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Autore: Hiram

Intervista ad Alexander Lowen

Il punto di vista di un saggio ultranovantenne di A. Callegari

Alexander Lowen: il ‘padre’ della bioenergetica parla dell’America, del terrorismo, dell’Occidente e di cosa bisogna fare per ‘cambiare’ davvero.
Alexander Lowen, luglio 2002

Ha 92 anni – li compirà il prossimo 23 dicembre – ma ne dimostra tranquillamente una ventina di meno Alexander Lowen, padre dell’analisi bioenergetica, uno dei più grandi psicoterapeuti viventi, allievo di quel Wilhelm Reich che fin dagli anni Trenta ha rivoluzionato la psicanalisi e per primo ha dato importanza al linguaggio del corpo oltre a quello verbale. Lowen mi riceve in modo molto informale, accogliendomi in bermuda, camicia a maniche corte e sandaletti nel giardino della sua villa a New Canaan, Connecticut, dove circolano gatti, anatre e qualche gallina. Occhi blu come il cielo e straordinariamente penetranti, il fisico asciutto e scattante di chi ha messo sempre in pratica le proprie teorie sul rapporto tra psiche e corpo, sorriso di chi sa – e non lo ha soltanto scritto – cos’è la vera gioia. In casa, biblioteche a perdita d’occhio.Ci accomodiamo nel suo studio, dove riceve i pazienti (ne ha ancora): c’è un divano letto, oltre a un paio di poltroncine, un cavalletto bioenergetico, uno specchio.

Dottor Lowen, sono passati 44 anni dalla pubblicazione del suo primo libro, Il linguaggio del corpo. Che cosa è cambiato, da allora? A cosa serve oggi la bioenergetica? O meglio, qual è il maggior problema con cui si trova a dover fare i conti la gente oggi e per il quale può essere utile ricorrere alla bioenergetica?

La bioenergetica serve oggi quanto allora. Quello che posso dire è che la gente, in America e non solo, oggi – forse ancora più di prima – non è in contatto con se stessa nel profondo, e quindi non è in grado di vedere davvero quello che le succede intorno, nel proprio paese, negli altri, nell’universo. Una cosa simile la si coglie per esempio per quanto concerne il problema dell’aids: la gente non si prende cura di sé a livello dei propri comportamenti sessuali, e tanto meno degli altri. E non si cura nemmeno delle possibili conseguenze distruttive. Per questo penso che le cose andranno sempre peggio, soprattutto in certe parti del mondo. Finché la gente non diventa più consapevole (nel caso dell’aids, per esempio, finché non si assume la responsabilità di sapere dov’è, come sta, anche sottoponendosi al test hiv), non c’è modo di cambiare davvero le cose. Del resto, il vero problema è appunto che la gente non vuole ‘sapere’. Non se ne cura.

Vien da chiedersi perché la gente è così autodistruttiva…

È perché la sua vita è vuota. Non c’è gioia in essa. Il problema sta in una sessualità che è troppo ‘fare’ e troppo poco ‘sentire’. Proprio quello della sessualità è uno dei campi in cui si esprime oggi maggiormente la differenza di mentalità tra le varie culture e visioni del mondo, Per l’islam è un abominio l’immoralità dimostrata dall’occidente (e gli americani ne sono l’esempio principe) nei loro costumi. È una violazione non solo del Corano, ma della stessa Bibbia. Basti pensare ai comandamenti, al “non desiderare la donna d’altri”. Quando gli islamici vedono le donne occidentali vestite in un certo modo, è normale che lo trovino immorale. Di fatto, manca negli uomini un vero senso morale; non c’è né in sé, né verso gli altri. Per questo, penso che una vera trasformazione è difficile, perché manca il senso della dignità, della moralità, del rispetto. Quello che conta, è solo fare denaro. E questo vale per tutto l’occidente. Lo si vede anche nei rapporti con l’ambiente. L’uomo sta distruggendo il proprio habitat senza possibilità di ritorno: oceani, aria, terra. Lo distrugge pezzo per pezzo, e non è una questione che si possa risolvere con movimenti o associazioni, perché è qualcosa di molto più profondo, ha a che fare con qualcosa di sbagliato negli uomini .

Che cosa?

È sbagliato il fatto che la mente controlli tutto, anche i sentimenti e le emozioni. Con la mente, gli uomini pensano: “posso fare questo e quello”, ma non ne hanno un vero feeling, non lo sentono. La gente non è sana. E anche quando fa qualcosa per sé, per esempio attività fisica, ginnastica in palestra, sport ecc., non lo fa per stare bene, ma solo o prevalentemente per essere più forte, più bella. Per l’immagine. Insomma, non sente. Il sentire non ha a che fare con l’intelligenza, né con la forza. Ecco perché la bioenergetica può insegnare a diventare più vivi, più vitali E a sentirlo.

Il problema, dunque, si pone soprattutto in Occidente, e qualcuno comincia a capirlo. La new age è una sorta di risposta a questo bisogno di cambiare?

Dobbiamo stare attenti con la new age, perché comprende anche cose pericolose. Come il lasciarsi andare all’uso di droghe, ecc.. Quanto ai movimenti di carattere più spirituale, e che hanno a che fare con la meditazione, non credo siano davvero efficaci se non vanno al cuore del problema, che è quello di lavorare sul corpo. Altrimenti è solo una questione di testa, di mente. Continuano a masturbarsi il cervello, per così dire, sia pure in forme diverse. In realtà, viviamo in una società dove tutto è troppo. C’è troppo rumore, troppo movimento, troppo stimolo. La gente impazzisce per questo, non la ha possibilità di fermarsi a sentire, e crede che la vita sia così, che non ci sia rimedio. New York è un po’ il simbolo di tutto questo… per questo sono venuto via, qui nel Connecticut.

A proposito di New York, è passato un anno dall’11 settembre. Cos’è cambiato negli americani?

Bisogna intendersi sulla parola ‘cambiare’: se ci riferiamo a una vera trasformazione, che coinvolge tutto l’essere umano, mente e corpo, direi che non è cambiato granché.

Eppure è stato uno choc, un vero trauma…

Come avrebbero dovuto cambiare? Diventare più consapevoli? Prendersi davvero cura di sé, o degli altri, o del mondo? Direi proprio di no. Per quanto traumatico sia stato quell’evento – un’esperienza di orrore e terrore -, il vero cambiamento richiede ben altro, un lavoro lungo, non una singola esperienza. Certo, molti hanno perso persone care, la casa, il denaro. Si può dire che alcuni hanno emozioni diverse, qualcuno è pieno di paura, o di rabbia, qualcuno è depresso. Ma non si tratta di una profonda trasformazione psichica che induca a nuovi comportamenti o stili di vita. Per cambiare davvero la gente deve avere una profonda comprensione della propria vita – rendendosi conto che non è piena né felice, che non sta bene – e deve lavorare su di sé, mettersi in gioco veramente.

Che differenza c’è tra orrore e terrore?

Ne ho scritto molto tempo fa, fin dagli anni Settanta. Nonostante siano usati come sinonimi, i due termini si riferiscono a esperienze diverse. Terrore implica un’intensa paura, che può riferirsi anche a pericoli immaginari e futuri. L’orrore implica un senso di choc di fronte a un evento raccapricciante. Ma mentre il terrore è legato alla reazione emotiva della paura per un pericolo diretto verso se stessi, nell’orrore tale pericolo è diretto verso altri. Nel caso dell’11 settembre, c’è chi ha provato l’uno e chi l’altro, ma soprattutto l’orrore. E l’orrore stordisce la mente: non è in grado di capire la logica o il significato dell’evento, non trova un senso, è incredibile, non è possibile che accada. All’epoca, trent’anni fa, sottolineavo come l’esperienza di orrore vissuta da un bambino piccolo, una sorta di incubo, possa determinare una scissione nella personalità e indurvi una qualità irreale, tipica del carattere schizoide. E sottolineavo come questo tipo di esperienza sia più diffuso di quanto non si pensi, tenuto conto che l’orrore, nell’infanzia, risiede già nell’assenza di contatto umano tra i membri della famiglia. Ma questo ci porterebbe lontano…

Torniamo a New York…

Sì. Vede, io sostengo che l’orrore – al di là di quell’evento tragico che è stato l’11 settembre – è molto più quotidiano. Ed è questo che la gente non capisce. L’orrore è direttamente proporzionale alla mancanza di sentimento umano nelle relazioni interpersonali, ed è un aspetto ben più importante della violenza dilagante cui in genere ci si riferisce. New York è emblematica. Io sono di New York, vi sono nato e cresciuto. Ma ai miei tempi la città non aveva il carattere impersonale che ha oggi. I grattacieli di cemento e di vetro possiedono una qualità irreale e il ritmo frenetico, l’attività incessante, i rumori, il traffico, la sporcizia sono un incubo, qualcosa da cui ci si dissocia per non vedere continuamente che è reale, perché è troppo. E tutto l’orrore che ci circonda entra nelle nostre case, con radio e tv, oggi anche internet. E non lo vediamo nemmeno più come tale, perché se lo vedessimo impazziremmo. E ancor più grave è la perdita di valori umani. Il valore che conta, a New York, è il denaro. Per questo è un simbolo.

E le Torri…

Erano il simbolo del simbolo. Ricorda un altro esempio di torre crollata? È nella Bibbia. Ed è incredibile quanto la gente non ci pensi. Perché Dio ha fatto crollare la torre di Babele punendo gli uomini? Per la loro presunzione, il loro orgoglio. Be’, gli uomini non sono cambiati. Vogliono essere come Dio. Ed ecco che le loro torri crollano, questa volta per mano dei terroristi.

I terroristi come Dio?

In un certo senso sì: ognuno ha il proprio orgoglio… Il punto è che c’è una fetta di mondo – per esempio, appunto, quello islamico – che pensa che gli americani sono interessati solo al denaro e al sesso. E li odiano per questo. E lo vogliono distruggere, nella misura in cui gli americani si ostinano a vendere questo loro modo di vita, a diffonderlo con ogni mezzo, a imporlo al mondo. Gli americani non lo capiscono. Non voglio dire ovviamente che questa sia una buona ragione per far crollare i nostri grattacieli, ma è pur vero che la gente non vuol vedere le cose sotto questo aspetto. E invece io ritengo che quello che è successo si ripeterà, in forme forse diverse, ma sempre tragiche.

Che cosa si può fare, dunque?

Certo non continuare a portare la guerra ovunque – né in Afghanistan né in Irak. Una politica militarista è destinata a condurre l’America verso altre ripercussioni, verso altro odio e altra violenza. Bush, subito dopo l’11 settembre, è stato visto come il ‘padre della patria’, ma se si ostinerà a voler fare il generale più che il presidente, non potrà che perdere consensi, a livello interno e internazionale. E l’America con lui, purtroppo.

Ma gli americani capiscono questo odio?

Sì e no. Hanno difficoltà a capire mentalità profondamente diverse dalle loro. E soprattutto, quello che manca è un profondo senso morale, verso di sé e verso gli altri. Che non c’entra con l’orgoglio ferito, o con il nazionalismo. Intendo il senso della dignità, del rispetto di sé e altrui. Il vero problema dell’uomo è la sua tendenza all’autodistruzione, sia a livello personale sia a livello planetario. E questo vale non solo per l’America, ovviamente, ma per tutto l’Occidente.

