sfogare”, poichè i primi timidi sforzi che potrebbero risultare imbarazzanti per il novizio vengono sommersi nel clamore generale. Molto spesso quei partecipanti che pochi minuti prima avevano insistito “non posso”, o “non ne ho bisogno”, oppure “non voglio ” urlare, lo facevano poi al meglio di se stessi. Le sensazioni di sollievo e di soddisfazione che sperimentavano dopo di ciò erano abitualmente un piacere a vedersi.
Uno spazio per parlare
Dopo alcuni mesi trascorsi utilizzando questo approccio, pensai che i partecipanti avessero sperimentato gli esercizi fisici in misura sufficiente da poterne parlare a un livello teoretico, senza distorcere o sminuire la materia: precisamente il lavoro corporeo. Allora divenne evidente che i membri della classe erano più avanzati in questa materia di quanto avessi capito. Avevo deciso di dedicare l’ultima mezz’ora di questa particolare classe a quella discussione degli esercizi bioenergetici che i partecipanti avevano così tanto desiderato ingaggiare durante l’orario dedicato alla classe quando avevano iniziato a lavorare insieme. Ora il mio suggerimento di parlarne fu accolto con espressioni facciali vuote o distratte. Come iniziai a dire che intendevo fare una discussione di classe sentii impazienza e frustrazione intorno a me. Le persone erano nei propri corpi. Cioè stavano sentendo la propria energia muoversi a quel livello e mentre ciò accadeva non avevano alcun desiderio di innalzarla su un piano intellettuale. Fu un momento stupendo. Cedetti immediatamente e continuai il lavoro fisico.
Questa esperienza indicò la potenza e il valore degli esercizi e mi sembrò anche che l’approccio usato fosse corretto. Potevano queste persone essere le stesse che soltanto pochi mesi prima erano interessate principalmente all’intellettualizzazione della bioenergetica, che avevano sempre dimostrato nella classe, in quel periodo, una resistenza abbastanza forte a fare gli esercizi?
Il livello di concentrazione individuale dei membri, così come quello della classe come un tutto, aveva raggiunto proporzioni sorprendenti in un tempo molto breve. Si manifestava in un profondo rispetto per i processi autonomi del corpo e in una crescente capacità di arrendersi anche a livello dell’Io a questi processi, perfino da parte dei partecipanti più “intellettuali”. I commenti scherzosi, le canzonature e le molestie verso gli altri, che avevano prevalso all’inizio, cessarono completamente. Erano state sintomatiche della combinazione di una resistenza intellettuale rispetto del corpo e di una dissimulazione delle disagevoli sensazioni di autoconsapevolezza che erano emerse quando l’intelletto aveva iniziato a cedere il suo controllo. Dopo di ciò fu difficile qualsiasi ciancia durante la classe e, con l’eccezione dei periodi dedicati agli esercizi fragorosi, prevalse un silenzio completo, rotto soltanto dal suono del respiro.
Non ho fatto questo resoconto per dimostrare che non c’è tempo e spazio per le discussioni intellettuali e le teorizzazioni. Semplicemente, per confermare che il momento e il luogo appropriato non è nel mezzo di una classe EB. Né è all’inizio. L’arte dell’insegnamento qui consiste nel comunicare il campo delle attività che vengono intraprese in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi in direzione del corpo fin dal principio.
Abitualmente “in modo tale” significa: una frase alla volta e in momenti scelti. Anche il tono di voce con cui vengono date le istruzioni è di importanza primaria: non è finalizzato a pilotare l’attenzione verso il conduttore e interrompere un inizio di concentrazione, ma a comunicare con le persone che stanno cominciando a essere coinvolte nel lavoro corporeo e ad aiutarle a un livello pratico in ciò che stanno facendo in quel momento. Non è il tono di voce con cui si tiene una conferenza di tipo logico indirizzata all’intelletto, né si tratta di istruzioni e/o di spiegazioni fatte come digressioni didattiche. In breve, la voce è non intrusiva, ma in armonia con ciò che sta accadendo o che viene fatto in un dato momento.
Certo, una o due frasi possono essere pronunziate giusto all’inizio della classe, prima che il lavoro cominci, sebbene io preferisca avere le persone in piedi con le ginocchia piegate che lasciano cadere giù il peso (eccetera!) fin dall’inizio, incluso il momento in cui vengono fatti i commenti introduttivi. Ciò significa stabilire immediatamente le giuste priorità, sia per il conduttore che per i partecipanti.
Altre opportunità per le discussioni intellettuali venivano trovate al di fuori delle classi. In questo modo veniva stabilito chiaramente un importante principio, che fu mantenuto per il resto del tempo che condussi classi a Roma: all’interno della classe stessa in primo luogo occorre aiutare i partecipanti a sperimentare gli esercizi su se stessi e in seguito, lentamente, all’interno del processo del lavoro corporeo, e non a sue spese, imparare le teorie sottostanti nei loro aspetti profondi e sottili. Ripeto che, ovviamente, un certo ammontare di teoria viene sempre dato con le istruzioni su come fare gli esercizi, ma il dosaggio è molto importante. Viene fornita abbastanza teoria per il fare nel momento, ma non tanta da dirigere l’attenzione dei partecipanti lontano dal proprio corpo e verso le elucubrazioni intellettuali.
Azioni a volte un po’ speciali
È importante sottolineare che l’uso del verbo “fare” qui non è correlato all’attività meccanica: qualsiasi “fare” nelle classi è in relazione alle sensazioni e ai vissuti corporei (“Il fare che conduce all’essere”). Così il “fare” qualche volta può sembrare quasi inattivo, come nell’esempio dato sopra circa lo stare semplicemente in piedi e lasciar cadere il peso. Si tratta di un approccio biologico ed energetico (donde bioenergetico) a un processo naturale di approfondimento del respiro e di liberazione delle energie bloccate nei muscoli tesi. Qualche volta i movimenti che ne risultano sono ampi e attivi, ma il proposito non è mai la perfezione meccanica dell’esecuzione.
Per il concetto di esercizi bioenergetici è fondamentale tenere conto del fatto che dove ci sono energia e sentimenti congelati seguirà grazia in movimento. Fondamentale per questa grazia è il lavoro sul radicamento.
Il conduttore può, anzi dovrebbe, rispettare il desiderio dei partecipanti di imparare gli esercizi a un livello intellettuale, ma mai a spese della loro vera natura e funzione, che deve essere percepita su un piano fisico. Una pura e semplice conferenza tenuta alle persone interessate a intraprendere gli esercizi può essere di aiuto. Ma dovrebbe essere tenuta in una sala da conferenze a un uditorio completamente vestito, non a una classe di partecipanti pronti e desiderosi di iniziare.
Mentre la prima classe a Roma era composta sia da persone che erano in terapia che da persone che non lo erano, più tardi, quando le classi crebbero di numero, la maggior parte erano costituite esclusivamente da persone non in terapia. In entrambi i casi, all’inizio spiegavo molto chiaramente lo scopo degli esercizi di bioenergetica: aiutare ciascun partecipante a entrare in un contatto più profondo con il proprio corpo, ad accrescere le sensazioni nel corpo, divenire consapevole delle tensioni muscolari e dei blocchi e, lavorando con il movimento e la respirazione, attraverso un processo molto graduale, tentare di rilasciarli. Il risultato a cui speravamo di arrivare con questo processo era un fluire più libero dell’energia nel corpo, che avrebbe portato a un maggior sentimento di vitalità, che a sua volta avrebbe accresciuto la capacità dei partecipanti di provare piacere.
