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Le barriere della comunicazione (o metodi tradizionali di aiuto) a cura di Maurizio D’Agostino


  1. Dare ordini, dirigere, comandare

Questi messaggi comunicano alle persone che le loro sensazioni, bisogni e problemi non sono importanti; egli deve conformarsi ai sentimenti e bisogni del counsellor. Si comunica che la persona non è accettabile per com’è al momento. Aumenta la paura dell’altro, è sottintesa la minaccia di punizioni. Teme di essere ferito da chi è più forte e più grande di lui. Nella persona vengono provocati sentimenti di rancore e rabbia, collera, ritorsione e resistenza al fine di mettere alla prova il potere dell’altro. Questi messaggi possono comunicare che il counsellor non si fida delle capacità e del giudizio del cliente.

Dire alla persona di fare qualcosa, dargli un ordine o un comando:

  • Non m’importa quello che vuoi fare tu, rientra subito nella stanza!
  • Non parlare a tua madre in quel modo!
  • Torna subito a giocare con Alessandra e Marta!
  • Smettila di lamentarti!

 

  1. Avvertire, ammonire, minacciare, promettere

Messaggi simili ai precedenti, ma con esplicitazione delle conseguenze in caso di rifiuto. Ciò può rendere la persona timorosa e sottomessa, creare ostilità e l’idea che non ci sia rispetto per i propri bisogni e desideri. A volte può esserci una reazione di sfida, rimanendo rigidamente sulle proprie posizioni, anche in verifica della minaccia (“Non m’importa cosa succede, la penso lo stesso così”).

Dire alla persona quali saranno le conse­guenze delle sue azioni:

  • Se fai una cosa del genere, te ne pentirai!
  • Un’altra parola, e finisci dritto in camera tua!
  • Se non vuoi che finisca male, è meglio che lasci perdere!
  • Se non ti decisi a provare non imparerai mai, e te ne pentirai per il resto della tua vita!

 

  1. Esortare, moralizzare, fare prediche, o usare espressioni tipo: “dovresti, sarebbe opportuno, si deve, non si deve”

Questi messaggi fanno pesare il potere esterno dell’autorità, del dovere, degli obblighi (“dovresti…”, “E’ bene che tu…” “Devi…”); spesso la reazione è la resistenza e la difesa delle proprie scelte, ancor più tenacemente. Inoltre questi interventi disconfermano la capacità di autoregolazione di ognuno, la persona non si sente considerata capace di formarsi opinioni o di esprimersi con valori propri. Si può produrre un senso di colpa o inadeguatezza. Dire alla persona che cosa dovrebbe fare o sarebbe bene che facesse:

  • Ma non dovresti fare così, …
  • Sarebbe opportuno che tu…
  • Devi sempre rispettare chi è più vecchio di te.

 

  1. Consigliare, offrire suggerimenti o soluzioni

Questi messaggi spesso comunicano alla persona sfiducia nelle sue capacità di giudizio o di trovare soluzioni ai suoi problemi. Si può creare dipendenza dall’altro, fino a smettere di pensare da soli e rivolgersi ad un’autorità esterna per qualunque risposta (“Che dovrei fare, dottore?”).

Chi consiglia sta affermando la sua superiorità (“so io ciò che è meglio per te”), e questo può irritare persone che stanno identificando e verificando le proprie capacità e la propria autonomia, provocando forti ed improduttivi contrasti con l’altro (“voglio farcela da me”, “non voglio sentirmi dire cosa devo fare”).

Altre volte si possono strutturare sensi di inferiorità (“Tu sai sempre tutto”). Inoltre può verificarsi un senso di incomprensione, rispetto a consigli sbagliati.

Dire alla persona come risolvere un problema, dargli consigli e suggerimenti, fornirgli risposte e soluzioni:

–  Perché non chiedi ad Alessandra e Marta di scendere a giocare con te? Così non avresti bisogno di…
–  Aspetta ancora un paio di anni, prima di deci­dere se fare o meno l’università.
–  Prova a parlarne con l’insegnante.