Cosa pensa dei no global?

La questione morale non si risolve con i movimenti o le associazioni. Si tratta di qualcosa che non va dentro di noi. Gli uomini pensano di risolvere tutto con la mente invece di ‘sentire’. Ma il sentire non ha a che fare con l’intelligenza o con la forza. Chi non è più in grado di sentire è malato. Solo lavorando su di sé, sul proprio corpo – grazie al quale l’uomo ‘sente’ – può curarsi e aspirare, come è sacrosanto, a una vita sana, libera, felice. Ed essere in grado di amare veramente. Vede, con mia moglie, per esempio, ho vissuto felicemente per 60 anni. È morta da poco, ed è stata una compagna meravigliosa. Ma per amare bisogna essere consapevoli e responsabili di sé.

Lei prima parlava di New York. Ci è sempre vissuto?

Sono nato a New York nel 1910 e ci sono vissuto sempre, fino a quando nel ’47 sono andato in Svizzera per studiare medicina…

Perché proprio in Svizzera?

Da un lato, perché ero troppo vecchio, a 36 anni, per iscrivermi a medicina in America (allora la legge non lo consentiva). Poi anche perché, essendo un allievo di Reich, ero ritenuto ‘pericoloso’, come lui. Lui veniva visto come una specie di ‘diavolo’. Eppure basta leggere i suoi libri per rendersi conto che non lo era. Quanto a me, sono andato a Ginevra perché parlavo francese. E ho studiato medicina perché volevo capire di più cos’era la malattia.

Come ha incontrato Reich?

Nel 1940, a 30 anni, con alcuni amici ho fatto un lungo viaggio in giro per gli Usa: ricordo che in quel periodo sentivo che c’era qualcosa che non andava in me, ero depresso, sentivo un gran vuoto. Sapevo di avere dei problemi a livello sessuale. Quanto ai miei genitori, tra loro erano opposti: mia madre era un tipo molto poco sensuale, era austera, controllata, spesso arrabbiata. Si vergognava della propria sessualità. E io avevo preso dai lei. Mio padre era invece uno che amava la vita, molto sensuale. Insomma volevo andare a fondo del mio problema, e nel settembre del 1940, alla fine di quel viaggio estivo, mi capitò di leggere un programma di corsi della New School for Social Researches di NY. C’era un corso dal titolo “l’unità e l’antitesi tra corpo e mente”: lo teneva un certo professor Reich, che era appena arrivato negli Stati Uniti dall’Europa. Quando lo ascoltai parlare capii che sapeva di cosa stava parlando. E che andava a un livello più profondo di quanto avessi mai sentito. Mi apparve molto brillante, dotato di una capacità di comprensione rara. Così mi iscrissi al suo corso. All’inizio ero scettico, ma quando cominciai la mia terapia con lui la mia vita cominciò a cambiare. Per questo decisi di laurearmi in medicina e di lavorare come ‘doctor’, come terapeuta: non solo come psicologo, che lavora a livello di psiche, ma come uno che lavora sul corpo e sulla psiche.

E poi? Com’è finito il suo rapporto con lui?

Ho lavorato con Reich per 4-5 anni e il nostro è stato un rapporto vario. Alla fine della sua vita Reich ha avuto un sacco di problemi, e forse è andato un po’ fuori di testa. Aveva dei conflitti interiori di cui non era mai riuscito a venire a capo. Reich aveva, direi, un problema di tipo narcisistico, e non era riuscito a risolverlo, ma non glielo si poteva dire. Era un uomo molto brillante, indubbiamente, ma anche lui era troppo ‘nella testa’. Del resto, è una cosa che ci riguarda un po’ tutti, non essere connessi con la realtà, coi feeling. Reich era molto vulnerabile a causa del proprio background, dei propri problemi familiari. Tornato dalla Svizzera dopo la laurea sono andato a trovarlo a casa sua a Orgonon, a Rangeley nel Maine. Fu un incontro strano e l’ultima volta che lo vidi. Mia moglie era con me, ma lui mi chiese di non farla venire da lui. Lei era molto attraente, e lui preferì non incontrarla. Può sembrare strano, ma aveva problemi con le donne, era facilmente soggiogato dalla propria sensualità. E poi Reich aveva intorno a sé un sacco di gente, spesso ‘piccina’, che lo circondava per interesse, ma non era capace di stargli dietro. Uno si è persino suicidato. Molti ‘deboli’ erano attratti da lui, che era o appariva così forte, ma ne erano poi dipendenti. E lui non riusciva a vedere di sé che finiva col diventare una sorta di tiranno, per via del suo grande ego. Era in un certo senso prigioniero del proprio ego. Per questo me ne sono allontanato. Oltretutto, quando sono tornato dalla Svizzera e ho dovuto dare un esame per ottenere la licenza e poter praticare come medico ho avuto parecchi problemi. Essere legati a Reich era sempre un problema! Ma amo molto quello che ha fatto e teorizzato, è stato davvero un grande. Ricordo che mi disse: “Lowen, devi lavorare con l’energia della gente. I problemi sono sempre a livello energetico”. Penso di averlo fatto, e di essere andato oltre.

Chi sono oggi i veri discepoli di Reich in America?

Io! (ride) In realtà, c’è un College of Orgonomy. E fanno quello che chiamano ‘terapia orgonica’. Usano la macchina orgonica di Reich, però non si sa bene cosa facciano. Purtroppo, il movimento reichiano è finito. Il problema con i reichiani è che lavorano partendo da una grande, brillante idea, ma non sanno come portarla avanti.

In che senso?

I neoreichiani lavorano sul corpo, ma… O meglio, si ostinano a lavorare sul corpo partendo da categorie fisse, cominciano dagli occhi anziché dal grounding, hanno paura della realtà, della realtà del corpo, che ha feeling, mentre la mente non ha feeling. Quando il corpo sente, può anche essere molto doloroso, ma non per questo non deve sentire. In realtà il lavoro dei neoreichiani oggi non rappresenta il vero sviluppo delle teorie di Reich, mentre la bioenergetica lo è: non a caso, il termine è una combinazione di bio, vita, ed energia. Ha a che fare con l’energia vitale. Io lavoro con l’energia: se guardo un corpo, la vedo.

Si alza, mi mostra un poster alla parete che rappresenta un albero e un corpo umano a confronto.

Vedi? Ci sono tre aree differenti nel corpo, e se si fa un confronto con un albero, lo si vede bene: la testa, il corpo, le gambe, corrispondono a chioma, tronco, radici: il che conferma che la natura è sempre la stessa, anche se si manifesta in modo diversi.

In che cosa dunque la bioenergetica si differenzia da altri approcci?

Non si può cambiare con la mente, si cambia con il corpo. Va cambiata l’energia del corpo. Da dove il corpo ricava energia? Dal respiro e dal cibo. Ecco l’importanza di respirare correttamente e nutrirsi correttamente. Senza respiro non c’è energia, senza energia il corpo si contrae, non è pienamente vivo, ed ecco perché poi si ha bisogno di compensare con diversi meccanismi, o si cerca di essere più forti, più veloci, più belli… Ma l’unico modo in cui gli uomini possono imparare è attraverso il sentire, attraverso l’esperienza personale, fisica, concreta. Leggere un libro non basta, non serve a cambiare. Persino la bioenergetica, che pure ho coltivato per tanti anni: da sola non basta, se non si va a fondo, se non si va con l’energia nei propri piedi, e nel cuore. Guarda, ti faccio vedere come si fa a mandare energia nei propri piedi.

Lowen si alza, si mette in piedi davanti a me, in posizione bioenergetica di base, con le ginocchia flesse, e guardandomi bene negli occhi carica il peso con forza nelle gambe, fino ai piedi, ma sempre mantenendo una posizione rilassata e tranquilla.

Vedi i miei occhi? Sono più vivi, più brillanti. Faccio esercizi tutti i giorni, soprattutto di grounding. E lavoro molto con i piedi. Sono fondamentali. Fare grounding senza i piedi non basta. Bisogna premere così, non basta respirare andando su e giù con le ginocchia. Bisogna lavorare sui piedi, sentire il contatto con la terra. Spingere forte e respirare, ed emettere un suono, un ‘aaaaaaah’ prolungato. Se non si va con l’energia nei piedi, si va ‘fuori’ con la testa. Bastano 15 minuti ogni mattina. E’ incredibile come gli occidentali non stiano nei loro piedi: stanno ‘in’ piedi, ma non ‘nei’ piedi. Per muoversi usano le gambe, ma non i piedi. Mi ci è voluta una vita per capire questo: ho cominciato a studiare il grounding 50 anni fa, e oggi ho una nuova comprensione di tutto questo.

E con i pazienti come lavora?

Quando un paziente viene da me, gli parlo delle sue emozioni. Del fatto che respira male, che non dà energia al proprio corpo, che non ha grounding. E cominciamo a lavorare su questo. Anche il pianto è importante. Se si va a fondo con questo lavoro, si possono verificare dei cambiamenti. Ma non si può lavorare sul corpo partendo dalla testa, non funziona.

Ci vuole molto tempo?

Sì, è chiaro. Naturalmente poi dipende da persona a persona. Di certo, un’esperienza non basta, ma la gente a volte si spaventa. Non tutti sono disposti ad andare avanti. Bisogna andare per gradi, e cominciare dalla base, dai piedi, dalle fondamenta, come quando si costruisce un edificio. Non dagli occhi, come fanno i neoreichiani.

È importante lavorare tenendo conto dei diversi caratteri?

No, non importa poi tanto. Ho cominciato a lavorare con i caratteri, 50 anni fa, e ne ho scritto molto. Ma il rischio è di fossilizzarsi sui caratteri anziché considerare la persona, il singolo individuo per quello che è. Del resto, nessuno è un carattere puro. E nella mia esperienza, mi sono reso conto che c’è il rischio di schematizzare troppo. E poi ogni persona cambia, via via che l’energia cambia.

Ma il carattere si può usare come cornice…

No, non serve. Quando hai davanti una persona, c’è già quella, non c’è bisogno di darle una ‘cornice’. Se guardo te, ti vedo, e posso dirti come sei.

Sentiamo…

Bene, allora ti dico. Innanzitutto, sei una bella persona, hai una buona energia. Hai degli occhi espressivi. Ma hai problemi con il corpo. Spogliati, se vuoi, così posso vedere bene. È così che lavoro.

Mi spoglio e rimango in mutande davanti a Lowen.

Di base, la tua energia è buona, ma incasinata. La parte inferiore del corpo non è abbastanza caricata. Devi dare più energia al tuo corpo. E poi c’è paura nei tuoi occhi. Ma il problema più grosso è qui, nel sedere. Troppo teso, vedi quanta tensione c’è qui. L’unico modo per far qualcosa è lavorare sui piedi, soprattutto sui piedi e sul respiro. Ti faccio vedere al cavalletto

Mi mette sul cavalletto: braccia indietro, aperte; gambe con le ginocchia flesse.