Tutto ciò è stato detto molte volte e molto meglio nei libri del dottor Lowen. Ma queste semplici verità circa il lavoro in bioenergetica devono essere trasmesse nelle classi EB al fine di comunicare il campo delle attività intraprese, in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi verso un orientamento corporeo fin dall’esordio.
Il resoconto sulle prime classi a Roma illustra un altro fattore importante. Quando le persone sono state dominate da propri processi mentali per quasi tutta la vita, questi esercizi le metteranno molto presto in contatto con le loro sensazioni e sentimenti, cioè con i loro processi corporei. Tra gli uomini e le donne che sopravvivono sotto la pressione della vita di città della nostra epoca, i mezzi che forniscono un aiuto in direzione del sentimento, di una maggiore vitalità fisica, rappresentano un bisogno urgente. Ciò era dimostrato inoltre dalla velocità con cui cresceva il numero delle classi a Roma, simultaneamente all’allungarsi della lista di attesa. Non c’erano annunci pubblicitari e il numero delle classi aumentava in modo costante, mentre le raccomandazioni verbali passate da persona a persona ne generavano la richiesta. I partecipanti comprendevano studenti universitari, insegnanti scolastici, impiegati di banca, casalinghe, medici, psicologi, psicoterapeuti e altri professionisti. Perfino un ufficiale dell’esercito.
Esperienza e formazione
Il fatto che nelle prime classi sopra descritte parecchia gente fosse in terapia reichiana costituì per me una sfida utile e precoce per mantenere la differenza tra classi EB e terapia di gruppo AB. Ora, guardando retrospettivamente, dopo aver completato la formazione e la pratica come analista bioenergetica durata diversi anni, sono convinta che l’approccio usato fosse intrinsecamente corretto. Dando una valutazione del mio lavoro non dico che fossi dotata di modestia professionale perché non arrivavo a considerarmi una professionista nel campo della bioenergetica. Dovrei dire piuttosto che ero preoccupata circa la potenza sia psicologica che fisica degli esercizi nelle mani di una non-professionista (me stessa) che istruiva altri esseri umani nel loro uso.
Aggiungerò: fu un timore salutare. Mi consentì di impostare i limiti in modo intuitivo. Oggi non dovrei avere la stessa paura e perciò sarebbe necessario un più cosciente sforzo etico da parte mia per impostare limiti corretti per il benessere dei partecipanti così come per l’adempimento della mia parte del contratto stipulato con loro. Mentre non ero un’analista bioenergetica qualificata avevo una specifica esperienza di lavoro e di vita e una formazione che mi abilitò (è mia opinione) a condurre le classi in modo adeguato e senza distorsione del loro campo e delle loro funzioni basilari. Certo, anche allora pensavo che sarebbe stato meglio essere un’analista bioenergetica qualificata. Nondimeno, l’esperienza ha mostrato che il fatto che a condurre una classe EB sia un analista bioenergetico qualificato non è di per sé una garanzia che la classe non sarà distorta in ciò che una classe EB non è (un triplo negativo non fa un positivo!).
Il modo di lavorare descritto era anche un’espressione del mio stile personale. Gli stili personali sono sempre diversi e possono estendersi su una gamma ampia quanto tutti i colori dell’arcobaleno, se sono basati su concetti chiari e su validi principi fondamentali.
In questa prima esperienza (o esperienza di sfondo) nella conduzione di classi EB, un certo numero di principi fondamentali erano già emersi. Questi concernevano: la priorità dell’approccio fisico che include il grounding, l’importanza di stabilire questa priorità fin dall’inizio, la misura dei commenti introduttivi per una classe nuova, la quantità e il contenuto delle spiegazioni verbali e delle istruzioni date durante la classe, il mettere in rapporto con il lavoro fisico che si sta facendo tutti i commenti e le spiegazioni e le indicazioni, l’uso della comunicazione uno a uno
nel percorso della classe, la voce del conduttore, l’importanza di non essere intrusivi e di rispettare la classe e/o la concentrazione individuale, l’uso del contatto fisico da parte del conduttore, alcuni esempi di esplosioni emotive o di reazioni emozionali e come trattarli nelle classi, il non trasformare la classe EB in un gruppo di terapia AB, che potrebbe essere incluso nel principio che riguarda il mantenere il lavoro all’interno dei propri giusti limiti.
Come le richieste di classi aumentavano, così il bisogno di conduttori di classi divenne più pressante. È qui che iniziò il mio maggiore interesse verso queste classi come mezzo di aiuto per “ogni essere umano”, il migliore per quelle persone che non desiderano entrare in psicoterapia. Questo interesse non nega l’utilità delle classi per quelli che già sono in terapia, o anche come un’esperienza che per qualcuno può eventualmente portare al desiderio di entrare in terapia. Tuttavia, quando parlo di classi EB per l’ “uomo della strada”, sto immaginandole su una larga scala sociale, cioè su una scala non adeguata a qualsiasi approccio o metodo che si indirizza soltanto verso gli individui. Credo che le classi EB potrebbero essere date a diversi strati sociali e a differenti classi di età, dagli scolari agli anziani. Per questo è necessario prevedere un numero sufficiente di persone qualificate che debbono essere non soltanto adeguatamente ma anche accuratamente preparate come conduttori di classi EB.
Il mio sforzo per rispondere alla domanda posta nel titolo consiste principalmente in un tentativo di chiarimento di alcune aree pratiche della bioenergetica: che cosa si sta realmente facendo. Il bisogno di questo impegno non è nato dal fatto che Alexander Lowen non sia stato chiaro in ciò che ha scritto e detto fino a oggi, bensì dal fatto che nell’avvicendarsi degli apporti delle sue scoperte e dei suoi contributi creativi, le acque della sua chiarezza si sono talvolta intorbidite. Nell’area degli esercizi di bioenergetica il testo The Way to Vibrant Health: a Manual of Bioenergetic Excercises di Alexander e Leslie Lowen (in Italia: Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica. Manuale di esercizi pratici, Astrolabio) è notevole per la chiarezza sia della parte scritta che delle illustrazioni che contiene.
Il materiale che segue è basato principalmente sulle mie esperienze in Europa, tuttavia l’evidenza suggerisce che anche negli Stati Uniti, in alcune occasioni, i professionisti cedono alla tentazione di usare la classe EB come acchiappa-tutto. Così, la questione posta nel titolo di questo articolo può essere interessante al di là dei confini europei. Anzi, come tenterò di dimostrare, è una problematica che ci porta oltre i confini delle stesse classi EB, nell’area dei principi fondamentali della pratica psicoterapeutica. Ciò ci conduce altresì a un esame di alcuni basilari precetti etici propri di questa professione.
