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Stati modificati di coscienza


Il concetto di transe dei reclusi è stato utilizzato soprattutto da A. Ludwig. Il suo modello ruota intorno ad una regola generale che può essere sintetizzata così: quando muta il livello normale di stimolazione o attività percettiva, si altera conseguentemente anche la coscienza. L’esposizione di questo modello con un commento si trova nel saggio Antropologia psicologica di Erika Bourguignon.
L’etnologia, la psicologia e l’antropologia si sono spesso interessate agli stati modificati di coscienza.
Charles T. Tart ne ha proposto un’esplorazione prevalentemente psicologica in Stati di coscienza.
Georges Lapassade ha recentemente presentato una rassegna critica delle principali teorie nelle varie discipline, in Gli stati modificati di coscienza.
Sul rapporto tra stati modificati di coscienza e transe restano comunque aperti alcuni problemi. In particolare il fatto che alcuni ricercatori hanno la tendenza a considerare i primi “esperienze psicologiche” e le seconde “esperienze culturalmente codificate e ritualizzate”. La transe, in altri termini, sarebbe uno stato modificato di coscienza specifico collettivizzato, socializzato e ritualizzato, mentre lo stato di coscienza modificato costituirebbe semplicemente la base psicologica della transe.
Il rischio di questa impostazione sta nella riproposizione dell’opposizione natura/cultura: naturali sarebbero gli stati modificati di coscienza (SMC), culturali le transe.
Noi crediamo, invece, che gli SMC siano culturalizzati non meno delle transe. Se una differenza può essere colta essa riguarda il carattere fluido degli SMC rispetto al carattere rigido (codificato e ritualizzato) della transe; il carattere singolare dell’esperienza negli SMC, di contro al carattere collettivo dell’esperienza delle transe rituali; la familiarità degli SMC con la vita quotidiana, di contro all’eccezionalità delle transe rituali.

Che gli SMC siano modellati culturalmente si evince, secondo noi, dal fatto che la modificazione si produce per rapporto con il cosiddetto stato ordinario di coscienza, vale a dire con il codice culturale che lo informa. Quale sia la mappa, l’estensione e la struttura dello stato ordinario di coscienza, può dircelo solo il contesto culturale di cui esso è un’interiorizzazione, un oggetto interiorizzato, un introietto. Ancora, sarà questo stesso contesto culturale a dirci cosa esso consideri incongruo rispetto alla coscienza ordinaria. E, dunque, cosa sia territorio privilegiato degli stati modificati di coscienza. In tal senso, SMC e transe spontanea hanno per noi un significato equivalente e, quindi, indifferentemente li abbiamo utilizzati nel corso del lavoro. Va detto ancora che non c’è transe spontanea o SMC che possa prescindere da una correlativa definizione neuro-psico-fisiologica.

Ci sembra perciò che in un modello generale, transe spontanea, transe rituali, stati modificati di coscienza e stato ordinario, debbano essere riguardati anche come stati del corpo: stati culturalizzati del corpo in relazione. L’esclusione dal nostro lessico della parola alterati, che altri impiegano come sinonimo di modificati, vuol essere una presa di distanza esplicita dalla terminologia psichiatrica e dalla connotazione patologica che ad essa si connette. Lo SMC non è uno stato deficitario; la transe spontanea non è uno stato patologico. Al contrario, SMC e transe spontanea sono risorse vitali alle quali ogni corpo in difficoltà a vivere può attingere.
Due riflessioni conclusive. La prima riguarda la nozione di cogito di stati di transe che Lapassade pone a fondamento del suo saggio sugli stati modificati di coscienza; la seconda è relativa alla funzione degli induttori chimici.

Bisogna dire, anzitutto, che nella sua qualità di stato modificato di coscienza, la transe, per Lapassade, non è mai uno stato d’incoscienza. Qualcosa, al fondo dell’esperienza, resta comunque lucido, come un lumicino che rischiara la scena. Ed è appunto la presenza instancabile di questo Osservatore – già segnalato da Hilgard e da Tart – che egli chiama cogito di transe. Nella transe, osserva Lapassade, si produce uno sdoppiamento, una “tensione tra due dimensioni fondamentali della coscienza modificata: una dimensione apparentemente passiva – il soggetto subisce ciò che gli avviene – e una dimensione di osservazione attiva, mediante la quale, questo stesso soggetto conserva la sua lucidità”. Nello stesso tempo tutto avviene come se l’originalità degli stati modificati di coscienza “attenesse alla relazione complessa tra queste due dimensioni della coscienza quando essa è, insieme, pervasa dalle immagini e conservata nello stato di veglia”.
Dicendo ciò Lapassade intende rimarcare, in polemica esplicita con la tradizione teologica – si pensi al modo in cui questa ha affrontato la questione della possessione demoniaca – la permanenza dell’unità del soggetto nella transe. All’origine della modificazione di coscienza vi sarebbe, in altri termini, un solo soggetto istituente “capace di dare a se stesso l’impressione, l’illusione della duplicità”.