Vedi, il petto è troppo gonfio, quando respiri l’energia non va fino al bacino e alla pelvi. E quando respiri prova a emettere un suono, aaaaah. Bisogna respirare molto, tre quattro volte, e poi fare un suono così, un aaaaaah prolungato, a bocca aperta, a gola aperta, e alla fine il suono dovrebbe trasformarsi in un colpo di tosse, che diventa addirittura un singhiozzo, e il pianto arriva. E va sempre bene. Senti le vibrazioni? Stai con queste vibrazioni. Vedi? Più che cercare di capire con la testa, è meglio sentire con il corpo.

Faccio come dice: il suono cresce, arriva anche la tosse, sempre più forte, e la voce diventa singhiozzo, e il corpo si scuote sempre più forte.

Le vibrazioni sono un processo terapeutico, di guarigione. Quando il corpo vibra, è presente. Bene, bene. Il corpo è molto più caldo adesso. Questo esercizio si può fare sempre, tutti i giorni, a casa propria, e se si abita in un appartamento, si può mettere la radio al alto volume… È stupefacente quanto velocemente funzioni, e si può farlo tutti i giorni.

Mi rimetto a sedere, sentendo molto caldo, vibrazioni in tutto il corpo e un senso benefico di energia e vitalità. Mi sento molto bene, dico.

Si vede. Fallo sempre, ricordati, a casa tua. È importante. E capirai da te quello che succede. Vedi, il tuo corpo appare strano perché la tua personalità è divisa fra una bambina piccola e una donna molto smart. La bambina è soft, è molto sensibile, ma anche molto impaurita. Ma il corpo è tuo amico, può essere spaventato ma è tuo amico. Devi avere sui 45 anni, più o meno, vero?

Ne ho 48, ma di solito nessuno lo capisce, pensano tutti che io sia molto più giovane…

Vedi, sono bravo a leggere i corpi (ride di nuovo). E comunque è vero, sei molto più giovane, è quella parte giovane di te, quella bambina che è in te.

Tornando al carattere, che ne pensa del carattere simbiotico di cui parla Steven Johnson?

Mah, come dicevo prima, io credo che lavorare solo sui caratteri oggi non abbia senso, è troppo intellettualistico. Oggi ci sono troppi che teorizzano un sacco, e poi non sono capaci di cambiare se stessi. Per quanto mi riguarda, se vedo un cambiamento nel loro corpo, allora mi fido di loro. Altrimenti no.

Ha discepoli, allievi? C’è gente che continua e approfondisce l’approccio con la bioenergetica?

Penso di sì. Ma non ne conosco molti, e in genere, ripeto, non mi fido di chi non lavora innanzitutto su di sé. Devi vedere il cambiamento prima di tutto in loro, nei terapeuti, altrimenti non vale. Ti stupirò con quello che sto per dirti: secondo me c’è un solo tipo di lavoro analitico corretto. E non è quello di dire che carattere uno è, ma di guardare attentamente il corpo e gli occhi della persona che si ha di fronte, e capire che persona è. Come quando ti dico che sei una persona che ha paura…

Lo so…

Bene, e devi riuscire a vederlo, perché se non lo vedi, non puoi fare terapia, non serve. Anche se è duro accettare la propria paura. Ma senza questa consapevolezza non si può cambiare o stare meglio. E se un terapista non vede subito come sei, non capisce i tuoi occhi, non vede cosa succede… Insomma, bisogna insegnare alla gente a guardare negli occhi ed essere in grado di vedere la paura, la tristezza, la rabbia. A guardare il corpo, e imparare da esso.

Ma la paura è qualcosa che non va mai via?

No, tutto può cambiare, tutto è in processo, è in trasformazione. Nulla è per sempre. Il problema è che quello che sperimentiamo da bambini è più difficile da cambiare, perché si struttura nel corpo. Ecco perché la cosa più importante da fare è lavorare sul corpo, per dargli più energia. Gli esercizi servono a questo. Così si può capire davvero: in inglese, non a caso, il termine under-stand, capire, comprendere, si riferisce allo ‘stare in piedi’. Non è significativo?

Come ha sviluppato i suoi esercizi?

Prima di lavorare con Reich, ero allenatore atletico e usavo fare esercizi ogni mattina. In un certo senso ero abituato a lavorare sul corpo, anche se con finalità diverse. Poi, naturalmente, ho capito la valenza diversa e ben più profonda della bioenergetica rispetto alla mera preparazione atletica. Nel mio libro sugli esercizi lo dico chiaramente.

Ci sono esercizi che vanno meglio per certi caratteri?

In realtà non proprio. Nel senso che tutti hanno gli stessi problemi: tutti hanno dei tratti orali, o masochisti, chi più chi meno. Come dicevo, concentrarsi sul carattere non è il giusto approccio. Bisogna guardare il corpo, e vedere dove ci sono i blocchi energetici. Parlare sempre di carattere fa correre il rischio di perdersi nella mente.

Ma nei suoi libri ha parlato molto di carattere…

Sì, all’inizio! Ma anche quando ho fatto terapia con Reich, tra il 1940 e il ‘43-44, Reich ha lavorato con me sempre sul corpo, non abbiamo fatto ‘analisi’ in senso classico. Ed è stato ok. Non abbiamo lavorato sul mio carattere, che è narcisistico, né lui ha lavorato sul suo narcisismo! Se si lavora sul corpo, si hanno risultati migliori. Se dovessi scrivere un libro ora, non insisterei sul carattere, ma sulle dinamiche energetiche del corpo, sul respiro, sulla vibrazione, sul grounding. Questo non significa che non si debba dire ai propri pazienti quali problemi caratteriali hanno. Ma non saranno in grado di cambiarli per il solo fatto di sapere che li hanno. Chi vuole teorizzare troppo, lo fa perché ha paura di stare nel corpo e preferisce stare nella testa. Visto invece che ci sono buone tecniche corporee, come quella che ti ho mostrato prima, meglio non parlare troppo…

La Psicoterapia Organismica

Il modello teorico-clinico della Psicoterapia Organismica è stato formulato dallo psicologo americano Malcolm Brown (PhD), direttore, con la moglie Katherine Ennis, dell’Organismic Psychotherapy Training Institute di Atlanta (USA), nel corso della sua attività professionale e di ricerca. I presupposti epistemologici di questo modello sono ravvisabili nel pensiero di varie correnti della psicologia umanistica ed olistica, un movimento sviluppatesi nella prima metà del nostro secolo in contrapposizione alle concezioni meccanicistiche ed associazionistiche.

La Psicoterapia Organismica si colloca nel filone delle terapie a mediazione corporea (cfr. Pasini, 1980; Boadella e Liss, 1986; Rispoli e Andriello, 1988; Rispoli, 1993; Kepner, 1993), assumendo come principale paradigma riferimento la teoria di Goldstein 1936, 1940, 1954a/b, 1970), da cui ha tratto la definizione.

La mancata traduzione italiana dell’opera principale di Goldstein “The Organism. A Holistic Approach to Biology Derived from Pathological Data” (1936) (dal 1995 è disponibile una nuova edizione con la prefazione di Oliver Sachs) e la scarsa diffusione delle sue concezioni in Europa, fatta eccezione per gli studi neuropsicologici sul pensiero concreto ed astratto nei pazienti cerebrolesi, costituivano un limite per la adozione della teoria organismica come modello di riferimento per le osservazioni cliniche ed hanno inizialmente reso difficoltoso il confronto con le altre scuole psicoterapiche, compreso quelle ad orientamento corporeo ispirate all’opera di Fritz Perls, per molti aspetti vicino alle concezioni di Goldstein, e di Reich.

Brown ha assunto una posizione critica nei confronti degli indirizzi neoreichiani, evidenziando i limiti di una metodologia, a suo avviso, eccessivamente direttiva, costruita su tipologie caratteriali che rischiavano di perdere di vista l’unicità e la soggettività del paziente sostenuta dallo stesso Reich. Inoltre, le tecniche corporee standardizzate della vegetoterapia carattero-analitica e dell’Analisi Bioenergetiica di Lowen finivano per sottovalutare l’importanza della dimensione psichica, commettendo l’errore inverso della psicoanalisi che aveva trascurato il vissuto corporeo.

La Psicoterapia Organismica si definisce come psicoterapia-corporea umanistica (Brown, 1979; 1990; 2001a), in quanto intende riunire in un unico approccio teorico-metodologico i principali assunti della “terza forza” della psicologia con le tecniche di lavoro corporeo ispirate alla tradizione reichiana. Il pensiero di Brown presenta, inoltre, significativi influssi della psicologia analitica junghiana e dell’opera del romanziere D.H. Lawrence (1921), noto al grande pubblico per “L’amante di Lady Chatterley” (1928).

Brown adotta una concezione multidimensionale del Sé, introducendo quattro polarità psicodinamiche strettamente legate al vissuto corporeo che definisce, con un lessico mutuato dalla psicologia esistenzialista europea e dagli scritti di Lawrence (1921), “centri ontologici dell’Essere”: Agape-Eros ed Hara, situati nella metà anteriore del corpo (rispettivamente, superiore ed inferiore), Logos e Spiritual Warrior, che hanno sede nella metà corporea posteriore (rispettivamente, superiore ed inferiore) (cfr. Corsi, 2001; Della Torre di Valsàssina, 2001). I quattro centri ontologici possiedono in uguale misura uno statuto metapsicologico, in quanto regolatori della dinamica energetica dell’organismo, e psicologico, quali attivatori di significati, immagini archetipiche e modelli di interazione (Helferich, 2001): essi esprimono il tentativo di ancorare nella dimensione “incarnata” della corporeità (cfr. Kepner, 1993) i fondamenti strutturali del Sé nucleare. L’attività psichica, se disconnessa dalla totalità organismica, assume, secondo Brown, i connotati di una “mente-cervello” compulsiva che richiama i concetti di psiche-intelletto di Winnicott (1958) e di Super io antilibidico di Fairbairn (1952). Definita anche con il termine “circuiti cortico-spinali chiusi” (Brown, 1990), la “mente-cervello” rappresenta un’attività psichica a carattere inibitorio, conseguente alla frammentazione organismica (Pribaz, 2001; Nathan, 2001), che impedisce il libero fluire dell’energia nel sistema e che, ostacolando la consapevolezza dei bisogni emotivi primari del Sé (di natura relazionale), da luogo alla formazione della “corazza carattero-muscolare”, termine con cui Reich (1933) descriveva una modalità difensiva costante dell’Io finalizzata a contenere l’angoscia, una sorta di schermo somato-psichico protettivo nei confronti degli stimoli esterni ed interni.

La terminologia organismica di Brown fa riferimento sia alla tradizione umanistica (Maslow, Rogers, May) ed esistenzialista (Binswanger, Boss) che alla scuola reichiana, impiegando costrutti di elevato livello di astrazione; per evitare il rischio di una loro reificazione, occorre sottolineare che le definizioni metapsicologiche adottate da Brown, in primo luogo i centri ontologici non rimandano a realtà anatomo-fisiologiche ma intendono definirsi come modello interpretativo dei fenomeni soggettivi legati al vissuto corporeo e alle sue trasformazioni nel corso della psicoterapia e nell’itinerario di crescita personale che conduce all’autoattualizzazione (Pini, 1995). Ed è proprio il caso di ricordare, a questo punto, che la connessione fra modello teorico ed esperienza clinica rappresenta uno dei problemi più controversi della psicologia dinamica, un “matrimonio difficile”, come puntualizza recentemente Bononcini (2001).