Tra il dire e il fare…
Siccome non mancano principi stabiliti in modo lucido, sia per la teoria che per la prassi bioenergetica, e poiché le teorie sono chiare e illuminanti, il fatto che la pratica da parte dei nuovi praticanti sia scrupolosamente basata su questi principi e queste teorie è un presupposto che viene comprensibilmente dato per scontato. Tuttavia, lasciare totale libertà di scelta individuale relativamente all’imbarcarsi in un’attività operativa in questa o in qualsiasi altra area della nostra professione, insieme con la mancanza di supervisione dei contenuti o della sostanza di tali attività, una volta intraprese, significa permettere che molte distorsioni si insinuino o perfino prolifichino nel lavoro.
Nel campo della bioenergetica, che include sia la psicoterapia che le classi di esercizi, possiamo acquisire una grande quantità di conoscenze teoriche prima di avere maturato molta esperienza pratica e/o prima di avere sviluppato un’attitudine matura nei confronti del lavoro. Laddove manca una vasta esperienza di lavoro, una salutare cautela da parte del conduttore della classe -possiamo chiamarla modestia professionale- può costituire una salvaguardia adeguata. Però tale modestia (o umiltà) raramente si accompagna con l’immaturità. Più spesso sembra prevalere l’equazione paradossale che l’ambizione esteriore cresce in proporzione diretta con l’impreparazione interiore.
Questa situazione problematica non è attenuata dal seguente fatto, che a tutt’oggi è stato dato per scontato: mentre coloro che hanno scarsa esperienza in bioenergetica non possono praticare la terapia, nondimeno essi sono quelli a cui può essere affidata la conduzione di classi di esercizi bioenergetici. Quando ciò si verifica, allora le classi EB sembrano offrire l’irresistibile opportunità di “saltare le tappe” della crescita professionale. Se ho appena seguito un gruppo di terapia di qualsiasi scuola o approccio psicoterapeutico dove sono state usate tecniche sconosciute, le proverò sui partecipanti delle classi EB che ora conduco! Queste nuove tecniche non sono esercizi bioenergetici, né possono in molti casi essere integrate nello specifico modo di fare questi esercizi, perciò tanto meno possono essere legittimate o giustificate come parte del “mio approccio individuale” nella conduzione di una classe EB. “Non vi preoccupate, è una buona esercitazione per me come futuro terapeuta!” è la risposta implicita, anche se inespressa, del conduttore. Così la classe EB è usata come un laboratorio per la sperimentazione professionale, pagata, più convenientemente, dalle cavie stesse.
In gruppo per gli esercizi o per l’analisi
Vi sono alcuni elementi di autentica confusione circa la natura di una classe EB. Uno di questi, in pratica, concerne la differenza tra una classe EB e una terapia di gruppo AB. Vorrei chiamare in causa commenti che ho udito in passato sull’effetto di “noia” prodotto dalle classi EB, o sul fatto che “non funzionano”. Devo aggiungere che non solo i principianti, ma talvolta anche terapeuti riconosciuti, cedono alla tentazione di trasformare una “banale” classe di esercizi in una “eccitante” terapia di gruppo. Qui viene messa in gioco anche l’etica professionale, perchè non possiamo (eticamente) stabilire un contratto che ffra ai partecipanti classi di esercizi e poi procedere a coinvolgerli in una terapia di gruppo, con tutto ciò che comporta sia per la psiche che per il corpo.
Con i conduttori che non hanno idee confuse rispetto all’area dell’etica professionale esiste un problema più intrinseco. Cioè come fare in modo che la classe EB non si trasformi in un gruppo di terapia AB, il che è qualcosa che può accadere (o tende costantemente ad accadere), contrariamente alle intenzioni e ai desideri del conduttore. Qui sono necessarie tanto la capacità quanto l’integrità professionale. Ciò comporta il fatto di avere concetti chiari riguardo allo scopo e alla natura del lavoro nelle classi EB e anche la capacità di riportare il lavoro all’interno dei suoi precisi limiti. Data la “efficacia potenziale” degli esercizi bioenergetici, questo non è un compito facile. Certamente non è un compito da assegnare ai principanti nel campo della bioenergetica. Si deve mantenere il lavoro all’interno di limiti specifici, incoraggiando nello stesso tempo il fluire dell’energia (non bloccandola) e tutto questo mentre si conduce un esercizio per, diciamo, dieci persone, piuttosto che dando istruzioni semplicemente a un singolo individuo. Insieme con la chiarezza dei concetti è necessario sviluppare l’abilità di fare distinzioni, anche sottili, in relazione al lavoro: come nella scelta, sequenza, durata e “dosaggio” degli esercizi; e in relazione ai partecipanti: per esempio di fronte alle variazioni delle reazioni individuali agli esercizi e alla differenziazione dei ritmi e/o dei “fattori di tolleranza”.
Le qualità necessarie al conduttore
Per un conduttore di classi EB sono necessarie altre capacità e una somma di esperienza non indifferente; deve essere in primo luogo e principalmente esperto circa la propria persona in relazione agli esercizi di bioenergetica, deve avere consapevolezza della loro potenza e una conoscenza pratica dei principi fondamentali della bioenergetica. Deve avere un’attitudine all’osservazione, estremamente allenata nel notare piuttosto che nel ricercare (cioè nel vedere il corpo piuttosto che nel guardare alla ricerca della struttura caratteriale), questa è un’altra qualità necessaria. Lo scopo è quello di condurre la classe EB in modo creativo, consentendo ai partecipanti di vivere un’esperienza ricca e in espansione pur mantenendo una specifica struttura.
In altre parole, la flessibilità all’interno di una struttura è positiva, mentre la negazione di una struttura è distruttiva. Il risultato è la distruzione di una forma: in questo modo il caos tende a sostituirsi al contenuto. Anche l’esperienza e l’attitudine all’insegnamento sono vantaggiosi.
Ottenere questa esperienza e sviluppare queste qualità è un eccellente allenamento per il futuro terapeuta. Così le classi EB hanno un posto -vorrei dire persino un posto essenziale- nei programmi di formazione, oltre al loro vantaggio complementare, importantissimo, di procurare un lavoro supplementare sul corpo per le persone in formazione. Gettando uno sguardo al di là di quest’area professionale, la classe EB è, secondo la mia opinione, uno strumento potente, sebbene trascurato, di miglioramento della società contemporanea, e potrebbe anche svolgere un ruolo importante nell’area della medicina preventiva. Questi ultimi due aspetti verranno discussi in maggior dettaglio in un saggio futuro.
L’uso corrente della parola “esercizio” in bioenergetica può portare a qualche confusione e infatti deve essere capito in modo chiaro. Perché ciò che in una classe EB è un esercizio, quando è usato in un contesto diverso e a un differente livello, in una seduta terapeutica di AB diventa una tecnica terapeutica -e una tecnica potenzialmente efficace per tale scopo. Così, in effetti, se si permette agli allievi di condurre classi precocemente nella loro formazione (classi per il pubblico non soggette alla supervisione degli insegnanti), si mettono nelle loro mani delle potenti tecniche terapeutiche, con l’incoraggiamento a usarle prima che siano qualificati a farlo. Il conduttore della classe, nell’uso degli esercizi deve operare l’equivalente della valutazione fatta dal terapeuta nei riguardi dell’utilizzazione di una tecnica potenzialmente efficace o meno e/o del limite entro cui usarla, precisamente perché gli esercizi non devono essere impiegati come tecniche terapeutiche potenti. Cioè devono essere contenuti entro certi limiti. C’è un percorso sottile (se non stretto e rettilineo) per muoversi nelle classi EB senza trasformale in ciò che non sono.