–          Cercati altre amiche.
–          Perché non…; io farei così…; secondo me…

 

  1. Insegnare, persuadere, argomentare, fare discorsi

 La persona vive l’altro come qualcuno più in alto, con sentimenti di inferiorità, inadeguatezza, subordinazione (“credi sempre di sapere tutto”). A volte il risentimento (“credi che non lo sap­pia?”) può provocare difesa. Nessuno ama sentirsi dimostrare di aver sbagliato, e spesso la per­sona difende con accanimento le proprie posizioni (“tu hai torto, io ho ragione”, “non riuscirai a convincermi”). Inoltre il fare discorsi può annoiare e provocare distrazione. C’è da tenere in conto che la persona ha già di per sé molte informazioni su se stessa, molte di più di quelle che può fornire l’altro.

Cercare di influenzare l’altro con fatti, argomentazioni, ragionamenti, informazioni o con le proprie opinioni:

  • Andare all’università potrebbe essere l’espe­rienza più bella della tua vita.
  • I bambini devono imparare ad andare d’accor­do tra loro.
  • Guardiamo cosa dicono le statistiche sui giova­ni laureati.
  • Se i ragazzi imparano ad assumersi le proprie responsabilità, sapranno farlo anche da grandi.
  • Considera la cosa da questo punto di vista: tua madre ha bisogno di aiuto in casa.
  • Quando avevo la tua età, dovevo fare il doppio di quello che fai tu.

 

  1. Giudicare, criticare, condannare, non essere d’accordo, opporsi, biasimare

Questi messaggi, forse più di tutti, fanno sentire la persona inadeguata, inferiore, stupida, indegna, cattiva. E se siamo d’accordo che l’idea di noi stessi si forma anche attraverso i giudizi che le figure significative ci danno ciò provocherà un abbassamento dell’autostima.

Le critiche negative provocano contro-critiche (“tu fai lo stesso, nemmeno tu sei così perfetto”).

Le idee e i sentimenti vengono tenuti nascosti per paura che siano criticati. Può svilupparsi un senso di non essere amati/accettati. La reazione aggressiva da parte della persona giudicata serve a salvaguardare l’immagine di sè, ma limita nel rapporto di scambio e di alleanza.

Dare un giudizio o una valutazione negativa dell’altro:

  • Parli senza riflettere.
  • E’ un punto di vista immaturo.
  • Qui ti sbagli di grosso.
  • Non sono assolutamente d’accordo.

 

  1. Elogiare, assecondare

Ciò può essere dannoso se la valutazione positiva non coincide con l’immagine di sé che ha la persona, creando ostilità (“odio i miei capelli”, “non ho giocato affatto bene, ho fatto schifo”). Se la persona si sente giudicata positivamente può supporre che in altri momenti verrà giudicata negativamente. Oppure l’assenza di elogi in un ambiente che normalmente ne è ricco può essere vista come critica (“se non mi ha detto nulla sui miei capelli vuol dire che non gli piacciono”). A volte l’elogio viene visto come manipolazione, un modo sottile per l’altro di ottenere ciò che vuole (“lo dici solo per indurmi a studiare di più”). A volte la persona può sentirsi non capita quando elogiata (“non lo diresti se sapessi veramente come mi sento”). La lode pubblica può essere imbarazzante come del resto la critica pubblica. C’è inoltre il rischio della dipendenza dal riconoscimento altrui, a volte arrivando persino a pretenderlo (“non hai detto nulla rispetto al mio successo”, “Nono sono stato bravo?”).

Dare un giudizio o una valutazione positiva, oppure essere d’accordo:

  • Secondo me sei un ragazzo in gamba, sono sicuro che sai il fatto tuo.
  • Sei perfettamente in grado di riuscirci.
  • Credo che tu abbia ragione.
  • Sono d’accordo con te.

 

  1. Etichettare, dare soprannomi, ridicolizzare, prendere in giro, umiliare

 Questi messaggi possono avere effetti devastanti sull’immagine di sè, facendo sentire la persona indegna, cattiva, non amata. A volte la reazione è di restituire all’altro lo stesso messaggio (“senti chi parla di pigrizia”). Probabilmente il messaggio barriera verrà ignorato e la persona cercherà di giustificarsi (“Non sembro volgare con l’ombretto”).
Indurre il figlio a sentirsi stupido, affibbiargli una etichetta, umiliarlo:

  • Sei un ragazzino viziato.
  • Eccolo, il sapientone.
  • Ti stai comportando da selvaggio.
  • Va bene, piccolino.