Che cos’è l’Analisi Bioenergetica di Alexander Lowen

Lo sviluppo della terapia reichiana

L’analisi bioenergetica rappresenta un’estensione ed una sistematizzazione dei concetti psicosomatici sviluppati da Wilhelm Rech. La tesi fondamentale su cui si basa la terapia rechiana è quella dell’identità funzionale tra corazza muscolare e corazza comportamentale ovvero tra l’atteggiamento fisico di una persona e la struttura del suo io.
Questo concetto di unità fisica e psicologica permette al terapeuta di diagnosticare i disturbi della personalità in base all’espressione e alla mobilità del corpo. Tale approccio alla personalità attraverso il corpo non è una novità. Ciascuno vede gli altri come corpo, cioè ha un’immagine dell’altro in cui la forma del corpo, il movimento e la gestualità veicolano informazioni significative sull’altro. Reich, comunque, fu il primo ad integrare tali informazioni in una procedura analitica.

Un secondo concetto base in Reich correla l’inibizione della reattività emozionale alla contrazione della respirazione. Fin dal 1955 Reich osservò che la resistenza al processo analitico si manifesta fisicamente sotto forma di un blocco inconscio della respirazione. Quando il paziente veniva incoraggiato a respirare profondamente, le sue resistenze si dissolvevano trasformandosi in flusso dei materiali repressi con la relativa sequela di effetti e sensazioni. Questa osservazione indusse Reich alla conclusione che la capacità di risposta emozionale dipende dalla funzione respiratoria. Limitando la propria assunzione di ossigeno una persona smorza i processi metabolici del suo corpo ed in pratica deprime il proprio livello energetico. Arginando la combustione metabolica raffredda le passioni del corpo. I bambini sembrano sapere che trattenere il respiro elimina le sensazioni dolorose e sopprime gli impulsi di paura.

A parte gli effetti sul metabolismo, limitare la respirazione riduce anche la naturale mobilità del corpo. Il movimento respiratorio fluttua come un’onda attraverso il corpo, muovendo verso l’alto con l’inspirazione e verso il basso con l’espirazione. Questi movimenti che costituiscono la matrice dell’espressione emozionale sono bloccati da tensioni muscolari croniche principalmente a livello di gola, torace, addome e diaframma. Le tensioni a livello della gola sono il risultato dell’inibizione dell’espressione vocale. Esse costituiscono un’inconscia repressione degli impulsi a piangere, urlare ed “alzare la voce”. Tensioni croniche della parete toracica sono strettamente associate a spasticità muscolare del cingolo scapolare (che trattiene la capacità di protendersi con le braccia) La rigidità toracica sopprime la sensazione dì un forte desiderio d’amore che potrebbe trovare espressione nel protendersi o nel pianto. Questi sentimenti sono soppressi perché ripetute delusioni durante la fanciullezza li hanno resi troppo dolorosi.

Tensioni muscolari o spasticità in qualsiasi parte del corpo influiscono sulla respirazione perché la respirazione è un’attività totale del corpo. Tanto una mascella rigida che una tensione a livello delle natiche riducono i movimenti correlati alla respirazione e limitano l’ampiezza dell’inspirazione.
In senso lato si può dire che, se tali tensioni sono predominanti nei muscoli superficiali del corpo, il risultato è una globale rigidità tanto a livello fisico che a livello psicologico. Quando le principali tensioni muscolari coinvolgono i muscoli piccoli e profondi che circondano le articolazioni, ne derivano flaccidità e frammentazione. Ciò produce una mancanza dì integrità sia a livello fisico che a livello psicologico. La terapia bioenergetica mira a sciogliere le tensioni muscolari croniche del corpo ed a ristabilire quindi la naturale mobilità ed espressività dell’organismo.
Il terzo dogma fondamentale della terapia reichiana ha a che fare col ruolo del soddisfacimento sessuale in relazione all’economia energetica del corpo.

Reich postulò che una completa gratificazione orgastica scarica ogni eccesso di energia nell’organismo e quindi non lascia alcuna energia di supporto per gli stili di comportamento nevrotico. Egli scoprì che tale scarica non si realizza quando l’energia è trattenuta nelle tensioni muscolari croniche, e che queste debbono essere eliminate se si vuole raggiungere un pieno orgasmo. Reich credeva che se una persona sviluppa la capacità di scaricare tutta la sua energia in eccesso attraverso l’orgasmo, se, cioè, diviene orgasticamente potente, sarebbe garantita la salute emozionale del soggetto, dato che non c’è energia disponibile per l’assetto nevrotico. Il raggiungimento della potenza orgastica divenne quindi il fine della terapia reichiana ed il criterio di valutazione del benessere emozionale.

Questi tre concetti costituiscono l’ossatura della vegetoterapia carattero-analitica di Reich e sono divenuti le fondamenta, con alcune significative modificazioni, dell’analisi bioenergetica.
Rich, peraltro, approfondì ulteriormente i propri studi riguardo ai processi energetici della vita. Egli sviluppò il concetto di una specifica energia vitale che chiamò energia orgonica. Sviluppò un lavoro di ricerca sul cancro, e a mio giudizio contribuì notevolmente al progredire della conoscenza in questo campo. Questi sviluppi lo indussero a cambiare il nome del proprio approccio terapeutico in quello di orgonoterapia. La bioenergetica si muove in una direzione diversa. Essa focalizza tutta la propria attenzione sulle funzioni corporee con il fine di integrare processi corporei e fenomeni psichici in un’ottica più pregnante rispetto a quanto fece Reich. I risultati sono rappresentati da una comprensione più profonda dei disturbi della personalità e dallo sviluppo di una tecnica più efficace per il trattamento di questi disturbi.

Un buon esempio dell’efficacia delle tecniche bioenergetiche è il trattamento della depressione.
Studi di cinematica hanno dimostrato che la motilità è significativamente ridotta nei soggetti depressi. Le nostre osservazioni hanno chiaramente indicato che la respirazione è a sua volta molto ridotta in tale disturbo. L’effetto di tale riduzione nei processi biologici fondamentali del corpo consiste in una diminuzione della reattività emozionale. Ignorando per un momento i fattori psicologici in gioco in queste condizioni, resta il fatto che qualsiasi procedura atta a stimolare la respirazione e ad aumentare la motilità del corpo può consentire al soggetto di superare la propria condizione depressiva. Usando le tecniche bioenergetiche opportune è spesso possibile produrre un miglioramento abbastanza rapido e duraturo di tali funzioni fondamentali. Il risultato è spesso sorprendente per il paziente, che ignora che ciò che egli considerava come un disturbo mentale era intimamente e direttamente connesso con le attività del corpo.
Questa immediata liberazione dalla depressione sarà solo temporanea sin quando i fattori dinamici che hanno creato una tendenza depressiva nel paziente rimarranno intatti. Si può quindi prevedere una ricaduta nella depressione; perciò avverto i pazienti della probabilità di ricadute. Ma, avendo sperimentato la liberazione, essi sanno anche che un continuo lavoro sul corpo, per migliorare la respirazione e la motilità, può portarli a superare la tendenza alla depressione.

In che cosa consiste tale tendenza? Forse vi sorprenderò dicendo che lo stato depressivo si presenta quando un’illusione corazzata dal paziente viene meno. Tali illusioni, che si collocano appena al disotto della superficie della coscienza, hanno la funzione di sostenere lo spirito di opposizione ad un sentimento di disperazione latente. La mente di un bambino non può accettare il rifiuto o la disapprovazione dei genitori. Ciò comporta l’illusione che l’amore che non viene dato spontaneamente possa essere guadagnato tramite le buone maniere, il successo, un gesto gradevole, l’intelligenza, l’ingegnosità, ecc. Il bambino rifiuta la sua stessa natura, le sue sensazioni ed il suo modo di essere per soddisfare un’immagine dell’io che è stata imposta dalle richieste dei genitori.
La tendenza alla depressione si fonda sul rifiuto e sulla disapprovazione di sé e sul tentativo di ottenere approvazione comportandosi come vuole qualcun altro. Non importa quanta approvazione il soggetto possa ottenere attraverso il successo personale o attraverso un gesto lodevole; non sarà in nessun caso un sostituto adeguato dell’amore. L’amore è accettazione generosa dell’altro, che non fa domande e non pone condizioni. L’illusione fondamentale è che si possa guadagnare questo tipo di amore. È un’illusione perché un amore che si debba guadagnare non è vero amore. L’illusione viene meno quando si scopre che il fine è irraggiungibile, privo di senso, e che la lotta è stata inutile. Pur senza comprendere pienamente cosa sta accadendo, la persona abbandona ogni sforzo e diviene depressa. Ogni depressione indica che la persona è giunta al punto di chiedersi “a che scopo”? Ciò significa un ritorno alla disperazione originaria, rinforzata ora dal fallimento di ogni sforzo consapevole.

La sequenza di disperazione, sforzo, fallimento e depressione può essere elaborata psicologicamente, in modo tale da consentire al paziente di raggiungere il livello di comprensione del circolo vizioso in cui è intrappolato. Io, però, ho scoperto che tale comprensione generalmente non è sufficiente perché il soggetto superi la tendenza depressiva, se non si realizza un ribaltamento dell’autorifiuto e autodisapprovazione che potenziano tale tendenza. Per ottenere tale ribalta, si deve rimuovere l’illusione, secondaria all’effetto, che le attitudini siano soggette al controllo dell’io. Un altro aspetto di tale illusione eguaglia il sé alla mente e all’immagine dell’io che ignora il corpo come fondamento del modo di essere nel mondo. Quando diventiamo vecchi ci accorgiamo che l’io non è il padrone del corpo. In gioventù l’io ha guidato inflessibilmente il nostro corpo verso il perseguimento dei propri fini ed infine il corpo ormai stanco, non ce la fa più. Siamo assediati dalle malattie ed abbiamo premonizioni di morte. Sentiamo, in qualche modo, di aver perso il treno. Il piacere e la gioia di vivere ci sono sfuggiti. Ci sentiamo senza aiuto ed ancora una sensazione di “a che scopo”? ci pervade. Diventiamo depressi.

La persona che vive in contatto con il proprio corpo non diventa depressa.
Sa che il piacere e la gioia dipendono da buone sensazioni fisiche ed è sufficientemente in contatto col proprio corpo perché gli sia possibile constatare la loro assenza e prendere misure adeguate a riconquistarle. E’ consapevole delle proprie tensioni corporee e sa che per tutto il tempo in cui persisteranno, esse condizioneranno e determineranno la risposta emozionale. Essere in contatto col proprio corpo significa essere in contatto con la realtà del proprio modo di esistere.
Una persona in contatto col proprio corpo non si fa illusioni su se stessa e sulla vita. Essa accetta le proprie sensazioni come espressione della propria personalità e non ha difficoltà ad esprimerle.
Quando una persona può tornare al proprio modo d’essere la tendenza depressiva è eliminata. Essa può essere contrariata e sentirsi triste per l’andamento della propria vita ma non crollerà in uno stato depressivo.