Gli esercizi di bioenergetica possono anche essere usati come esercizi per sé nelle sessioni di terapia individuale e di gruppo, per esempio per aiutare nel processo di radicamento. Li usiamo come esercizi (per sé) nel lavoro che facciamo sui nostri propri corpi per tutta la nostra vita, come psicoterapeuti praticanti, o semplicemente come esseri umani dediti a ciò che Lowen chiama “la verità del corpo” (1989). Poiché il nostro lavoro nella bioenergetica è finalizzato alla pienezza – al conseguimento della nostra totalità di esseri umani – deve sempre essere fondato su questa verità. Infatti il dottor Lowen ha sottolineato che “Ritornare alle origini (…) è un’affermazione del nostro riprendere a dedicarci a questa verità fondamentale” (ibid). Egli ha altresì affermato con una frase semplice e vivida che il “corpo è la persona” (1984).
La persona compiuta è quella che è in contatto con entrambe: le sensazioni e le emozioni. Ed entrambe -emozioni e
sensazioni- sono localizzate e talvolta rinchiuse nel corpo. E lo specifico proposito degli esercizi di bioenergetica è quello di aiutare a sbloccare l’energia intrappolata o confinata all’interno del corpo e accrescere la mobilità ai livelli muscolare ed emozionale. Le classi EB condividono questa finalità con l’analisi bioenergetica, alcuni dei mezzi utilizzati sono i medesimi (vale a dire gli esercizi bioenergetici!) ma il loro uso nelle classi differisce da quello fatto in terapia. Entriamo inevitabilmente nell’arena di soma e psiche quando lavoriamo bioenergeticamente, ma come conduttori di classi EB non ci impegniamo in psicoanalisi, anche se le nostre qualifiche professionali ci abiliterebbero a farlo. Il nostro intervento nell’area psicologica è chiaramente più limitato. Al tempo stesso, come ho imparato conducendo classi EB per partecipanti che non erano in terapia, è proficuo e incoraggiante vedere in che misura le persone che vivono nella società contemporanea e che soffrono dei mali dei giorni nostri possano trarre beneficio da questa specifica modalità di lavoro bioenergetico. Perciò, ovviamente, in una genuina classe EB non possiamo sfuggire alla priorità del lavoro sul corpo.
Ogni professionista nel campo della bioenergetica sa che cosa sia un esercizio bioenergetico. Perciò, la domanda pertinente a questo punto si incentra in realtà sui suoi specifici usi nelle diverse circostanze. Qual è la modalità, la portata, l’intensità, il metodo d’impiego degli esercizi bioenergetici nei differenti contesti? Per esempio, possiamo essere consapevoli della natura degli esercizi bioenergetici e tuttavia trasformare una classe EB in qualcosa che non lo è più. Perciò adesso mi piacerebbe cambiare il rilievo nella domanda del titolo del saggio per chiedere: che cos’è una classe di esercizi di bioenergetica?
Background
Prima di condurre classi EB la mia esperienza nel campo della bioenergetica è consistita di tre anni di analisi bioenergetica con Alexander Lowen. Il mio lavoro professionale si svolgeva nell’ambito teatrale con una vasta esperienza di insegnamento.
Durante il periodo in cui fui in terapia con il dottor Lowen fondai e divenni il direttore artistico del “West Side Actors Workshop and Repertory” di New York, dove formai attori e scrissi e diressi opere per il nostro teatro stabile. Geograficamente eravamo situati Fuori-Broadway, ma la nostra collocazione in relazione alla dimensione culturale era fuori Fuori-Broadway, con tutta la libertà di sperimentazione che ciò consentiva!
L’attore è “il proprio strumento” e la sua formazione implica le azioni di “accordare”, “regolare la tensione” e “aprire” lo strumento; ciò comporta anche l’aiuto ad aumentare la propria capacità di espressione emozionale e, a tal fine, a liberarsi sia dai blocchi fisici che da quelli psicologici. Così si tratta di un tipo di insegnamento molto particolare, per molti aspetti non scollegato dalla psicoterapia, sebbene con delle differenze di grande rilievo. È significativo che anche in questo lavoro il risultato stia in sottili, ma fondamentali, distinzioni.
Il lavoro con l’attore è finalizzato ad aiutarlo ad acquisire tecniche di recitazione: l’abilità nell’arte di recitare. Il suo scopo quindi non è la psicoterapia, anche se il suo lavoro per l’acquisizione e la pratica di questa abilità è terapeutico di per sé. In modo simile, interporrò a questo punto, le classi EB non dovrebbero essere finalizzate a dare psicoterapia ai partecipanti anche se, quando siano condotte in modo corretto, le classi sono indubitabilmente (e giustamente) terapeutiche.
Negli ultimi due anni del mio lavoro a New York usai alcuni esercizi e tecniche bioenergetici con l’approvazione e
l’incoraggiamento del dottor Lowen. Nelle lezioni usammo il cavalletto bioenergetico per aiutare la respirazione. I cavalletti furono anche collocati nei camerini del nostro teatro, usati regolarmente dagli attori, non soltanto durante le prove ma anche prima e talvolta persino durante le rappresentazioni, cioè tra gli atti. Poiché la tensione è il rischio professioonale dell’attore e poiché una ricca espressività emotiva richiede una respirazione piena e profonda, l’efficacia dell’aiuto dato agli attori con tecniche bioenergetiche può essere immaginata da chiunque abbia familiarità con esse. Tuttavia, sia durante una lezione come insegnante che nel corso di una prova come direttrice, mi curai di tenere in mente la distinzione tra l’insegnare una abilità da un lato, come il lavorare con un attore sul suo ruolo in una recita usando alcune tecniche bioenergetiche per questo scopo, e l’uso di tali tecniche per dare psicoterapia dall’altro. La funzione dell’insegnante di recitazione è quella di aiutare l’attore ad acquisire un’abilità per diventare un attore indipendente. Non è quella di andare alla ricerca di gratificazioni rendendo l’attore emozionalmente e artisticamente dipendente dal suo insegnante.
Un lavoro sul corpo non vale l’altro
La mia formazione prima della terapia ha incluso una grande quantità di lavoro corporeo. Ho studiato danza da bambina (danza classica) e da adulta (danza moderna) e ho praticato molti sport. Questo tipo di coinvolgimento con il corpo, come ben presto imparai, nell’analisi bioenergetica può divenire ciò che ora chiamerei una “soluzione schizoide”. Il dottor Lowen ha sottolineato che molti ballerini di straordinaria abilità, che sono in grado di eseguire movimenti virtuosistici, sono completamente privi di sentimenti corporei. Cionondimeno, questo tipo di esperienza conferisce un’utile conoscenza tecnica circa il corpo e il suo allineamento, mentre è fermo o in movimento.
L’esperienza riguardo i movimenti corporei può anche essere un utile retroterra per il futuro conduttore di classi EB, come mezzo per fare e mantenere distinzioni competenti tra i movimenti corporei per sé (come nella danza, nella ginnastica e negli sport) e i movimenti corporei che vengono effettuati attraverso lo specifico approccio bioenergetico. Ciò significa che un retroterra di esperienza di danza o di ginnastica o di sport (o di tutti e tre) è ovviamente insufficiente di per se stesso, ma deve essere seguito da un vasto lavoro bioenergetico.