 

  1. Interpretare, analizzare, diagnosticare

Questi messaggi dicono che la persona è stata “inquadra­ta”, l’altro lo ha capito, conosce le sue motivazioni o le ragioni del suo modo di essere , e sa tutti i perché.

Questo crea frustrazione e intimidazione: se l’analisi è corretta la persona si sente nuda, scoperta, imbarazzata (“Lo fai solo per attrarre l’attenzione”); se invece è sbagliata la persona si sentirà definita ingiustamente e spesso si arrabbierà (“Non sono geloso, è ridicolo”).

Inoltre la persona percepisce che l’altro si sente più saggio, superiore (“Io so il perché”, “Ti leggo dentro”): spesso questi messaggi interrompono bruscamente il desiderio di continuare a comunicare se stesso ed insegnano che è meglio astenersi dal condividere i propri problemi.

Dire all’altro quali sono i motivi del suo comportamento o analizzare perché sta facendo o dicendo qualcosa, comunicargli la vostra diagnosi o l’idea che vi siete fatta di lui:

  • Secondo me la verità è che sei gelosa di Marta.
  • Lo stai dicendo per infastidirmi.
  • Non ci credi veramente.
  • Ti senti così perché non vai bene a scuola.

 

  1. Rassicurare, simpatizzare, consolare, sostenere

L’essere rassicurato può far sentire incompreso il problema nell’importanza che ha per la persona (“Non diresti così se sapessi lo spavento che provo”). I counsellor spesso rassicurano e consolano perché si sentono a disagio quando la persona è ferito, arrabbiato, disperato ecc. e ciò può far sentire la persona non accettata per quello che sente. Questi messaggi comunicano che il counsellor desidera che l’altro smetta di sentirsi in un determinato modo (“Non abbatterti, tutto si risolverà”)

Questo tentativo di cambiare la persona fa perdere la fiducia negli altri, visto che gli altri non danno fiducia a lei (“Lo dici solo per farmi sentire meglio”).

Minimizzando o compatendo si arresta la comunicazione perché il cliente sente che il counsellor vuole che egli smetta di provare ciò che prova.

Le forme di rassicurazione implicano spesso che la persona ansiosa è esagerata, non è ancorata alla realtà, in qualche modo un po’ “folle”. Questo crea ostilità rispetto ai tentativi di consolare o rassicurare.

Cercare di farlo sentire meglio, di distrar­lo dal suo stato d’animo, di dissipare le sue emozioni, di negare la pesantezza dei suoi sentimenti:

  • Domani ti sentirai diversamente.
  • A tutti i ragazzi capitano queste cose.
  • Non preoccuparti, le cose si aggiusteranno.
  • Potresti essere un ottimo studente, con le tue capacità.
  • Anch’io la pensavo così.
  • E già! A volte la scuola può essere proprio noiosa.
  • Di solito, vai abbastanza d’accordo con gli altri ragazzi.

 

  1. Inquisire, fare domande, interrogare, indagare

 

Questi messaggi possono indurre la persona a credere che non ci sia fiducia in lei, ma che esistano dubbi e sospetti (“Hai fatto come ti avevo detto?”). Spesso i clienti si sentono minacciati dalle domande, soprattutto se non ne capiscono la ragione.

Le domande a volte vengono interpretate come “trappole”, tentativi di far uscire allo scoperto per poi aggredire. Non a caso spesso la risposta è un’altra domanda (“perché me lo chiedi? Dove vuoi arrivare?”).

Se la persona sta parlando di un suo problema può avere l’idea che le domande gli vengano fatte al fine di raccogliere informazioni per risolvergli il problema, più che lasciargli trovare la propria soluzione.

Il fare una domanda vuol dire indirizzare la persona a parlare di un solo aspetto, e di nient’altro; ciò limita la libertà della persona di parlare di ciò che desidera. Interrogare è il modo meno funzionale per avere una comunicazione aperta e costruttiva.

