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L’ipnosi nel dolore


INTRODUZIONE

L’ ipnologia e l’ ipnosi sono ufficialmente accettate dalla medicina dell’evidenza per le numerose prove che dimostrano, più o al pari di altre tecniche psicologiche, una efficacia nel controllo del dolore. Di fatto sono relegate dalla maggior parte degli operatori della sanità al confine tra la magia, il buffo e comunque il non praticabile. Come segnalato, recentemente da Luchetti (1) è fondamentale in questo settore una particolare apertura mentale. Questo diventa imprescindibile quando osserviamo l’ uso distorto e abusivo di una medicina che sembra richiedere scarse risorse materiali e contemporaneamente appaga il senso narcisistico di potere sul prossimo. Scismi tassonomici determinati da esigenze specifiche (come di preparazione dei manager, educazione alla vendita) e non concettuali, hanno reso più confuso il panorama. Il termine stesso ipnosi (da ipnos: sonno) non dà certo ragione alla complessa fenomenologia che sottende questa condizione. Tuttavia, almeno per ora, ipnosi è il termine di riferimento per indicare sia una condizione alterata di coscienza, dalla quale ci aspettiamo scaturiscano utili cambiamenti psicologici, neuroendocrini, metabolici ed in generale biologici, sia una condizione relazionale particolare all’interno della quale questi cambiamenti possono compiersi in sicurezza.

CONCETTO ATTUALE DI IPNOSI

E’ ormai accettato che l’ipnosi è una particolare condizione psicosomatica in cui esiste uno stato di coscienza diverso dal normale stato di veglia e da tutte le fasi del sonno. Può presentare alcune affinità con stati meditativi, in particolare per l’attenzione focalizzata, il pensiero dominato dal processo primario e la ricettività dell’Io (Fromm, 1977-79). Questo stato psicofisico è dinamico ed è caratterizzato dalla prevalenza di funzioni immaginativo-emotive rispetto a quelle critico-intellettive, dalla presenza di una parziale dissociazione psichica e da fenomeni ideoplastici, in particolare ai livelli più profondi. Le teorie attuali sul meccanismo dell’ipnosi implicano un transfert e controtransfert positivo, uno stato empatico e una sincronia interattiva fra ipnologo e soggetto. Viene quindi enfatizzato il ruolo della relazione tra l’ipnotista e l’ipnotizzato, non solo nel successo dell’induzione ipnotica, ma anche nello sviluppo della fenomenologia caratteristica e come fattore essenziale del fenomeno stesso. L’ipnosi è considerata cioè una particolare forma di interazione umana in una persona reale o immaginaria. La relazione è un contenitore dove si svolge qualsiasi atto professionale, in cui coesistono aspetti affettivi/emozionali ed elementi cognitivi (5). Nella figura I è espressa tramite formula, una definizione operativa di ipnosi, quale stato di coscienza determinato da una particolare relazione che si inserisce su dinamiche percettive sensoriali (corpo).

In tempi recenti sono stati sviluppati disegni sperimentali raffinati per identificare un correlato neurofisiologico dello stato di coscienza ipnotico o di trance (6), e sono stati proposti diversi modelli speculativi (7), ma persiste notevole difficoltà ad ottenere elementi che evidenzino univocamente questo stato come caratteristico e specifico della condizione di trance. Il paradigma maggiormente accreditato è quello dell’asimmetria funzionale degli emisferi cerebrali (8).

Sintetizzando le specializzazioni emisferiche, si possono individuare le seguenti caratteristiche per l’emisfero dominante (sinistro nel destrimane e in buona parte dei mancini): maggiore abilità per i compiti analitico verbali, analitico spaziali e temporali, aritmetici, ideazionali, maggiore competenza a cogliere gli aspetti rilevanti degli stimoli elaborando l’informazione in modo sequenziale, attraverso l’analisi delle singole parti. Utilizzando un termine informatico possiamo definire la modalità di elaborazione come digitale. Essa risulta estremamente efficiente per operazioni matematiche, linguistiche e per la formulazione di concetti astratti. Lo stile cognitivo di questo emisfero coincide con i cosiddetti “processi secondari” della psicoanalisi. Esiste inoltre un collegamento con lo stato di coscienza ordinario e una maggiore performance per le emozioni positive. L’emisfero “non dominante” (destro, nel destrimane) sembra specializzato per compiti visuo-spaziali, musicali, geometrici, sintetici spaziali e temporali. Lo stile cognitivo è in grado di integrare diversi stimoli simultaneamente con un comportamento analogico-sintetico, quasi non verbale, olistico, molto efficace per le attività visivo-spaziali, la coordinazione motoria nello spazio, la comprensione della tonalità musicale. Il suo stile cognitivo coincide con i “processi primari” della psicoanalisi. Non esiste un collegamento con lo stato di coscienza ordinario, la performance è maggiore per le emozioni negative e per quelle attività che richiedono una percezione simultanea del tutto (percezione olistica), per la creatività artistica e scientifica, quindi per le intuizioni. Esistono evidenti analogie fra la fenomenologia della trance ipnotica e le funzioni dell’emisfero destro gia sottolineate da Erickson e Rossi (9). In contrapposizione allo stato di veglia, nello stato di trance si svilupperebbe una prevalenza emisferica destra (nel destrimane).