Può essere interessante aggiungere che la danza che studiai da adulta fu presso il “Marta Graham School of Contemporary Dance”. In quel periodo era Marta Graham stessa a insegnare. Lo specifico spunto interessante consiste nel fatto che la tecnica Graham è rinomata per il modo in cui spinge i ballerini ad avere una relazione con il terreno. Le figure di caduta della Graham sono famose per la loro bellezza e sono usate sia in coreografia che nelle lezioni tecniche. La tecnica stessa viene studiata a piedi nudi, sebbene nell’eseguirla i ballerini possano indossare calzature come parte del loro costume nei pezzi teatrali. In ogni caso, c’è una continua identificazione della realtà del suolo, “spingendo” consapevolmente e fisicamente con i piedi contro il suolo per effettuare balzi o salti, oppure correndo, o impennandosi.
La stessa Graham ebbe a sottolineare che nella danza classica lo sforzo dei ballerini non è teso semplicemente a sfidare la forza di gravità, ma a creare l’illusione che non esista. Nel suo lavoro, per contrasto, c’è una costante accettazione e affermazione della gravità e una continua relazione dei ballerini con questa realtà fisica: quando si balza via dal suolo o si cade verso di esso, quando ci si muove attraverso la superficie del terreno o si rimane semplicemente calmi. Nello stesso tempo, la tecnica Graham non coinvolge i ballerini in un “grounding” nel senso di Lowen -è lontana da ciò. L’enfasi è sullo “spingere su” con i muscoli del ventre ed è questo “spingere su” (e “dentro” come risultato) che permette lo svolgimento di figure di caduta così meravigliosamente controllate e di figure di nuova risalita ugualmente stupende. Nel lavoro di Lowen l’enfasi è sul “fare scendere” e ciò comporta il lasciare la pancia “fuori”. La modalità di ciascuno nell’usare la relazione con il suolo potrebbe essere usata come l’illustrazione di una delle molte differenze tra il teatro e la terapia.
Nel lavoro della Graham gli esecutori creano ed elargiscono un forte elemento fisico estetico-visivo, che causerà una reazione cinestesica ed emozionale negli spettatori coinvolti. Nel lavoro di Lowen è la persona stessa a essere impegnata in un movimento fisico e in un’attività muscolare che approfondisce il suo respiro e causa reazioni emozionali all’interno di se stessa. Ciò accade senza alcun coinvolgimento dovuto a elementi visivi o estetici, né per la proiezione di un’esperienza verso spettatori coinvolti.
Così, mentre è storicamente interessante che il lavoro della Graham e quello di Lowen si siano sviluppati entrambi intorno allo stesso periodo del ventesimo secolo ed entrambi abbiano un consapevole e fondamentale rapporto con la terra, essi non sono la stessa cosa.
Quando studiavo e lavoravo a New York, avevo notato che la gente usava seguire poche lezioni con uno dei grandi tra gli insegnanti di recitazione, come Lee Strasberg o Gene Frankel, e poi abbandonava le proprie ambizioni di attore e decideva di aprire la propria scuola privata di recitazione. Erano degli insegnanti auto-riconosciuti con un’insufficiente esperienza di lavoro come di vita. Normalmente avevano una qualche conoscenza della psicoanalisi, se non per esperienza personale almeno a livello teorico. Nelle loro lezioni, gli esercizi di “apertura” venivano usati in modo tale (per inesperienza o con intenzione) da rendere l’apprendista un attore emotivamente dipendente dal suo insegnante mentre, come ho asserito, il loro uso pienamente adeguato all’interno di un autentico metodo di insegnamento è quello di rendere capace l’attore di diventare un artigiano indipendente.
Già a quei tempi, lavorando in campo teatrale, la capacità di fare distinzioni o piuttosto la mancanza di questa abilità, che osservai dovunque, era la mia forma di “fissazione”, che abbastanza stranamente doveva applicarsi più tardi, nel campo dell’analisi bioenergetica, relativamente (per esempio) alla differenza tra le classi EB e le terapie di gruppo AB. Credo che questo retroterra m’aiutò a offrire la prima classe EB a Roma (prima che il manuale di esercizi di bioenergetica di Alexander e Leslie Lowen venisse scritto) in modo tale da far sì che questa distinzione essenziale fosse fatta e mantenuta.
La mia esperienza è stata quella di aver condotto lezioni senza mai averne prese come partecipante, poichè le classi EB non esistevano a New York prima che io la lasciassi. Perciò potei non prendere nulla per scontato, e condurre i partecipanti in ciascuna lezione fu in qualche misura un’avventura nell’ignoto. Questo mi spinse a riflettere, in ogni fase delle classi, sia a un livello teorico che sul piano concreto. Ed è questo aspetto, credo, che rende utile un racconto particolareggiato dell’esperienza. Ecco una descrizione dei partecipanti e del modo in cui condussi queste prime classi.
La prima classe EB a Roma negli anni Settanta
Le persone che a Roma diedero inizio al progetto di classi EB erano intellettualmente vive, come viene evidenziato dai loro studi dedicati al lavoro di Wilhelm Reich, che in alternativa li avevano portati logicamente verso il lavoro di Alexander Lowen. Mi sembrò infatti che il loro interesse per gli esercizi bioenergetici avesse una componente intellettuale così ampia da rivelare un possibile tranello. La mia impressione era che si aspettassero che io condividessi qualsiasi conoscenza possedessi circa questi esercizi, per parlarne insieme, teorizzare della loro efficacia e gioire pienamente a un livello intellettuale. Perciò all’esordio evitai di parlare degli esercizi, mentre mi dichiarai pronta a farli con il gruppo. Così iniziò la prima classe di esercizi di bioenergetica a Roma. Alcuni dei partecipanti erano in vegetoterapia reichiana, altri no. L’analisi bioenergetica non era ancora praticata in Italia.
Quale fu l’approccio che usai? Condussi le classi massimizzando l’azione e minimizzando la discussione. Le spiegazioni furono date a piccole dosi. Le istruzioni verbali per gli esercizi potevano includere brevi spiegazioni del loro campo d’azione e del loro scopo, spesso unite con indicazioni attraverso il contatto: una leggera pressione esercitata con la mia mano in modo tale da aggiustare la posizione o la postura di qualcuno era più eloquente e di maggiore aiuto di una profusione di spiegazioni. Con questo particolare gruppo mi sembrò che fosse particolarmente importante operare il più possibile a un livello non verbale.
Infatti, in questo gruppo a un estremo si trovava l’approccio intellettuale agli esercizi, mentre all’altro c’era un interesse primario sul come questi potessero condurre all’espressione emozionale, o specificamente all'”esplosione” emozionale. Procedendo spiegai alla classe, nel suo insieme, che durante il lavoro fisico (gli esercizi stessi) la nostra attenzione era diretta ai nostri corpi, senza che ci fosse una ricerca mentale di risultati a qualsiasi livello. Lasciarsi andare alle lacrime era un fenomeno positivo, risultante dall’approfondimento della respirazione e dall’allentamento delle tensioni muscolari, tensioni che probabilmente si erano create originariamente allo scopo di trattenere le lacrime. Tuttavia, allora non stavamo ricercando quello specifico allentamento. Stavamo semplicemente facendo gli esercizi in un modo specifico -la modalità bioenergetica- mentre il risultato accadeva.