Essere in contatto col proprio corpo è un principio guida dell’analisi bioenergetica.
Più una persona è emozionalmente disturbata, più è lontana dal contatto con il proprio corpo. Il fine dell’analisi bioenergetica è quello di riportare il paziente in contatto con le relazioni fondamentali della propria esistenza: quella con l’ambiente in cui vive e quella col terreno su cui si regge. La qualità del contatto tra i piedi ed il terreno determina il buon “radicamento” individuale, cioè se i suoi piedi sono ben piantati o se “cammina tra le nuvole”, se si regge sulle proprie gambe o se è dipendente dal supporto degli altri. La maggior parte dei pazienti diventano consapevoli di non sentire un pieno contatto dei piedi col terreno. Alcuni dicono perfino di reggersi sulle proprie ginocchia. Non sapere come stiamo in piedi equivale a non sapere come ci gestiamo nella vita quotidiana. Lo scarso contatto con il suolo è determinato da tensioni muscolari croniche a livello di piedi, gambe, cintura pelvica e resto del corpo. Un piede piccolo e fortemente arcuato indica un rifiuto del contatto col suolo. Piedi piatti ed un arco collassato stanno ad indicare un’incapacità di muoversi sul terreno o via dal terreno. Oltre a queste aree di tensione si incontrano spesso tensioni croniche nei muscoli delle gambe, cosce, caviglie, muscoli adduttori…

Ciascuna di tali tensioni croniche riflette una limitazione del movimento e, per estensione, rappresenta una limitazione dell’espressione del sé. Ciascuno possiede una storia personale che deve essere portata alla luce a livello psicologico se si vuole liberare la tensione. Il terreno è sempre interpretato come il simbolo della madre. L’equivalenza tra la madre terra e la madre biologica è un concetto base dell’analisi bioenergetica. Il modo in cui una persona sta in piedi ci fornisce molte informazioni riguardo ai suoi rapporti con la madre.
L’insicurezza insita in tale rapporto si tramuta in insicurezza a reggersi sulle proprie gambe ed è l’insicurezza fondamentale riguardo al problema di affrontare la vita.
L’altro rapporto fondamentale è quello con l’aria, e la qualità di tale rapporto si evidenzia nella respirazione.

L’aria o la respirazione sono l’equivalente dello spirito, il pneuma delle antiche religioni, simbolo del potere divino che dimora in Dio (padre), la figura paterna.
La respirazione è un gesto aggressivo di cui l’inspirazione è la parte attiva. Il corpo risucchia l’aria. Il modo in cui respiriamo esprime le nostre sensazioni sul diritto di prendere ciò che ci serve nella vita. Respirando ci identifichiamo con il principio maschile, il principio attivo, o aggressivo della vita. Tale concetto dimostra l’ampia base su cui si fonda l’analisi bioenergetica. Su tale base è possibile in molti casi analizzare il rapporto di una persona col padre.

Vi sono molti tipi di disturbi respiratori correlati con la personalità. Due sono abbastanza importanti. Nel paziente schizoide e schizofrenico, per esempio, si scopre facilmente che il torace è depresso in posizione espiratoria. La respirazione è così ridotta che i muscoli del torace, il diaframma ed il torace sembrano parzialmente paralizzati. Infatti in tali pazienti si presenta una paralisi parziale di tutte le funzioni automatiche ed involontarie del corpo. Questa paralisi è correlata ad uno stato di terrore prevalentemente inconscio nel paziente schizoide, ma emergente nella sfera della consapevolezza nel soggetto schizofrenico. Ho descritto tali aspetti del funzionamento schizoide nel mio libro Il tradimento del corpo. Nel nevrotico, d’altra parte, si scopre che il torace è trattenuto in posizione inspiratoria. Assistiamo ad una sovrainspirazione, ed il paziente ha difficoltà ad espirare fino in fondo. Egli trattiene l’aria per misura di sicurezza. Egli ‘trattiene in sé’ laddove lo schizoide semplicemente blocca. In entrambi i casi lavorare con la respirazione conduce ben presto alla scoperta dell’ansietà profonda ed accelera l’elaborazione psicologica di tale ansietà.
Tale distinzione tra la respirazione nevrotica e quella schizoide non è assoluta, come non è assoluta la distinzione tra comportamento schizoide e comportamento nevrotico. Ciò che si può dire è che un’inspirazione limitata indica una tendenza schizoide nella personalità, mentre una ridotta espirazione indica una tendenza nevrotica. Questa distinzione è comunque meno importante del fatto che il paziente non respira pienamente e liberamente.

Va al di là degli scopi di questo saggio descrivere le tecniche bioenergetiche usate per liberare la funzione respiratoria usate per liberare tensioni muscolari croniche che la limitano. Una di tali tecniche, comunque, merita un cenno. Essa implica l’uso della voce.

L’ampiezza e la qualità della produzione di suono danno la misura della personalità. La parola personalità è derivata dall’espressione persona che significa “attraverso il suono”.
Attraverso il suo suono si può riconoscere una persona, ed attraverso i suoni che emette si può sapere cosa una persona sta provando (to feel). Persone inibite al pianto, all’urlo ed a parlare a voce alta sono limitate nella respirazione dalla tensione che blocca tali espressioni. Aiutare un paziente a piangere o ad urlare è uno dei modi più efficaci di liberare le emozioni bloccate, liberando la funzione respiratoria. L’urlo può spesso venire provocato tramite una pressione esercitata sui muscoli scaleni anteriori mentre il paziente sta emettendo un suono a voce alta. L’urlo involontario invia un flusso di sentimenti attraverso il corpo, dalla testa ai piedi, e produce una consapevolezza corporea totale ed unitaria. Qualsiasi sia il problema, esso si riflette in un disturbo del flusso delle sensazioni attraverso il corpo. Questo flusso di sensazioni è la base di tutta la risposta emozionale. Se è frammentario, le risposte emozionali saranno conflittuali ed ambivalenti. Se viene soppresso la risposta emozionale della persona si appiattisce. Solo nella persona emozionalmente sana il flusso è completo, libero e ritmico. Tale persona è capace di esprimere i propri sentimenti di amore, rabbia, paura e tristezza facilmente e con un completo controllo dell’io. Egli si possiede.

Quando il fluire dei sentimenti è bloccato da tensioni muscolari croniche, il possesso di sé è limitato. Diviene importante quindi rimuovere queste tensioni. Per fare ciò bisogna attraversare tre stadi.
In primo luogo il paziente deve divenire consapevole delle proprie tensioni, deve sentire la tensione e sensibilizzarsi all’impulso di cui sta bloccando l’espressione. Per esempio, deve sentire che la sua mascella serrata blocca l’impulso a mordere (essere mordace) o che le sue spalle tese bloccano l’impulso a colpire o a protendersi, e così via.

Ogni tensione muscolare cronica rappresenta una inibizione ed esprime determinati sentimenti. La tensione è la controparte fisica dell’inibizione psicologica.
Ma le tensioni non sono fenomeni isolati. Esse sono interrelate e nel loro insieme determinano l’atteggiamento caratteriale dell’individuo. Il paziente deve divenire consapevole di tale atteggiamento e comprendere il suo ruolo determinante nel comportamento. Ciò è quanto Reich chiamò analisi del carattere. In secondo luogo, il paziente deve scoprire le origini e chiarire il processo storico del costituirsi dell’inibizione o tensione. Questo è l’aspetto analitico della terapia bioenergetica. Se tale aspetto viene ignorato il paziente rimane tagliato fuori dal proprio passato, ed il conflitto inconscio che produsse la tensione non sarà mai risolto pienamente. Anche in tale fase il focus non è mai limitato alla singola tensione. Il “perché” di una particolare tensione si amplia ad includere il “perché” dell’intera struttura caratteriale. Il paziente deve vedere se stesso come prodotto di uno sviluppo storico peculiare. Quando egli mette a fuoco l’immagine completa, il puzzle della sua vita acquista un senso. Questi concetti sono sviluppati nel mio libro The Physical Dinamics of Character Structure.

In terzo luogo, gli impulsi bloccati devono liberarsi attraverso movimenti appropriati. Se ciò non avviene, l’analisi rimane sterile e non si verificano cambiamenti significativi nell’insieme della personalità. Il termine “movimenti appropriati” implica anche appropriate circostanze. Mettere in azione gli impulsi bloccati all’interno delle proprie relazioni sociali è una forma distruttiva di comportamento. Sia che una persona si senta o meno colpevole a proposito di un siffatto comportamento, esso rappresenta la negazione della dignità e dell’integrità di sé e dell’altro. La bioenergetica fornisce gli strumenti attraverso i quali tali impulsi possono essere espressi nell’ambito controllato della situazione terapeutica. La rabbia bloccata può essere liberata, per esempio, colpendo a pugni o a calci il lettino. Lungo tutti gli anni della mia attività non sono mai stato colpito da un paziente. L’intera gamma delle emozioni, dalla bramosia più profonda alla rabbia più violenta, può venir espresso in tal modo.

Uno dei vantaggi del lavoro con queste tecniche è che il paziente può fare molto per aiutare se stesso. Prendere contatto col proprio corpo non è un’attività che si esaurisce in un’ora o in una settimana. Ogni momento della giornata ed ogni movimento danno al paziente un’opportunità di aumentare la propria consapevolezza corporea. Il paziente sviluppa una sensazione di consapevolezza di se stesso al posto della consapevolezza intellettuale che deriva dall’analisi dei pensieri.

I miei pazienti fanno a casa propria molti esercizi terapeutici attraverso i quali portano avanti il miglioramento della propria salute fisica insieme col proprio benessere emozionale.
Tra le molte modificazioni che l’analisi bioenergetica ha prodotto nella terapia reichiana, ricordiamo lo slittamento del fine terapeutico dalla potenza orgastica al piacere.

Con il termine “piacere” non intendo una provvisoria auto-indulgenza, bensì la capacità di gioire della propria vita. Il fine della terapia è di aiutare il paziente a ritrovare la capacità di provare piacere e gioia. Questo è un fine più ampio di quello formulato da Reich ed al contempo include il piacere sessuale e la soddisfazione orgastica. Mentre l’analisi dei conflitti sessuali rappresenta tutt’ora un punto focale del lavoro terapeutico in analisi bioenergetica, questo approccio non è (altrettanto) incentrato in modo esclusivo sulla sessualità quanto lo era l’approccio reichiano.
All’inizio ho sottolineato il crescente interesse verso il corpo e l’esperienza immediata, che rappresentano i lineamenti principali del nuovo approccio terapeutico. Il senso di tale focalizzazione è illustrato nell’esposizione di una sessione terapeutica. La paziente, una giovane donna di venticinque anni, mi consultò per una profonda reazione depressiva che era culminata in un tentativo di suicidio. Le era stato consentito di uscire dall’ospedale per consultarmi. Dopo aver discusso la sua situazione le feci eseguire alcuni esercizi bioenergetici atti ad ampliare la sua respirazione e motilità ed a promuovere l’espressione dei sentimenti. Alla fine della seduta il suo colorito era migliore, i suoi occhi più vivi ed il suo corpo provava sensazioni più intense.
Andandosene mi disse:
“Dottor Lowen, sono venuta senza speranza, ma me ne vado con un senso dl fiducia”.
In bioenergetica l’approccio alla personalità attraverso il corpo fornisce anche una nuova opportunità per comprendere e produrre un miglioramento in relazione a quei problemi che le tecniche verbali lasciano intatti, quali i disordini della personalità schizoide, della personalità dipendente del soggetto orale, della personalità masochista e della personalità rigida compulsiva.
Le tecniche verbali sono relativamente inefficaci nel trattamento di questi problemi di personalità perché essi sono strutturati a livello corporeo.
La personalità schizoide, per esempio, è determinata da una dissociazione della consapevolezza del corpo e si basa su una riduzione della sensazione del corpo.
L’aumento delle sensazioni corporee e la mobilizzazione della consapevolezza corporea sono le procedure immediate che possono portare al di là della dissociazione mente-corpo.
La personalità orale dipendente è determinata da un senso di insicurezza controllato da un contatto inadeguato dei piedi col terreno.