Lo studio elettroencefalografico di soggetti in ipnosi comparato con quello di soggetti allo stato di veglia ha permesso di identificare e comprendere alcuni meccanismi neurofisiologici sottesi allo stato ipnotico (10). Gran parte degli studi hanno focalizzato l’attenzione su una particolare onda dell’EEG: il ritmo alfa, questo ritmo (8-12 Hz), presenta un comportamento di tipo paradosso, in quanto tende a scomparire e desincronizzarsi nel soggetto sveglio ad occhi aperti, intento in attività cognitive, ma anche all’estremo opposto nel soggetto rilassato mentre tende a diventare più sonnolento. Un’elevata attività di fondo alfa è stata invece riscontrata nei soggetti in condizioni di particolare rilassamento e in alcune forme di meditazione e perciò almeno storicamente questo ritmo è associato ad una condizione di relativa inattività funzionale del sistema nervoso.

Attraverso analisi spettrale di frequenza dell’ EEG, è stato evidenziato (11) che nello stato di riposo vigile, la maggior parte dei soggetti destrimani presenta una maggior quantità di ritmo alfa nell’emisfero destro rispetto al sinistro. In condizioni di trance ipnotica, almeno nei soggetti altamente ipnotizzabili si ha un’inversione del profilo spettrale del ritmo alfa con una sua predominanza all’emisfero sinistro. Con l’assunto che l’attività alfa sia inversamente proporzionale all’attivazione funzionale dell’emisfero si può concludere che durante la condizione ipnotica si assiste ad una riduzione relativa dell’attività funzionale emisferica sinistra e ad una prevalenza emisferica destra.

Altri autori non hanno confermato questi risultati e tuttavia è stata evidenziata in ipnosi, a differenza di quanto si osserva allo stato di veglia, una attività EEGrafica apparentemente non congrua con il compito richiesto (ad es. matematico o visuo-spaziale). Questa incongruenza è attribuita all’azione inibitoria in ipnosi, di strutture sottocorticali diencefaliche sull’attivazione corticale compito specifica.

Studi di De Benedittis e Sironi in pazienti epilettici (12) hanno dimostrato che la condizione ipnotica determina una riduzione dell’attività lenta patologica e dell’attività irritativa intercritica rispetto allo stato di veglia e a maggior ragione rispetto al sonno che in questi pazienti si comporta come un attivatore della soglia epilettogena.

Studi elettrofisiologici hanno identificato due aree del sistema nervoso implicate nei fenomeni ipnotici, queste aree appartenenti al sistema limbico sono l’ippocampo che sembra responsabile del mantenimento della condizione ipnotica e l’amigdala che sembra svolgere un ruolo primario nei meccanismi di risveglio dall’ipnosi.

Lo stato ipnotico sarebbe mediato dall’attività combinata di queste due strutture, attraverso una inibizione funzionale dell’amigdala, responsabile del senso di calma, dell’ipoattività e dell’insensibilità all’ambiente e una attivazione funzionale delle strutture ippocampali.

L’analisi dei potenziali evocati corticali somatosensoriali non ha rilevato significative differenze nella latenza e nell’ampiezza delle componenti nelle condizioni di trance e di veglia, una diminuzione d’ampiezza della componente lenta è stata riferita in un esperimento di ipnoanalgesia. Per quanto riguarda i potenziali evocati corticali visivi, uditivi e olfattori esistono risultati contraddittori.