Con questo tipo di approccio stavamo anche imparando a permettere al risultato di venire.
Il mio lavoro consistette in ampia misura nel dirigere l’attenzione di ogni partecipante verso il proprio corpo. Scoprii anche che l’abilità del conduttore consiste meramente nel dirigere l’attenzione senza dire ai partecipanti che cosa dovrebbero sentire, ma semplicemente aiutandoli ad arrivare al sentire, qualsiasi siano i sentimenti e le sensazioni nel loro corpo. Dove una persona sente tensione o sforzo un’altra può sperimentare sensazioni fluenti.
Dove un esercizio originariamente causa dolore può, con le ripetizioni e l’allentamento della tensione, procurare piacere.
Una preziosa esperienza
È soprattutto qui che la mia esperienza nell’insegnamento agli attori è stata di inestimabile aiuto. Poichè, sebbene la sensibilità sia la vera e propria sostanza -la materia prima- dell’arte dell’attore, egli non lavora mai direttamente sulle emozioni (Stanislavsky). Quando in una classe EB i giocatori di ruolo (Role Players) dell’esistenza iniziano a prendere contatto con i propri corpi, attraverso gli esercizi che stanno facendo, stanno cominciando a entrare in contatto con la realtà (con ciò che sentono realmente) e dunque stanno facendo i primi passi verso l’essere.
In questa prima classe EB a Roma tutti i miei commenti e le mie spiegazioni erano distribuiti lungo l’arco del tempo e sempre dati congiuntamente con il lavoro fisico che veniva fatto. Dissi ai partecipanti che l’effetto degli esercizi come dell’uso regolare del cavalletto era cumulativo e non poteva essere istantaneo. Ciascun partecipante avrebbe progredito -o iniziato un suo processo- con i propri ritmi e la propria velocità. Un lavoro fisico introduttivo potrebbe essere (ad esempio) semplicemente quello di chiedere ai partecipanti di stare con i piedi paralleli e separati, le ginocchia piegate (o “sbloccate”) e di lasciare il proprio peso andare giù giù giù…
Quando, in seguito all’approfondimento della respirazione, si verificava spontaneamente una reazione emozionale durante un esercizio, ciò spesso causava paura o perfino sensazioni di panico nei partecipanti. Per chi era in terapia tale allarme era meno acuto e, vorrei sottolineare, l’insieme dell’esperienza poteva essere rinviata al terapeuta alla seduta successiva. Tuttavia, se un partecipante non in terapia mostrava segni di avere tali difficoltà, andavo da lui immediatamente, suggerendogli di interrompere l’esercizio e di raggomitolarsi nella posizione intrauterina. Di solito mantenevo un contatto fisico con lui, posandogli la mano sulla spalla o sul braccio, se tale contatto era gradito e di conforto.
Mentre il resto del gruppo continuava a lavorare, io passavo quindi a spiegare alla persona in questione, in termini generali e principalmente fisici, in che cosa credevo consistesse la difficoltà. Per esempio: la respirazione si era ampliata troppo e troppo rapidamente; era a un volume tale che il partecipante non poteva ancora contenere.
La cosa più importante che dicevo era che avremmo fatto bene a procedere molto lentamente e che la sua capacità di respirare in modo più profondo e di sostenere certi esercizi sarebbe cresciuta gradualmente , come la sua capacità di lasciarsi andare alle lacrime. Dicevo in modo del tutto franco che non faceva parte dei miei scopi entrare nel merito (cioè analizzare) degli specifici contenuti emozionali dei problemi che causavano le sue difficoltà presenti. Queste conversazioni a tu per tu si svolgevano nel modo meno drammatico possibile. Anche questo faceva parte del mio sforzo di mantenere la distinzione tra le classi, dove ci incontravamo regolarmente per fare esercizi bioenergetici, e la situazione di terapia di gruppo.
Se uno dei partecipanti stava gridando e non semplicemente esprimendo le sue sensazioni di disagio in una forma verbale, io gestivo la situazione esattamente nello stesso modo. Mi sto riferendo all’urlare inteso come esperienza di un fenomeno spaventoso, non come una naturale liberazione spontanea. All’inizio uno o più dei partecipanti alla classe che avevano avuto esperienze di terapia di gruppo venivano a toccare e parlare o tenere il partecipante che stava gridando. Non incoraggiavo questo comportamento. In effetti, senza offendere i sentimenti di coloro che volevano dare conforto, tendevo a scoraggiarlo attivamente. La ragione era, precisamente, che volevo mantenere la distinzione menzionata sopra. Il supporto attivo, il conforto e la solidarietà degli altri membri del gruppo sono un elemento essenziale delle sessioni di terapia di gruppo, come quei partecipanti che avevano più esperienza e buone intenzioni sapevano. Tuttavia io non stavo lavorando per il tipo di sblocco emozionale o per il tipo di esperienza che sono lo scopo della terapia di gruppo. Così sentivo che era meglio gestire questi eventi quietamente, da me stessa, sulla base di un rapporto uno-a-uno, mentre ciascun altro continuava il lavoro sul proprio corpo nello specifico esercizio che era in corso in quel momento. In effetti, non volevo che le regole o le atmosfere di una seduta di terapia di gruppo si insinuassero nella classe di esercizi. Una terapia di gruppo è una delle cose che la classe EB non è, anche se una classe EB è terapeutica. Si può esprimere lo stesso pensiero nella forma di una domanda: se una classe EB è una terapia di gruppo AB, allora perchè viene distinta con una denominazione differente? Questa questione non diventò pressante fino a qualche anno fa, ma probabilmente la formulai nella mia mente per la prima volta per via del comportamento dei partecipanti (con esperienza di terapia di gruppo) nella prima classe EB data in Italia.
Direzione: dentro di sé
Durante questi interludi uno-a-uno trovai che era abbastanza possibile dirigere la mia attenzione sulla classe come un tutto, seguire il suo lavoro e perfino dare occasionali istruzioni verbali senza disturbare indebitamente il confortevole contatto con il membro della classe che non stava partecipando agli esercizi in quel momento. Difatti, come dichiarato dall’inizio, avevo incoraggiato tutti i partecipanti a concentrarsi su ciò che stava accadendo e su quello che stavano sentendo all’interno del loro proprio corpo, a entrare e a vivere nel proprio corpo, lasciando cadere il controllo e altri tipi di attività mentale per quanto possibile, durante la sessione di esercizi.
C’erano delle eccezioni a questo totale auto-assorbimento (o assorbimento nel proprio corpo), riguardo certi esercizi intrapresi insieme con altri partecipanti, ma era nondimeno una regola -guida generale e principale alla quale incoraggiai ciascuno ad aderire.