Promuovere l’insorgenza di sensazioni nelle gambe e nei piedi conduce al superamento del senso di insicurezza e riduce il bisogno di dipendenza di questa personalità. La personalità masochista, in senso lato, è determinata da una tensione cronica che strozza il collo e la cintura pelvica. Il masochista può essere considerato un individuo imbottigliato ed una delle sue più ricorrenti lamentele è la paura di esplodere. Quando queste tensioni vengono liberate la tendenza masochista al piagnucolio, alla lamentela ed alla sofferenza diminuiscono.
I tipi di carattere compulsivo sono caratterizzati da corpi tesi e rigidi e la rigidità psicologica si ammorbidisce solo quando si rilassa la rigidità del corpo.
Rimando a Reich ed ai miei libri per una più completa analisi di queste strutture della personalità.

Essere in contatto col proprio corpo offre alla persona l’opportunità nuova di una vita ricca di senso in questi tempi confusi. Ogni valore può essere messo in discussione oggi fuorché uno: la salute del corpo.
La persona che è in contatto col proprio corpo è consapevole delle proprie tensioni.
Essa sente quanto la sua respirazione è disturbata e può fare quanto e necessario per riportare il proprio funzionamento corporeo ad una condizione normale.
Quindi si può assumere la responsabilità del proprio benessere fisico ed emozionale. La persona che non si trova in contatto con il proprio corpo proietta i propri problemi addosso agli altri o ne ricerca la soluzione in un cambiamento radicale della società.

L’illusione che la società possa cambiare senza un preventivo cambiamento della struttura caratteriale dei suoi membri è stata discussa da W. Reich in Psicologia di massa del fascismo.
L’inevitabile crollo di questa illusione, prima o poi, farà precipitare nella depressione gli assertori della necessità di un cambiamento radicale della società.

La peste emozionale di Wilhelm Reich

Il termine di “peste emozionale” non ha un significato diffamatorio. Non riguarda la malvagità conscia, la degenerazione morale o biologica, l’immoralità e così via. Un organismo a cui è stata tolta la possibilità sin dalla nascita della locomozione naturale, sviluppa forme artificiali di locomozione. Un simile organismo zoppica oppure si serve di grucce. Allo stesso modo un individuo si muove nella vita servendosi dei mezzi della peste emozionale, se sin dalla nascita sono state soppresse le naturali manifestazioni vitali dell’autoregolazione. L’appestato emozionale zoppica caratterialmente. La peste emozionale è una biopatia cronica dell’organismo.

Essa fece la sua comparsa nella società umana insieme alla prima repressione a livello di massa della vita amorosa genitale; essa divenne un’endemia che flagella la popolazione della terra da migliaia di anni. Non vi sono motivi per cui si possa presumere che la peste emozionale venga trasmessa ereditariamente dalla madre al figlio. Essa viene piuttosto inculcata nel bambino nei primi giorni di vita. E’ una malattia endemica, come la schizofrenia o il cancro, con la differenza che essa si manifesta essenzialmente nella convivenza sociale. La schizofrenia e il cancro sono biopatie che possiamo considerare il risultato dell’infuriare della peste emozionale nella vita sociale.

Gli effetti della peste emozionale sono riscontrabili sia nell’organismo che nella vita sociale. La peste passa periodicamente dallo stato endemico a quello epidemico, allo stesso modo di qualsiasi altra pestilenza, come per esempio la peste bubbonica o il colera. Le esplosioni epidemiche della pestilenza emozionale si manifestano in gigantesche esplosioni di sadismo e criminalità, in piccolo e grande stile. L’Inquisizione cattolica del Medioevo rappresentò una simile esplosione epidemica, il fascismo internazionale del XX secolo un’altra.

Se non consideriamo la peste emozionale come una malattia nel senso stretto della parola, rischieremmo di mobilitare contro di essa il randello della polizia anziché la medicina e l’educazione. E’ tipico della peste il fatto che essa renda necessario il randello e che in questo modo riproduca se stessa. Nonostante la minaccia della vita che essa rappresenta, non verrà mai domata dal randello della polizia.

Nessuno si sente offeso quando gli si dice che è malato di cuore o che è nervoso. Nessuno può sentirsi offeso quando si dice di lui che soffre di un “attacco acuto di peste”. E’ diventato abituale fra i sessuo-economisti che essi dicano di se stessi. “Oggi non riesco a combinare nulla perché sono appestato.” Nel nostro ambiente, gli attacchi di peste emozionale, se sono di natura lieve, vengono superati nel senso che l’individuo colpito si isola e attende che l’attacco di irrazionalismo scompaia. Nei casi più gravi, in cui non servono ragionamenti razionali e consigli amichevoli, si supera il problema vegetoterapeuticamente.

Ci si convince che simili attacchi acuti di peste vengono regolarmente prodotti da un disturbo della vita amorosa, e che scompaiono quando si elimina il disturbo. L’attacco acuto di peste è un fenomeno tanto familiare a me e ai miei collaboratori più vicini che lo accettiamo con calma e lo risolviamo obiettivamente.

Un aspetto importantissimo è che i vegetoterapeuti imparino durante il loro tirocinio a rendersi conto essi stessi degli attacchi acuti di peste, a non smarrirsi in essi, a non permettere che questi attacchi danneggino l’ambiente sociale in cui vivono e ad aspettare, distaccandosi intellettualmente, che passino. In questo modo si riescono a limitare al minimo gli effetti dannosi quando ci si trova a collaborare con altri. Naturalmente a volte capita che un simile attacco di peste non venga superato e che l’individuo colpito sia la causa di danni più o meno gravi o che addirittura si debba ritirare dal lavoro che svolgeva. Noi accettiamo questi incidenti così come si accetta una grave malattia fisica o il decesso di un caro collega di lavoro.

La peste emozionale è più vicina alla nevrosi del carattere, che a una malattia cardiaca organica, ma alla lunga può generare il cancro o malattie cardiache. Essa viene alimentata, come la nevrosi del carattere, da pulsioni secondarie. Essa si distingue dai difetti fisici per il fatto che è una funzione del carattere e che come tale viene violentemente difesa. L’attacco di peste non viene percepito, come accade nell’isteria, come un attacco patologico e estraneo all’Io.

Se consideriamo che già il comportamento nevrotico-caratteriale è normalmente brillantemente razionalizzato, la stessa cosa vale in misura molto maggiore per la reazione della peste emozionale: la mancanza della sua conoscenza è molto maggiore. Ci si chiederà in base a che cosa riconosciamo la reazione pestilenziale e in base a che cosa la distinguiamo da una reazione razionale? La risposta è la stessa che vale per distinguere una reazione caratteriale nevrotica da una reazione razionale: non appena si sfiorano le radici o i motivi della reazione pestilenziale, si manifesta immancabilmente angoscia o ira.

Discutiamo il fenomeno più dettagliatamente. Un individuo essenzialmente non appestato e orgasticamente potente non sviluppa angoscia, ma vivo interesse quando per esempio un medico illustra la dinamica dei processi vitali naturali. L’appestato emozionale invece diventa irrequieto o si adira quando sente parlare dei meccanismi della peste emozionale. Non tutte le impotenze orgastiche conducono alla peste emozionale, ma ogni appestato emozionale è orgasticamente impotente in modo permanente oppure lo diventa poco prima dell’attacco. In questo modo possiamo facilmente distinguere la reazione pestilenziale dalle reazioni razionali. Inoltre: un comportamento naturalmente sano non può essere disturbato o annientato da nessun intervento veramente terapeutico. Non esiste per esempio nessun mezzo di tipo razionale per “guarire”, cioè disturbare, un felice rapporto amoroso.

Ma si può eliminare un sintomo nevrotico, si riconosce inoltre una reazione pestilenziale per il fatto che essa è accessibile a una autentica terapia analitico-caratteriale e può quindi essere eliminata. Si può dunque guarire l’avidità del denaro, che è un tratto caratteriale tipico della peste emozionale, ma non si può guarire la generosità pecuniaria. Si può guarire l’astuzia subdola, ma non si può guarire la franchezza caratteriale. La reazione della peste emozionale è paragonabile, sul piano clinico, alla impotenza, difetto che si può eliminare quindi guarire. Invece la potenza genitale è “inguaribile”.

Un tratto essenziale della reazione della peste emozionale sta nel fatto che l’azione e la motivazione dell’azione non coincidono mai. Il vero motivo è nascosto, e l’azione viene giustificata con un motivo apparente. Nella reazione caratteriale naturalmente sana il motivo, l’azione e la meta coincidono organicamente; non vi è nulla di dissimilato. Essa è immediatamente comprensibile. Per esempio: l’individuo sano non ha altre motivazioni dei suoi atti sessuali se non il suo naturale bisogno di amore e come meta il suo soddisfacimento. L’appestato emozionale ascetico invece motiva la sua debolezza sessuale in modo secondario adducendo ragioni etiche. Questa motivazione non ha nulla a che fare con il modo di vivere. Il modo di vivere dell’asceta che nega la vita esiste prima della sua motivazione.

L’individuo sano non cercherà mai di imporre a nessuno il suo modo di vivere, ma egli guarirà e aiuterà se gli si chiederà aiuto e se sarà in grado di darlo. In nessun caso un individuo sano decreterà che tutti gli uomini “devono essere sani”. In primo luogo una simile imposizione non sarebbe razionale perché non si può imporre la salute; in secondo luogo l’individuo sano non ha alcun motivo di imporre il suo modo di vivere agli altri poiché le sue ragioni riguardano il suo modo di vivere e non quello degli estranei. L’appestato emozionale si differenzia dall’individuo sano per il fatto che pretende che la realizzazione delle sue esigenze di vita non sia compiuta da lui stesso, ma soprattutto dal mondo che lo circonda.

Nei casi in cui l’individuo sano consiglia e aiuta, nei casi in cui egli precede gli altri con le proprie esperienze lasciando agli altri la facoltà di decidere se lo vogliono prendere come esempio o meno, l’appestato invece vuole imporre agli altri il suo modo di vivere ricorrendo alla violenza. Gli appestati non sopportano i pareri altrui che minacciano le loro armature o che smascherano i loro motivi irrazionali. L’individuo sano è solo felice quando sente parlare dei motivi delle sue azioni. L’appestato invece s’infuria violentemente. L’individuo sano, in tutti quei casi in cui altre concezioni di vita disturbano la vita e il lavoro, lotta razionalmente per la conservazione del suo modo di vivere.