Cercare ragioni, motivi, cause; richiedere altre informazioni che possano aiutarvi a risolvere il problema:

  • Quando hai incominciato a sentirti così?
  • Perché ti sembra di odiare la scuola?
  • Ma le tue amiche ti dicono perché non vogliono giocare con te?
  • Con quanti altri ragazzi hai parlato del lavoro che devono fare?
  • Chi ti ha messo in testa queste idee?
  • Che cosa farai se non andrai all’università?

 

  1. Cambiare argomento, sottrarsi, distrarre, sdrammatizzare, minimizzare, fare battute scherzose, ironizzare

 

Questi messaggi possono comunicare che non si è interessati alla persona, che non vengono rispettati i suoi sentimenti, o addirittura il rifiuto per la persona stessa. La serietà del discorso può venire svalorizzata, e la persona offesa. Quando si risponde scherzando, possono sentirsi feriti o respinti.

Si può riuscire temporaneamente a distrarli o ad alleggerire l’intensità di alcuni sentimenti o problemi, che però non sempre svaniscono. Spesso, anzi, ricompaiono in un altro momento. Posticipare la soluzione di un problema non vuol dire risolvere il problema.

Se la persona non si sente ascoltata e capita con rispetto si reprimerà e cercherà soluzioni altrove.

Distogliere l’attenzione della persona dal problema, tirarvi indietro, distrarre, fare dello spirito o eludere il problema:

  • Cerca di non pensarci adesso. Piuttosto, raccontami cosa hai fatto di bello oggi…
  • Ma dai! Parliamo di argomenti più piacevoli.
  • Come va con la pallacanestro?
  • Già che ci sei, perché non dai fuoco alla scuola?
  • È una storia vecchia.

 

Le «Dodici Risposte Tipiche»

Per comprendere gli effetti che queste Dodici Ri­sposte Tipiche possono avere su un utente o sul rappor­to genitore-figlio, insegnante-alunno ecc. occorre innanzitutto comprendere che le risposte verbali contengono in genere più di un significato o di un messaggio.

Quando il counsellor dice qualcosa a un cliente, spesso dice qualcosa su di lui. Questo è il motivo per cui qualsiasi comunicazione con un cliente ha un impatto tanto grande su di lui e sulla sua relazione col counsellor. Ogni volta che parlate con un utente aggiungete un altro mattone alla relazione che state costruendo insieme. E ogni messaggio gli comunica cosa pensate di lui. Gradualmente l’altro costruisce un’immagine di come lo percepite in quanto persona. La parola può essere costruttiva per l’altro e per la relazione, ma può anche essere distruttiva.

Ecco alcuni effetti segnalati dalle persone circa le risposte barriera:

  • –  Mi fanno smettere di parlare, mi bloccano;
  • –  Mi fanno mettere sulla difensiva;
  • –  Mi fanno discutere e controbattere;
  • –  Mi fanno sentire inadeguato e inferiore;
  • –  Mi suscitano rancore e rabbia;
  • –  Mi fanno sentire colpevole e cattivo;
  • –  Mi fanno sentire obbligato a cambiare, non accettato così come sono;
  • –  Mi fanno pensare che l’altro non mi crede capace di risolvere il mio problema;
  • –  Mi sento trattato in modo paternalistico, come se fossi un bambino;
  • –  Mi fanno sentire incompreso;
  • –  Mi fanno credere che i miei stati d’animo siano inammissibili;
  • –  Mi fanno sentire interrotto;
  • –  Mi fanno sentire frustrato;
  • –  Mi fanno sentire sul banco dell’imputato;
  • –  Mi fanno capire che l’ascoltatore non è interessato.

Queste dodici risposte verbali sono esattamente quelle che gli psicoterapeuti e i counsellor hanno imparato a evitare lavorando con i clienti. Sono risposte potenzialmente non-terapeutiche. I professionisti imparano a fare affidamento su altre modalità di risposta che sembrano comportare un rischio assai minore di indurre l’utente a interrompere la comunicazione, di suscitare in lui sensi di colpa o di inadeguatezza, di ridurre la sua autostima, di costringerlo a mettersi sulla difensiva, di scatenare risentimento, di farlo sentire non accettato, e così via.

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