La mia scelta di comunicare con tutta la classe o su una base uno-a-uno era fatta semplicemente in accordo con ciò che sembrava più idoneo in ogni specifico momento del contesto della classe. Sentivo che il processo in evoluzione dei membri della classe, ciascuno coinvolto nella propria esperienza corporea, non doveva essere bloccato o interrotto, né doveva esserne cambiata la qualità a beneficio di un altro partecipante. Inoltre, notai che se il processo della classe era in pieno ritmo, in questo modo (cioè evitando di interromperlo per l’emergenza di un singolo) il partecipante singolo non era imbarazzato per qualsiasi difficoltà stesse incontrando e si sentiva più libero di prendersi il tempo necessario per occuparsene. In tale contesto la comunicazione uno-a-uno era più appropriata.
Diventò sempre più chiaro che il conduttore poteva avere bisogno di scegliere la comunicazione uno-a-uno in qualsiasi momento durante la classe e non soltanto in occasione dell’emergenza di picchi emozionali. Talvolta semplicemente guardando il corpo di una persona appare evidente che ha bisogno di un extra di spiegazioni verbali (o tocchi), che potrebbero non essere necessariamente di aiuto (e potrebbero perfino essere causa di distrazione) per gli altri membri della classe.
Per quanto riguarda gli esercizi “chiassosi”, per alcuni partecipanti l’urlare, il gridare e lo strillare degli altri membri della classe era stato emotivamente disturbante e aveva risvegliato sensazioni di angoscia prima che essi stessi avessero colto l’opportunità di protestare vocalmente. In questi casi spiegavo, ancora su una base uno-a-uno, che tale reazione era probabilmente dovuta ai propri impulsi a gridare (o “aggredire”) inibiti, insieme con un grande bisogno di darvi sfogo. La situazione collettiva aiuta qui grandemente il processo dello “sfogare”, poichè i primi timidi sforzi che potrebbero risultare imbarazzanti per il novizio vengono sommersi nel clamore generale. Molto spesso quei partecipanti che pochi minuti prima avevano insistito “non posso”, o “non ne ho bisogno”, oppure “non voglio ” urlare, lo facevano poi al meglio di se stessi. Le sensazioni di sollievo e di soddisfazione che sperimentavano dopo di ciò erano abitualmente un piacere a vedersi.
Uno spazio per parlare
Dopo alcuni mesi trascorsi utilizzando questo approccio, pensai che i partecipanti avessero sperimentato gli esercizi fisici in misura sufficiente da poterne parlare a un livello teoretico, senza distorcere o sminuire la materia: precisamente il lavoro corporeo. Allora divenne evidente che i membri della classe erano più avanzati in questa materia di quanto avessi capito. Avevo deciso di dedicare l’ultima mezz’ora di questa particolare classe a quella discussione degli esercizi bioenergetici che i partecipanti avevano così tanto desiderato ingaggiare durante l’orario dedicato alla classe quando avevano iniziato a lavorare insieme. Ora il mio suggerimento di parlarne fu accolto con espressioni facciali vuote o distratte. Come iniziai a dire che intendevo fare una discussione di classe sentii impazienza e frustrazione intorno a me. Le persone erano nei propri corpi. Cioè stavano sentendo la propria energia muoversi a quel livello e mentre ciò accadeva non avevano alcun desiderio di innalzarla su un piano intellettuale. Fu un momento stupendo. Cedetti immediatamente e continuai il lavoro fisico.
Questa esperienza indicò la potenza e il valore degli esercizi e mi sembrò anche che l’approccio usato fosse corretto. Potevano queste persone essere le stesse che soltanto pochi mesi prima erano interessate principalmente all’intellettualizzazione della bioenergetica, che avevano sempre dimostrato nella classe, in quel periodo, una resistenza abbastanza forte a fare gli esercizi?
Il livello di concentrazione individuale dei membri, così come quello della classe come un tutto, aveva raggiunto proporzioni sorprendenti in un tempo molto breve. Si manifestava in un profondo rispetto per i processi autonomi del corpo e in una crescente capacità di arrendersi anche a livello dell’Io a questi processi, perfino da parte dei partecipanti più “intellettuali”. I commenti scherzosi, le canzonature e le molestie verso gli altri, che avevano prevalso all’inizio, cessarono completamente. Erano state sintomatiche della combinazione di una resistenza intellettuale rispetto del corpo e di una dissimulazione delle disagevoli sensazioni di autoconsapevolezza che erano emerse quando l’intelletto aveva iniziato a cedere il suo controllo. Dopo di ciò fu difficile qualsiasi ciancia durante la classe e, con l’eccezione dei periodi dedicati agli esercizi fragorosi, prevalse un silenzio completo, rotto soltanto dal suono del respiro.
Non ho fatto questo resoconto per dimostrare che non c’è tempo e spazio per le discussioni intellettuali e le teorizzazioni. Semplicemente, per confermare che il momento e il luogo appropriato non è nel mezzo di una classe EB. Né è all’inizio. L’arte dell’insegnamento qui consiste nel comunicare il campo delle attività che vengono intraprese in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi in direzione del corpo fin dal principio.
Abitualmente “in modo tale” significa: una frase alla volta e in momenti scelti. Anche il tono di voce con cui vengono date le istruzioni è di importanza primaria: non è finalizzato a pilotare l’attenzione verso il conduttore e interrompere un inizio di concentrazione, ma a comunicare con le persone che stanno cominciando a essere coinvolte nel lavoro corporeo e ad aiutarle a un livello pratico in ciò che stanno facendo in quel momento. Non è il tono di voce con cui si tiene una conferenza di tipo logico indirizzata all’intelletto, né si tratta di istruzioni e/o di spiegazioni fatte come digressioni didattiche. In breve, la voce è non intrusiva, ma in armonia con ciò che sta accadendo o che viene fatto in un dato momento.
Certo, una o due frasi possono essere pronunziate giusto all’inizio della classe, prima che il lavoro cominci, sebbene io preferisca avere le persone in piedi con le ginocchia piegate che lasciano cadere giù il peso (eccetera!) fin dall’inizio, incluso il momento in cui vengono fatti i commenti introduttivi. Ciò significa stabilire immediatamente le giuste priorità, sia per il conduttore che per i partecipanti.
Altre opportunità per le discussioni intellettuali venivano trovate al di fuori delle classi. In questo modo veniva stabilito chiaramente un importante principio, che fu mantenuto per il resto del tempo che condussi classi a Roma: all’interno della classe stessa in primo luogo occorre aiutare i partecipanti a sperimentare gli esercizi su se stessi e in seguito, lentamente, all’interno del processo del lavoro corporeo, e non a sue spese, imparare le teorie sottostanti nei loro aspetti profondi e sottili. Ripeto che, ovviamente, un certo ammontare di teoria viene sempre dato con le istruzioni su come fare gli esercizi, ma il dosaggio è molto importante. Viene fornita abbastanza teoria per il fare nel momento, ma non tanta da dirigere l’attenzione dei partecipanti lontano dal proprio corpo e verso le elucubrazioni intellettuali.
Azioni a volte un po’ speciali
È importante sottolineare che l’uso del verbo “fare” qui non è correlato all’attività meccanica: qualsiasi “fare” nelle classi è in relazione alle sensazioni e ai vissuti corporei (“Il fare che conduce all’essere”). Così il “fare” qualche volta può sembrare quasi inattivo, come nell’esempio dato sopra circa lo stare semplicemente in piedi e lasciar cadere il peso. Si tratta di un approccio biologico ed energetico (donde bioenergetico) a un processo naturale di approfondimento del respiro e di liberazione delle energie bloccate nei muscoli tesi. Qualche volta i movimenti che ne risultano sono ampi e attivi, ma il proposito non è mai la perfezione meccanica dell’esecuzione.