L’appestato lotta contro gli altri modi di vivere anche quando non lo riguardano affatto. Il motivo della sua lotta è la provocazione rappresentata dagli altri modi di vivere, per il semplice fatto che esistono. L’energia che alimenta le reazioni della peste emozionale scaturisce regolarmente dalla fame di piacere non soddisfatto, sia che si tratti di fatti sadici di guerra o della diffamazione degli amici. L’energia sessuale ingorgata è ciò che l’appestato ha in comune con tutte le altre biopatie. Parleremo subito delle differenze.

Il carattere biopatico fondamentale della peste emozionale si manifesta nel fatto che essa, come ogni altra biopatia, può essere guarita con l’instaurazione della naturale capacità di amare. La tendenza alla peste emozionale è molto diffusa. Non vi sono individui non appestati da una parte e individui appestati dall’altra.

Come ogni individuo ha, da qualche parte in profondità, la propria tendenza al cancro, alla schizofrenia e all’alcolismo, così ogni individuo, anche il più sano e il più vitale, porta in sé la tendenza alle reazioni pestilenziali irrazionali. E’ più facile isolare la peste emozionale dalla struttura caratteriale genitale che da quella delle semplici nevrosi del carattere. La peste emozionale è effettivamente una nevrosi del carattere o una biopatia del carattere nel senso stretto della parola, ma è anche qualche cosa di più; e questo qualche cosa di più la distingue dalla biopatia e dalla nevrosi del carattere. Possiamo definire peste emozionale quel comportamento umano che, in base a una struttura caratteriale biopatia, si manifesta nei rapporti interumani, quindi sociali, e nelle corrispondenti istituzioni, in modo organizzato o tipico.

Il campo d’azione della peste emozionale è tanto vasto quanto quella della biopatia del carattere. Vale a dire, ovunque esistono biopatie del carattere, esiste anche almeno la possibilità di un effetto cronico o di una esplosione epidemica acuta di peste emozionale. Descriviamo rapidamente alcuni campi tipici in cui la peste infuria in modo cronico oppure si manifesta con eruzioni acute. Vediamo subito che la peste infuria proprio nei campi vitali più importanti: il misticismo nella sua forma distruttiva; la mania passiva e attiva di autorità; il moralismo; le biopatie del sistema del nervo vitale; il politicantismo partitico; la peste familiare che ho definito con il termine di “familitis“; le misure educative sadiche, la sopportazione masochista di simili misure educative oppure la ribellione criminale contro di esse; il pettegolezzo e la diffamazione; il burocratismo autoritario; l’ideologia imperialista della guerra; tutto ciò che si intende col termine americano di ” racket”; l’asocialità criminale; la pornografia; l’usura; l’odio razziale.

Vediamo che il campo della peste emozionale coincide pressappoco con il vasto campo dei mali sociali che sono stati combattuti da tutti i movimenti per la libertà sociale. Con una leggera imprecisione si potrebbe mettere allo stesso livello la peste emozionale e la ” reazione politica” e forse addirittura il principio della politica in genere. Per fare questo in modo corretto bisogna applicare il principio fondamentale di tutte le politiche, e cioè la sete di potere e gli imbrogli, a tutti i diversi campi vitali dove non si parla di politica nel senso comune della parola. Per esempio, una madre che si serve dei metodi della politica per estraniare suo figlio dal marito, rientrerebbe in questo concetto ampliato della peste emozionale politica; lo stesso dicasi di uno scienziato ambizioso che avanza socialmente nella sua carriera non per le sue conquiste obiettive, ma ricorrendo agli intrighi, per occupare un posto sociale che non corrisponde in alcun modo alle sue realizzazioni.

Tratto dal libro di Wilhelm Reich, Analisi del carattere. Sugarco Edizioni

Dalla introduzione a Paura di vivere di Alexander Lowen

Di solito non si definisce la nevrosi come paura della vita, ma è proprio questo che è: il nevrotico ha paura di aprire il proprio cuore all’amore, paura di scoprirsi o di farsi valere, paura di essere pienamente se stesso. Possiamo spiegare queste paure da un punto di vista psicologico: aprendo il proprio cuore all’amore, si diventa vulnerabili alle ferite; scoprendosi, ci si espone al rifiuto; facendosi valere, si rischia di essere distrutti.

Ma questo problema ha un’altra dimensione. Per un individuo, avere una vita più intensa o più sensazioni di quanto non sia abituato è fonte di paura, perché ciò minaccia di schiacciare il suo Io, di oltrepassare i suoi limiti e di indebolire la sua identità. Essere più vivi e avere più sentimenti fa paura. Una volta mi sono occupato di un giovane che presentava una forte insensibilità corporea. Era teso e contratto, gli occhi erano spenti, il colorito terreo, la respirazione superficiale. Grazie a una respirazione più profonda e ad alcuni esercizi terapeutici, il suo corpo acquistò una maggiore sensibilità. Gli occhi gli brillavano, il colorito si ravvivò, provò sensazioni stimolanti in alcune parti del corpo e le gambe cominciarono a vibrare. Ma allora, mi disse: “Questa è troppa vita. Non posso resistere”.

Credo che, in gradi diversi, siamo tutti nella situazione di questo giovane. Vogliamo essere più vivi e sentire di più, ma ne abbiamo paura. La nostra paura della vita si rivela nel nostro continuo affaccendarci per non sentire: corriamo per non affrontare noi stessi, ci diamo ai liquori o alle droghe per non percepire il nostro essere. Poiché abbiamo paura della vita, cerchiamo di controllarla o di dominarla. Crediamo che essere trasportati dalle emozioni sia nocivo o pericoloso. Ammiriamo le persone calme, che agiscono senza emozionarsi. Il nostro eroe è James Bond, agente segreto 007. Nella nostra cultura si dà importanza all’azione, al fatto compiuto. L’individuo moderno è tenuto ad avere successo, non a essere una persona. Egli appartiene alla ‘generazione attiva’ il cui motto è fare di più, ma sentire di meno. Questo atteggiamento caratterizza gran parte della sessualità moderna: più azione, ma meno passione.

A prescindere da quanto bravi possiamo essere nel lavoro, come persone siamo un fallimento, e io credo che la maggior parte di noi senta il fallimento dentro di sé. Percepiamo indistintamente il dolore, l’angoscia, e la disperazione esistenti appena sotto la superficie, ma siamo decisi a vincere la debolezza, a superare le paure e sormontare le angosce. Per questo i libri su come migliorare se stessi o su come fare una data cosa sono così popolari.

Purtroppo, questi sforzi sono destinati a fallire perché essere una persona non è qualcosa che si può fare; non è un atto definito: è un qualcosa che ci obbliga a interrompere il nostro lavoro frenetico, a prendere il tempo di respirare e sentire. Questo può farci sentire dolore, ma se abbiamo il coraggio di accettarlo, proveremo anche piacere. Se sappiamo far fronte al nostro vuoto interiore, riusciremo a realizzarci. Se siamo in grado di andare in fondo alla nostra disperazione, scopriremo la gioia. E in questa impresa terapeutica abbiamo bisogno di aiuto.

È destino dell’uomo moderno essere nevrotico, avere paura della vita? La mia risposta è sì, se consideriamo l’uomo moderno appartenente a una cultura i cui valori dominanti sono il potere e il progresso. Poiché questi valori caratterizzano la civiltà occidentale nel ventesimo secolo, ne risulta che ogni persona che vive in questa civiltà è nevrotica.L’individuo nevrotico è in conflitto con se stesso. Una parte del suo essere cerca di dominarne un’altra. Il suo Io tenta di sottomettere il corpo; il suo pensiero razionale, di controllare le emozioni; la sua volontà, di superare paure e angosce. Sebbene questo conflitto sia per lo più inconscio, il suo effetto è di esaurire le energie di una persona e di distruggere la pace della mente. La nevrosi è conflitto interno. Il carattere nevrotico assume forme diverse, ma tutte implicano una lotta all’interno dell’individuo tra quello che è e quello che crede di essere. Tutti i nevrotici sono coinvolti in questa lotta.