Ecco: “L’unità della transe dovrebbe essere ricercata proprio in questa relazione sconcertante, in questa sorta di connivenza mediante la quale il soggetto che cambia e si vede cambiare, sembra osservare questo cambiamento da un punto che resta fisso, vigile, attaccato alla terra ferma, mentre un’altra parte di se stesso (ma non un altro io) gioca a lasciarsi andare sregolatamente”.
La coscienza della modificazione del proprio stato di coscienza: questo, in definitiva, sarebbe l’aspetto costitutivo della transe. Non un raptus, uno stato alienato, uno stato schiavo. Ma piuttosto, una complicità nel sollievo che questa schiavitù arreca. Ciò detto a noi preme rimarcare il carattere passivo che Lapassade, sulla scia di Hilgard e Tart, attribuisce all’Osservatore nascosto: pur restando sempre vigile e presente sulla scena, esso, infatti, nulla potrebbe fare per modificare il comportamento del soggetto in transe.

Ebbene, negli stati modificati relativi alla torsione reclusiva – come quelli osservati nel corso dei colloqui in carcere di cui abbiamo riferito nel capitolo Fate & Fantasmi -questo carattere passivo del Testimone nascosto non appare confermato. Qui, anzi, l’Osservatore nascosto non pare volersi adattare alla funzione passiva di testimone. Al contrario, se le circostanze lo richiedono, esso entra in azione senza che lo sdoppiamento venga meno. Succede allora che lo stato modificato manifesti una dinamica interna del tutto peculiare, e che due programmi specifici di stato agiscano simultaneamente, cooperino e si completino come fossero schiena contro schiena.
Può darsi che la differenza tra le nostre osservazioni e quelle di Hilgard, Tart e Lapassade, derivi dal fatto che questi ultimi hanno concentrato i loro lavori principalmente sull’ipnosi, sugli effetti delle droghe psichedeliche e sugli stati di meditazione oppure sulle transe rituali etnologiche; tutti luoghi in cui, essendo volontaria la partecipazione alla transe, non è in atto una torsione del sé-relazionale. A questa supposizione ci spinge anche il fatto di aver trovato conferme alla nostra esperienza in un altro caso specifico di torsione relazionale: la tortura.

Nel racconto “Un viaggio del tutto particolare” e nel “Commento” successivo l’esule cileno Sergio Vuskovic Rojo descrive l’esperienza dei suoi stati modificati durante la tortura.
In particolare Rojo rivela che mentre una parte di sé era impegnata in un viaggio di estraneamento dal dolore e si aggirava tra i ricordi di esperienze vissute, un’altra parte restava lì, con il corpo sotto tortura, mantenendosi ipervigile ad ogni sia pur minimo mutamento del lavoro del torturatore. Quando poi il decorso della tortura eccedeva una certa soglia, ecco allora “che una lampadina rossa si accendeva per segnalare l’allarme” e le due parti sdoppiate si ricoordinavano in un nuovo equilibrio per reggere la prova. La certezza che questa “lampadina rossa” si sarebbe accesa qualora la situazione si fosse fatta particolarmente allarmante, ci dice Rojo, consentiva una certa tranquillità al suo viaggio lenitivo nel mondo dei ricordi sensoriali.

Quanto sopra c’invita ad una considerazione generale: è possibile che la fenomenologia del cogito di transe esposta da Hilgart, Tart e Lapassade riferisca, dopo tutto, una condizione di transe particolare, anche se più studiata: quella in cui il Testimone nascosto non ha necessità di attivarsi poiché i soggetti impegnati nello sdoppiamento non subiscono alcuna torsione relazionale diretta.
Al contrario, la fenomenologia descritta da Rojo, e da noi, riguarda una condizione più ampia e generale. Nella torsione del sé-relazionale, infatti, lo sdoppiamento della transe manifesta tutte le sue potenzialità. Ed allora si può osservare che le due parti in cui si sdoppia il soggetto sono in realtà entrambe attive: entrano in azione simultaneamente e cooperano tra loro al fine di realizzare gli scopi benefici perseguiti dallo stato modificato.

Per quanto riguarda il secondo punto, vale a dire gli induttori chimici di stati modificati, l’intera ricerca ci porta ad osservare che, nelle condizioni di reclusione, essi non sono in grado di apportare un reale beneficio; non sono idonei, in altri termini, a contrastare il controllo dei linguaggi rituali, generatori di sofferenza – i linguaggi dello stato del corpo-con-testa.
Viceversa, i linguaggi dell’Altro – quei linguaggi che toccano il sé-relazionale torto ed amputato -promuovendo una modificazione di stato profonda e radicale, aiutano efficacemente il recluso a dislocarsi in uno stato modificato per lui in qualche modo salutare.

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