Per il concetto di esercizi bioenergetici è fondamentale tenere conto del fatto che dove ci sono energia e sentimenti congelati seguirà grazia in movimento. Fondamentale per questa grazia è il lavoro sul radicamento.
Il conduttore può, anzi dovrebbe, rispettare il desiderio dei partecipanti di imparare gli esercizi a un livello intellettuale, ma mai a spese della loro vera natura e funzione, che deve essere percepita su un piano fisico. Una pura e semplice conferenza tenuta alle persone interessate a intraprendere gli esercizi può essere di aiuto. Ma dovrebbe essere tenuta in una sala da conferenze a un uditorio completamente vestito, non a una classe di partecipanti pronti e desiderosi di iniziare.
Mentre la prima classe a Roma era composta sia da persone che erano in terapia che da persone che non lo erano, più tardi, quando le classi crebbero di numero, la maggior parte erano costituite esclusivamente da persone non in terapia. In entrambi i casi, all’inizio spiegavo molto chiaramente lo scopo degli esercizi di bioenergetica: aiutare ciascun partecipante a entrare in un contatto più profondo con il proprio corpo, ad accrescere le sensazioni nel corpo, divenire consapevole delle tensioni muscolari e dei blocchi e, lavorando con il movimento e la respirazione, attraverso un processo molto graduale, tentare di rilasciarli. Il risultato a cui speravamo di arrivare con questo processo era un fluire più libero dell’energia nel corpo, che avrebbe portato a un maggior sentimento di vitalità, che a sua volta avrebbe accresciuto la capacità dei partecipanti di provare piacere.
Tutto ciò è stato detto molte volte e molto meglio nei libri del dottor Lowen. Ma queste semplici verità circa il lavoro in bioenergetica devono essere trasmesse nelle classi EB al fine di comunicare il campo delle attività intraprese, in modo tale da aiutare i partecipanti a muoversi verso un orientamento corporeo fin dall’esordio.
Il resoconto sulle prime classi a Roma illustra un altro fattore importante. Quando le persone sono state dominate da propri processi mentali per quasi tutta la vita, questi esercizi le metteranno molto presto in contatto con le loro sensazioni e sentimenti, cioè con i loro processi corporei. Tra gli uomini e le donne che sopravvivono sotto la pressione della vita di città della nostra epoca, i mezzi che forniscono un aiuto in direzione del sentimento, di una maggiore vitalità fisica, rappresentano un bisogno urgente. Ciò era dimostrato inoltre dalla velocità con cui cresceva il numero delle classi a Roma, simultaneamente all’allungarsi della lista di attesa. Non c’erano annunci pubblicitari e il numero delle classi aumentava in modo costante, mentre le raccomandazioni verbali passate da persona a persona ne generavano la richiesta. I partecipanti comprendevano studenti universitari, insegnanti scolastici, impiegati di banca, casalinghe, medici, psicologi, psicoterapeuti e altri professionisti. Perfino un ufficiale dell’esercito.
Esperienza e formazione
Il fatto che nelle prime classi sopra descritte parecchia gente fosse in terapia reichiana costituì per me una sfida utile e precoce per mantenere la differenza tra classi EB e terapia di gruppo AB. Ora, guardando retrospettivamente, dopo aver completato la formazione e la pratica come analista bioenergetica durata diversi anni, sono convinta che l’approccio usato fosse intrinsecamente corretto. Dando una valutazione del mio lavoro non dico che fossi dotata di modestia professionale perché non arrivavo a considerarmi una professionista nel campo della bioenergetica. Dovrei dire piuttosto che ero preoccupata circa la potenza sia psicologica che fisica degli esercizi nelle mani di una non-professionista (me stessa) che istruiva altri esseri umani nel loro uso.
Aggiungerò: fu un timore salutare. Mi consentì di impostare i limiti in modo intuitivo. Oggi non dovrei avere la stessa paura e perciò sarebbe necessario un più cosciente sforzo etico da parte mia per impostare limiti corretti per il benessere dei partecipanti così come per l’adempimento della mia parte del contratto stipulato con loro. Mentre non ero un’analista bioenergetica qualificata avevo una specifica esperienza di lavoro e di vita e una formazione che mi abilitò (è mia opinione) a condurre le classi in modo adeguato e senza distorsione del loro campo e delle loro funzioni basilari. Certo, anche allora pensavo che sarebbe stato meglio essere un’analista bioenergetica qualificata. Nondimeno, l’esperienza ha mostrato che il fatto che a condurre una classe EB sia un analista bioenergetico qualificato non è di per sé una garanzia che la classe non sarà distorta in ciò che una classe EB non è (un triplo negativo non fa un positivo!).
Il modo di lavorare descritto era anche un’espressione del mio stile personale. Gli stili personali sono sempre diversi e possono estendersi su una gamma ampia quanto tutti i colori dell’arcobaleno, se sono basati su concetti chiari e su validi principi fondamentali.
In questa prima esperienza (o esperienza di sfondo) nella conduzione di classi EB, un certo numero di principi fondamentali erano già emersi. Questi concernevano: la priorità dell’approccio fisico che include il grounding, l’importanza di stabilire questa priorità fin dall’inizio, la misura dei commenti introduttivi per una classe nuova, la quantità e il contenuto delle spiegazioni verbali e delle istruzioni date durante la classe, il mettere in rapporto con il lavoro fisico che si sta facendo tutti i commenti e le spiegazioni e le indicazioni, l’uso della comunicazione uno a uno
nel percorso della classe, la voce del conduttore, l’importanza di non essere intrusivi e di rispettare la classe e/o la concentrazione individuale, l’uso del contatto fisico da parte del conduttore, alcuni esempi di esplosioni emotive o di reazioni emozionali e come trattarli nelle classi, il non trasformare la classe EB in un gruppo di terapia AB, che potrebbe essere incluso nel principio che riguarda il mantenere il lavoro all’interno dei propri giusti limiti.
Come le richieste di classi aumentavano, così il bisogno di conduttori di classi divenne più pressante. È qui che iniziò il mio maggiore interesse verso queste classi come mezzo di aiuto per “ogni essere umano”, il migliore per quelle persone che non desiderano entrare in psicoterapia. Questo interesse non nega l’utilità delle classi per quelli che già sono in terapia, o anche come un’esperienza che per qualcuno può eventualmente portare al desiderio di entrare in terapia. Tuttavia, quando parlo di classi EB per l’ “uomo della strada”, sto immaginandole su una larga scala sociale, cioè su una scala non adeguata a qualsiasi approccio o metodo che si indirizza soltanto verso gli individui. Credo che le classi EB potrebbero essere date a diversi strati sociali e a differenti classi di età, dagli scolari agli anziani. Per questo è necessario prevedere un numero sufficiente di persone qualificate che debbono essere non soltanto adeguatamente ma anche accuratamente preparate come conduttori di classi EB.
Tratto da International Journal of Bioenergetic Analysis.
Traduzione di Piero Rolando, a cura di Luciano Marchino