Per confermare il paradigma dell’emisfericità destra sono state sviluppate altre metodiche come l’ascolto dicotico, che hanno permesso di accumulare una notevole evidenza empirica.

E’ stato sperimentalmente osservato che soggetti altamente ipnotizzabili a cui venivano somministrate suggestioni di analgesia durante la trance non presentavano la risposta motoria tardiva a latenza più lunga (circa 120 msec) a seguito dello stimolo algico, mentre rimaneva inalterata la risposta motoria precoce, a breve latenza (circa 70 msec). L’abolizione del riflesso di difesa tardivo è espressione di una attività di modulazione sopraspinale.

L’ipnoterapia o l’ipnositerapia, per definizione, implica un intervento preciso, da parte del terapeuta o ad opera del paziente stesso. In quest’ ultimo caso si parla di autoipnosi. L’ipnositerapia, rappresenta quindi l’utilizzo a scopo medico delle potenzialità intrinseche del soggetto che si rendono disponibili pienamente in questo stato psicosomatico, è una scienza basata sulle correlazioni dimostrate fra mente e corpo. Nella figura II è proposto un modello psicosomatico che cerca di sintetizzare le ipotesi attuali più accreditate sulla genesi della malattia a partenza psichica, mentre nella figura III è evidenziato il ruolo che l’ipnoterapia può rivestire nella prevenzione o nella cura del disturbo o della malattia, anche attraverso una azione a più livelli (13).

L’IPNOTERAPIA NEL DOLORE

Gli studi sull’ipnoterapia per il controllo del dolore sono numerosi, anche se è merito dei coniugi Hilgard (1977-78) (14) la costruzione di un modello esplicativo e la dimostrazione di una correlazione diretta fra il grado d’ipnotizzabilità ed il livello d’analgesia raggiungibile. Sempre agli Hilgard (15) si deve la dimostrazione che l’effetto analgesico dell’ipnosi non è riconducibile all’effetto placebo, alla paura (non è una analgesia da stress o ansia) o alla suggestione, non dipende dalle endorfine e quindi non è reversibile con antagonisti degli oppioidi (naloxone) (16, 17), e non dipende da modulazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, ma è un effetto specifico.

La teoria neodissociativa fornisce un modello esplicativo, schematizzato nella figura IV secondo il quale lo stato ipnotico determina delle modificazioni nelle strutture di controllo cognitive, per cui i processi cognitivi dell’ipnotizzato non sono più disponibili alla coscienza ordinaria, anche se una parte dissociata dell’io ipnotico, definita come l’osservatore nascosto, mantiene la normale percezione del dolore. A causa di una barriera di comunicazione questa componente cognitiva non si manifesta (covert pain), ma può comunque essere evidenziata con tecniche particolari, come la scrittura automatica. Una seconda barriera impedisce la comunicazione fra due sottosistemi del dolore: A e B. Al sistema A competono gli indicatori involontari, ad es. quelli cardiovascolari, che perciò continuano a registrare l’esperienza; al sistema B competono le reazioni volontarie come la mimica, i vari atteggiamenti tensivi che vengono esclusi lasciando il paziente rilassato, calmo, senza apparente segno di sofferenza.

In sintesi, è attualmente accettato che l’ipnosi svolga il suo ruolo nel controllo del dolore attraverso eventi aspecifici quali la d efocalizzazione dell’attenzione (com’è noto l’attenzione focalizzata sull’agente lesivo e sull’area corporea interessata, potenzia la percezione dolorosa, mentre la semplice distrazione ha effetto nel ridurla), la riduzione dell’ansia associata, il noto effetto placebo che può assumere un notevole peso se esiste un’ottima sintonia medico-paziente ed infine il decondizionamento. L’effetto dell’ipnosi nel controllo del dolore dipende in modo specifico dal grado d’ipnotizzabilità del paziente ed è compatibile con un sistema di controllo elettrico o neurotrasmettitoriale e questo spiega la rapidità con cui l’analgesia può essere indotta o rimossa. La condizione ipnotica sarebbe in grado di modulare dei sistemi sensoriali afferenti come la via paleospinotalamica, sopprimendo anche alcuni riflessi segmentari locali.