Come nasce questo stato di conflitto interno? Perché è destino dell’uomo moderno soffrirne? Nel caso individuale la nevrosi nasce nel contesto familiare. Ma la situazione familiare riflette quella culturale, perché la famiglia è soggetta a tutte le forze della società a cui appartiene. Per capire le condizioni esistenziali dell’uomo moderno e per conoscerne il destino, dobbiamo cercare le cause del conflitto nella nostra cultura.
Conosciamo bene alcuni conflitti nella nostra cultura. Per esempio, parliamo di pace, ma prepariamo la guerra. Difendiamo la conservazione della natura, ma sfruttiamo spietatamente le risorse naturali della terra per ottenere ricchezza. I nostri obiettivi sono il potere e il progresso, eppure vogliamo il piacere, la serenità e la stabilità. Non ci rendiamo conto che potere e piacere sono valori opposti e che spesso il primo rende impossibile il secondo. Il potere conduce a una lotta che spesso oppone il padre al figlio, il fratello al fratello. È una forza separatrice in una comunità. Il progresso implica un’attività costante per trasformare il vecchio in nuovo, con la convinzione che il nuovo sia sempre superiore al vecchio. Anche se questo può essere vero in alcuni settori tecnici, si tratta di una convinzione pericolosa. Generalizzando, ciò implica che il figlio sia superiore al padre o che la tradizione sia semplicemente il peso morto del passato. Ci sono culture in cui dominano altri valori, dove il rispetto del passato e della tradizione è più importante del desiderio di cambiamento. In queste culture il conflitto è minimizzato e la nevrosi rara.
I genitori, come rappresentanti della cultura, hanno la responsabilità di infondere i propri valori ai figli. Esigono da loro atteggiamenti e comportamenti destinati a inserirli nella matrice sociale e culturale. Da una parte il bambino oppone resistenza a queste richieste perché equivalgono a un addomesticamento della sua natura animale. Per diventare parte del sistema, deve essere domato. D’altra parte il bambino desidera conformarsi a queste esigenze per ottenere l’amore e l’approvazione dei genitori. Il risultato dipende dalla natura delle richieste e dal modo in cui sono imposte. Con l’amore e la comprensione è possibile insegnare al bambino le abitudini e le regole di una cultura senza soggiogare il suo spirito. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, il processo di adattamento del bambino alla cultura indebolisce la sua personalità, e ciò lo rende nevrotico e timoroso della vita.
Il problema essenziale nel processo di adattamento culturale è il controllo della sessualità. Non c’è cultura che non imponga un freno al comportamento sessuale. Questo controllo sembra necessario per impedire che si sviluppino contrasti all’interno della comunità. Gli esseri umani sono creature gelose e inclini alla violenza. Anche nella maggior parte delle società primitive il legame del matrimonio è sacro. Ma i conflitti che nascono da simili restrizioni sono estranei alla personalità. Nella civiltà occidentale, la norma è di far sentire in colpa una persona per le sue sensazioni sessuali e per pratiche sessuali come la masturbazione, che non minacciano in nessun modo la pace delle comunità. Quando senso di colpa o vergogna si associano ai sentimenti, il conflitto è interiorizzato e crea il carattere nevrotico.
L’incesto è un tabù in tutte le società umane, ma le sensazioni sessuali di un bambino per il genitore di sesso opposto sono reprensibili solo nelle società moderne. Si crede che questi sentimenti rappresentino un pericolo per il diritto esclusivo del genitore alle attenzioni sessuali del partner. Il bambino è considerato come un rivale dal genitore dello stesso sesso. Anche se l’incesto non avviene, il bambino si sente in colpa per queste sensazioni e questi desideri naturalissimi.
Quando Freud studiò, con l’analisi, le cause dei problemi emotivi dei suoi pazienti, in tutti i casi trovò che c’era di mezzo la sessualità della prima infanzia e della fanciullezza, in particolare le sensazioni sessuali per il genitore di sesso opposto. Scoprì anche che ai sentimenti incestuosi si associavano desideri di morte verso il genitore dello stesso sesso. Osservando l’analogia con il mito di Edipo, egli definì la situazione del bambino una situazione edipica. Egli pensava che, se un ragazzo non avesse represso i propri sentimenti sessuali verso la madre, avrebbe subito il destino di Edipo, cioè avrebbe ammazzato il padre e sposato la madre. Per impedire il compimento di questo destino si minaccia di castrazione il bambino che non reprime il proprio desiderio sessuale e i propri sentimenti ostili.
L’analisi non solo rivelò che questi sentimenti erano repressi, ma che la stessa situazione edipica era rimossa; gli adulti, cioè, non ricordavano il triangolo in cui erano stati coinvolti tra i tre e i sei anni. La mia stessa esperienza clinica conferma queste osservazioni. Pochi pazienti possono ricordarsi il desiderio sessuale per il genitore. Freud credette che questa rimozione fosse necessaria se una persona voleva avere una normale vita sessuale all’età adulta. Egli pensava che la rimozione rendesse possibile il trasferimento del primo desiderio sessuale dal genitore a un coetaneo; in caso contrario, si sarebbe verificata una fissazione sul genitore. Così, per Freud, la rimozione era il mezzo per risolvere la situazione edipica, permettendo al bambino di raggiungere l’età adulta attraverso un periodo di latenza. Se la rimozione era incompleta, la persona diventava nevrotica.
Secondo Freud, il carattere nevrotico rappresentava un’incapacità di adattarsi alla situazione culturale. Riconosceva che la civiltà negava all’individuo la piena gratificazione istintuale, ma credeva che questa negazione fosse necessaria al progresso culturale. In effetti, accettò l’idea che il destino dell’uomo moderno fosse quello di essere infelice. Tale destino non era affare della psicanalisi, che si limitava ad aiutare un individuo ad adeguarsi al sistema culturale. La nevrosi era considerata un sintomo (fobia, ossessione, coazione, malinconia, ecc.), che interferiva con il normale funzionamento.
Wilhelm Reich aveva un’opinione diversa. Pur avendo studiato con Freud ed essendo membro della Società di Psicoanalisi di Vienna, si rese conto che l’assenza di sintomi inabilitanti non era affatto un criterio di salute emotiva. Lavorando con pazienti nevrotici trovò che il sintomo si sviluppava da una struttura caratteriale nevrotica e poteva essere completamente eliminato solo se si cambiava tale struttura. Per Reich non si trattava di un adattamento alla cultura, ma di una capacità individuale di darsi pienamente al sesso e al lavoro. Questa capacità permetteva alla persona di trarre piena soddisfazione dalla vita. Nella misura in cui questa capacità era carente, la persona era nevrotica.
Nel suo lavoro terapeutico Reich considerò la sessualità come la chiave per la comprensione del carattere. Tutti i nevrotici hanno problemi legati alla risposta orgastica: non possono abbandonarsi pienamente agli spasmi piacevoli e involontari dell’orgasmo: hanno paura delle sensazioni travolgenti dell’orgasmo totale. Se, in seguito alla terapia, la persona raggiunge questa capacità, diventa emotivamente sana, scompaiono tutti i disturbi nevrotici di cui soffriva: inoltre, fino a quando conserverà la sua potenza orgastica sarà libera dalla nevrosi.
Reich vide una relazione tra impotenza orgastica e problema edipico. Affermò che l’origine della nevrosi era nella famiglia patriarcale autoritaria in cui si reprimeva la sessualità. Non voleva accettare che l’uomo fosse inevitabilmente votato a un destino infelice. Secondo Reich, un sistema sociale che negasse la piena soddisfazione dei bisogni istintuali era malato e doveva essere cambiato. Nei primi anni di psicoanalisi Reich era anche un attivista sociale; tuttavia negli ultimi anni della sua vita giunse alla conclusione che gli individui nevrotici non potevano cambiare una società nevrotica.
Sono stato molto influenzato dal pensiero di Reich. Fu il mio maestro dal 1940 al 1953 e il mio analista dal 1942 al 1945. Sono diventato psicoterapeuta perché credevo che il suo approccio ai problemi umani sul piano teorico (analisi caratteriale) e tecnico (vegetoterapia) rappresentasse un importante progresso nel trattamento della nevrosi. L’analisi caratteriale fu il più grande contributo di Reich alla teoria psicoanalitica. Per Reich il carattere nevrotico era il terreno su cui si sviluppavano i sintomi nevrotici. Egli credeva che per ottenere un ulteriore miglioramento, l’analisi dovesse mettere a fuoco il carattere piuttosto che i sintomi. Con la vegetoterapia, il processo terapeutico esplora la dimensione somatica. Reich si accorse che la nevrosi, oltre ai conflitti psichici, si manifestava con un disturbo del funzionamento vegetativo. Nell’individuo nevrotico la respirazione, la motilità e i piacevoli movimenti involontari dell’orgasmo erano fortemente limitati da tensioni muscolari croniche. Egli definì queste tensioni un processo di corazzatura, che si ripercuoteva sul carattere a livello somatico e affermò che l’atteggiamento corporeo di una persona è identico dal punto di vista funzionale al suo atteggiamento psichico. Il lavoro di Reich è la base dello sviluppo dell’analisi bioenergetica, che ne ha ampliato le idee in alcuni aspetti importanti.
Uno: l’analisi bioenergetica porta a una conoscenza sistematica della struttura caratteriale a livello psichico e somatico. Questa comprensione rende possibile la lettura del carattere di una persona e dei suoi problemi emozionali a partire dall’espressione del suo corpo. Essa dà inoltre la possibilità di immaginare la storia della persona, poiché le sue esperienze di vita si sono strutturate nel corpo. L’informazione ottenuta dall’interpretazione del linguaggio del corpo è integrata al processo analitico.
Due: mediante questo strumento di conoscenza, l’analisi bioenergetica offre una comprensione più profonda dell’effetto dei processi energetici del corpo sulla personalità. Il Grounding si riferisce alla relazione energetica tra i piedi di una persona e la terra o il terreno, poiché riflette la quantità di energia o di emozione che un individuo accorda alla parte più bassa del proprio corpo e indica la sua relazione con il terreno su cui sta in piedi. Si appoggia saldamente o è instabile? I suoi piedi sono ben fissi? Com’è il suo portamento? I sentimenti di sicurezza e indipendenza sono intimamente collegati alla funzione delle gambe e dei piedi, e influenzano fortemente la sessualità.
Tre: l’analisi bioenergetica dispone di molte tecniche corporee attive e di esercizi per aiutare una persona a rinforzare il proprio portamento, ad aumentare la propria energia, ad arricchire e approfondire prima la percezione e poi l’espressione di sé. Nell’analisi bioenergetica il lavoro del corpo è coordinato al processo analitico, in una modalità terapeutica che associa il corpo alla mente nell’affrontare i problemi emotivi.
Ho praticato la terapia per più di trenta anni e ho cercato di aiutare i pazienti a raggiungere gioia e felicità nella vita. In questo tentativo, è stato necessario uno sforzo continuo per capire il carattere nevrotico dell’uomo moderno nella sua situazione culturale e individuale. Il mio centro d’interesse è stato ed è l’individuo che lotta per dare un significato alla propria vita e per trarne una soddisfazione; in altre parole, la sua lotta contro il destino. Tuttavia, questa lotta avviene in una precisa situazione culturale. Senza una conoscenza del processo culturale non possiamo capire la profondità del problema.
Il processo culturale che ha dato origine alla società moderna e all’uomo moderno è stato lo sviluppo dell’Io. Questo sviluppo è associato all’acquisizione della conoscenza e alla conquista del potere sulla natura. L’uomo appartiene alla natura come qualsiasi altro animale ed è completamente soggetto alle sue leggi; ma egli è anche al di sopra della natura, poiché agisce su di essa e la controlla. Si comporta nello stesso modo con la sua intima natura; una parte della sua personalità, l’Io, si ribella alla parte animale, il corpo. L’antitesi tra Io e corpo produce una tensione dinamica che favorisce il processo della cultura, ma contiene anche un potenziale di distruzione. Questo può capirsi meglio con l’analogia dell’arco e della freccia. Più si tende l’arco, più la freccia volerà lontano. Ma se lo si tende troppo, si spezzerà. Quando la separazione tra l’Io e il corpo è tale che non esiste più contatto, il risultato è il crollo psicotico: credo che nella nostra cultura abbiamo raggiunto questo momento pericoloso. Il crollo psicotico è abbastanza comune, ma la paura del crollo, a livello personale e sociale, è ancora più diffusa. Qual è il destino dell’uomo moderno, nella cultura a lui specifica e con il carattere da essa determinato? Se la storia di Edipo può valere come profezia, essa predice che si può ottenere il successo e il potere di cui si va in cerca, solo per poi trovare il proprio mondo diviso in due o crollato. Se il successo si misura in termini di ricchezze materiali, come nei paesi industrializzati, e il potere in termini della capacità di fare e di andare (macchine ed energia), la maggior parte della gente nella civiltà occidentale ha successo e potere: il crollo del loro mondo è l’impoverimento della loro vita interiore o emotiva. Assorbiti dal successo e dal potere, essi hanno poco altro per cui vivere. E come Edipo, sono diventati vagabondi sulla terra, esseri sradicati che non trovano mai pace. Tutti gli individui, in misura diversa, si sentono alienati dai propri simili e ognuno porta dentro di sé un profondo senso di colpa che non capisce: questa è la condizione esistenziale dell’uomo moderno. La sfida all’uomo moderno è di riconciliare gli aspetti antitetici della sua personalità. Nel corpo egli è come un animale, ma a livello dell’Io si vorrebbe simile a una Divinità. Il destino dell’animale è la morte, che l’Io cerca di evitare con aspirazioni divine. Ma cercando di evitare il suo destino, l’uomo ne crea uno anche peggiore, cioè vivere con la paura della vita.
La vita umana è piena di contraddizioni, e riconoscerle e accettarle è una prova di saggezza. Dire che l’accettazione del proprio destino ne determina un cambiamento può sembrare una contraddizione, ma non lo è. Quando si smette di lottare contro il destino, ci si libera dalla nevrosi (conflitto interno) e si raggiunge la serenità. Il risultato è un atteggiamento diverso (non più paura della vita) espresso da un carattere diverso e unito a un destino diverso. In questo modo l’individuo avrà il coraggio di vivere e di morire e riuscirà a realizzarsi. La storia di Edipo, la mitica figura il cui nome è legato al problema chiave della personalità dell’uomo moderno, si conclude così.

Dalla introduzione a Paura di vivere di Alexander Lowen, Astrolabio – Ubaldini Editore, 1982, Roma.

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