In una review delle prove scientifiche relative alla riduzione del dolore negli adulti con un intervento di tipo psicologico o psicosociale (18), è stata evidenziata, attraverso metaanalisi di studi multipli controllati, ben disegnati, e numerosi altri lavori di minore impatto statistico, la validità delle tecniche ipnotiche nel controllo del dolore in pazienti malati di tumore. De Benedittis et al. hanno dimostrato (19) in un esperimento con dolore ischemico che soggetti altamente ipnotizzabili presentavano un aumento della tolleranza al dolore del 113% verso un incremento di tolleranza di solo il 26% in soggetti scarsamente ipnotizzabili .

L’ipnosi si è dimostrata capace di alleviare sia la componente sensoriale discriminativa dell’esperienza dolorosa, sia la componente affettiva. In soggetti altamente ipnotizzabili è stato osservato un maggior effetto sulla componente motivazionale affettiva dell’esperienza stessa. La scissione tra le due componenti è responsabile della attivazione d’indicatori involontari del dolore quali un aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, della frequenza respiratoria, della sudorazione, ecc.. Le nuove tecniche di neuroimaging ci forniscono attraverso immagini suggestive ulteriori spunti di riflessione (20).

Numerosi lavori evidenziano l’utilità delle tecniche ipnotiche nel bambino con dolore acuto e cronico (21) e la particolare sensibilità dei bambini all’uso analgesico dell’ipnoterapia (Wakeman e Kaplan, 1978) (22, 23). I bambini sembrano anche in grado di utilizzare tecniche autoipnotiche in tutta una serie di malattie croniche, fra cui il cancro, l’emofilia, il diabete, l’anemia e l’artrite reumatoide. Altrettanto valida e utilizzata routinariamente anche in Italia, è la partoanalgesia in ipnosi (24).

Le modalità operative con cui può essere indotto questo alterato stato di coscienza cioè le tecniche ipnotiche (25, 26, 27) sono numerose e la loro trattazione esula dagli scopi del presente lavoro. Forse alcuni ricordano il pendolo sostenuto da un vecchio psichiatra che oscilla ritmicamente davanti agli occhi del paziente che tende a diventare sempre più sonnolento. Beh, se funzionava così bene perché è stato accantonato? Tecniche e strategie sono in continua evoluzione e seguono oltre lo sviluppo delle conoscenze neurofisiologiche e psicologiche, i nuovi modelli culturali e le diverse esigenze e attese di una società in cambiamento. Le strategie ericksoniane restano in ogni caso di riferimento (28, 29, 30), richiedono sensibilità e spirito d’osservazione, sono considerate tecniche indirette in quanto non aggrediscono frontalmente il disturbo ma cercano di sviluppare soluzioni attraverso l’uso delle risorse e delle caratteristiche del paziente, sono tecniche dolci, materne. In un contesto eterogeneo si sviluppano anche approcci di confine rispetto alle tecniche ipnoterapeutiche più ortodosse, come nel lavoro di Hoffmann (31) che dimostra l’utilità del supporto della realtà virtuale come trattamento analgesico supplementare nella terapia delle ustioni in pazienti adolescenti.

L’ipnosi è utilizzata a livello mondiale per il trattamento del dolore operatorio e postoperatorio, per agevolare procedure diagnostiche o terapeutiche dolorose, in particolare nei bambini; per il dolore iatrogeno, per il dolore da parto, il dolore odontoiatrico, il dolore da ustioni (con riconoscimento della FDA americana), per il dolore cronico non oncologico ad es. lombalgia, fibromialgia, sindrome dell’arto fantasma, cefalee croniche primarie; per il dolore oncologico e i disturbi associati, dove il suo ricorso precoce sembra utile anche nel controllo dell’evoluzione della malattia.
Conclusioni

Sono passati dieci anni da quando nel 1994 l’Associazione Internazionale per lo studio del dolore definisce il dolore come esperienza mentale. S empre lo stesso anno la IV a edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders introduceva all’interno dei disturbi somatiformi la categoria Pain Disorders, dove la valutazione psicologica non serve a distinguere un dolore organico da uno psicogeno, ma ad analizzare come i fattori psicologici interferiscono con l’espressione del dolore e l’effetto del dolore sul benessere del paziente. Dovrebbe essere ormai superata definitivamente la dicotomia shakespeariana fra dolore fisico e mentale. Solo accettando questo potremo sforzarci di modulare la nostra comunicazione col paziente in termini curativi.

Tratto dalla rivista ACTA ANAESTHESIOLOGICA ITALICA vol. 56 n. 3 del 2005, pag. 96, 99-104, 106, 108, 109-111 a cui si rimanda per l’ edizione integrale.

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